Sviluppo(?) sostenibile(!) 2a puntata

STAVO PENSANDO!. O.K. è la vecchia scusa per le attività (ipoteticamente) creative e nel frattempo ho anche cercato di combattere contro lo spam (oltre 500 pagine di commenti di spam; gli unici che riceveo d’altronde).

Però stavo pensando, sul serio. Dopo che ho scritto la prima puntata è uscita sulla stampa la notizia relativa al calo dei consumi di pane e pasta e mi si è ingolfato il cervello.

Perchè se per rilancio i consumi va aumento il reddito reale dei cittadini (qui un esempio tra i tanti), confesso che non mi ero accorto che gli italiani fossero (fossimo) ridotti come il quarto stato ottocentesco.

Facendo la spesa tutte le settimane non riesco a pensare, malgrado tutti gli aumenti percentuali che ci sono stati, un prodotto in assoluto con una battuta di scontrino bassa come la pasta e che allo stesso tempo sia così versatile da permettere di variare nella preparazione di piatti facilmente appetitosi, con inoltre il vantaggio della rapidità e di essere fortemente radicato nella cultura alimentare delle persone. Per il pane il discorso non è poi dissimile.

Se siamo ridotti a ridurre il consumo di pane e pasta a causa del diminuito potere d’acquisto allora ditemi cosa diavolo ci fanno nei negozi i 4 salti in padella, gli sfogliavelo, le zuppe that’s amore ecc… ecc…

Più ci penso è più mi convinco che non è (tanto e solo) una questione di reddito disponibile. Il ridursi del reddito disponibile ha spinto una volta di più le persone a porre maggiore attenzione al rapporto costo/valore di quello che acquistano (il primo shock di questo tipo risale al 1992, anno dell’ultima svalutazione della lira e del primo boom dei discount).

Tralasciando la questione della distribuzione del reddito (anche se non mi sembra un caso che i consumi si polarizzano sui prodotti di prezzo alto o di prezzo basso, penalizzando i prodotti di prezzo medio con una dinamica molto simile alla crisi del ceto medio), i problemi metodologici nel misurare i consumi totali in volume (sicuramente il centro studi di confcommercio avrà una metologia più che solida) e la questione di tutti beni e servizi che vengono scambiati su internet al di fuori delle rilevazioni o senza costo per chi li utilizza (passare la serata a chattare non costa nulla con una tariffa flat, così come guardare you tube, per non parlare di e-mule e similia).

Tralasciando tutto ciò dicevo io trovo innanzitutto una carenza di senso in un gran numero delle proposte di consumo. Non è che l’economia del benessere (sarò banale e generico, ma chi ha dai quarant’anni in su faccia lo sforzo di ricordarsi anche solo vent’anni fa come erano le macchine che si guidavano, dovo ed in che alberghi si andava in vacanza, le case i cui abitavamo ecc…) è arrivata, o si sta avvicinado al punto per cui la disponibilità di reddito non è più condizione sufficente per spingere i consumi? Quante proposte sul mercato forniscono un perchè alla loro presenza che vada al di là del ricavo di chi li vende o distribuisce?

D’altra parte, quando questo perchè esiste, i prodotti/servizi hanno successo. Cito, assolutamente a caso tra quelli che ho in mente, Gran Soleil di Ferrero.i

Quando non accade ecco che si verfica l’attuale banalizzazione (commodization) delle categorie di beni, con il prezzo come unica discriminante.

Credo che sia stato Ron Howard a dire una decina di anni fa negli U.S.A. che la sua è la prima generazione che ha l’impressione di avere di più rispetto a quello che potranno avere i propri figli. Giusta o sbagliata che sia, con questa percezione, e con l’attuale possibilità di fruire di una miriade di beni a costi bassi o nulli, non basta avere la capacità di mettere un bene sul mercato per convincere le persone a fare lo sforzo di consumare.

Chiudo ricordando il link al sito della Planet Life Economy Foundation, che ha appena pubblicato il primo libro sulla Planomia.

Cercherò, ennesima promessa, di non sparire troppo a lungo.