Il rinascimento del marketing?

Segnalo la testimonianza dell’intervento di Regis McKenna al World Marketing & Innovation Forum di HSM da Andrea Genovese (che non conosco, ma ringrazio).

E’ banale dire che tutto quello che dice McKenna è da sottoscrivere. Da due affermazioni riportate dal buon Andrea mi sono sorte in particolare queste riflessioni:
- “L’era in cui il marketing creava i mercati è finita. Non si tratta piu di telling and selling (annunciare e vendere), l’input non parte più dall’alto.”. Giustissimo, ma quando mai è cominciata? In 13 anni che faccio questo lavoro ho sempre tenuto ben presente quello che ho imparato sul Kotler durante un semplice corso di marketing management del master in Agricultural Economics and Business dell’Università di Guelph in Canada, ossia che l’impresa i mercati non li crea, al massimo li SCOPRE.
La differenza può sembrare sottile e probabilmente lo è. Come quella tra il successo e l’insuccesso di una strategia.

- “Il successo di un marchio è compito di tutti. Le carenze di un solo settore possono compromettere il successo anche di un buon prodotto”. Qui mi è tornato in mente un seminario tenuto del prof. Brunetta (credo) nel 1989 quando ero alla SMEA di Cremona, quando ha detto che una delle più recenti “scoperte” dell’economia aziendale era che la perfomances massima dell’impresa veniva determinata dalla risorsa al minimo. Confesso il mio stupore nel sentire che la legge di Liebig che mi avevano insegnato in terza superiore all’Istituto Tecnico Agrario di Padova era, dieci anni dopo, l’avanguardia dell’economia aziendale.

Non credo di essere io super (in terza superiore non andavo neanche granchè bene a scuola). Piuttosto mi sembra che dopo l’età classica del marketing, in cui si sono sviluppati i concetti fondamentali, siamo passati attraverso un medio evo che questi concetti li ha dimenticati; forse il nuovo potere del consumatore ci sta finalmente portando al rinascimento?

OOOh, il tesoretto!!

Manifesto di saldi a TriesteLa domanda retorica è: c’è qualcuno che si occupa della comunicazione dell’attività dell’attuale governo?

La risposta, ovvia (altrimenti la domande non sarebbe retorica), è: SI’.

A questo punto la domanda vera è: che lavoro faceva prima? Il fisico teorico? Il macchinista ferroviere? Il guardiano del faro?

Come se non bastasse l’immagine da Alì Babà e i 40 ladroni che hanno già, i politici se ne escono con questo termine che evoca l’avidità dell’accumulo, i caveu segreti con i forzieri pieni d’oro e pietere preziose, il “mio tesssooorooo” di Gollum.

Ma non potevano chiamarlo “avanzo di entrata” o surplus o qualsiasi altra cosa?

E’ possibile che siano così scadenti anche in questo.

Mi viene in mente di quando, qualche giorno dopo il decreto sulle liberalizzazioni, sono stati pubblicati i dati sulle categorie professionali e si vedeva che mediamente i tassisti denunciano un reddito di 11.000 euro l’anno. Pensavo fosse una strategia studiata per rispondere agli schiamazzi di chi gode delle situazioni di protezionismo di fatto e invece no. ERA STATA UNA FORTUNATA COINCIDENZA TEMPORALE!! Il giorno dopo già non se parlava più, o meglio si è continuato a parlare delle liberalizzazioni sulla base delle mere opinioni di schieramento politico.

Ai tempi delle elezioni perse contro Berlusconi, mi ero preso la briga di scrivere al sito di Rutelli per dire che forse una strategia di comunicazione basata sullo stesso media (affissione), trattamento (primissimo piano del leader) e contenuti (rincorrendo quelli lanciati da Forza Italia) forse non era il massimo per differenziarsi dal proprio concorrente. Mi hanno risposto che non capivo la complessità della questione, ma invitandomi comunque a sostenere la campagna di Rutelli.

Ma andate a ……..

Kotler vs. Galileo parte II

Potenza dell’aritmetica (chiamarla matematica mi sembra troppo).

Supponete di avere due marche A e B che hanno bisogno di un supporto di marketing e di avere un budget sufficiente solo per una delle due. Fate la vostra bella analisi olistica ed arrivate alla conclusione che la marca su cui è meglio investire è la marca B.

Poi per scrupolo calcolate in breack-even di quel budget per le due marche e quello della marca A è 1/3 di quello della marca B e cambiate la vostra decisione di allocazione delle risorse.

Questo è quello che ci è successo dopo un paio di settimane che abbiamo (ri) cominciato a calcolare il breack-even dei nostri investimenti di marketing.

Non solo, poi i brand manager ci prendono gusto ed adesso abbiamo sviluppato una banale formula per calcolare il brand equity generato dalle attività di marketing.

Non è poi così complicato: le aziende hanno un valore sul mercato calcolato con un moltiplicatore dell’EBIT che, supponendo invariati i costi generali indiretti, deriva dal margine diretto delle marche (o se preferite del margine net net). Con una banale divisione potete quindi calcolare il moltiplicatore da applicare al margine diretto delle marche per ottenere il valore di mercato dell’azienda e quindi della brand equity.

Se stimate un margine differenziale rispetto alla situazione attuale a seguito dell’investimento di marketing (anche qui con un paio di banali moltiplicazioni potete inserire nell’analisi l’effetto dell’andamento del mercato e della vostra marca), potete calcolare il differenziale di brand equity a seguito delle azioni che state pianificando.

Come diceva il mio professore di marketing management in Canada oramai 17 anni fa: le 4 operazioni e la % sono tutta la matematica che vi serve per verificare l’efficacia ed l’efficenza delle vostre strategie di marketing (oltre a testa, tempo e voglia aggiungo io oggi).

Avete tirato fuori il pallottoliere?