ABC degli affari

Questo probabilmente il post di cazzeggio che non ho scritto l’altro ieri.
A novembre scorso, per non smentira la non attualità di questo blog, ho partecipato ad una tavola rotonda alla fiera Sia guest di Rimini: salone internazionale dell’accoglienza.
Arrivato con un paio d’ore d’anticipo ho fatto un giro per gli stand per vedere se trovavo qualche spunto interessante, ed in un padiglione collettivo di diversi designers ho visto due o tre cose sfiziose. Richieste informazioni, mi hanno detto di rivolgermi al banco all’ingresso che faceva servizio di reception per tutti gli espositori. Ho lasciato diligentemente il mio biglietto da visita ….. e sono ancora che aspetto.
Ma c’è stato di peggio: in un grande stand di una ditta di forniture alberghiere (non alimentari) pipeno di agenti/venditori che chiaccheravano tra loro mi sono aggirato vari minuti in due occasioni (la prima volta era orario di pranzo ed ho cercato di essere comprensivo) senza che nessuno mi degnasse nemmeno di un saluto. Sottolineo che ero vestito da lavoro, ossia giacca e cravatta.
Un po’ meno peggio in un’altro stand di porta menù, dove mi hanno mostrato un po’ di campioni. Ho chiesto di mandarmene 4-5. Dopo una settimana mi è arrivata una mail dicendo che il loro agente di zona era disponibile a venirmi a trovare. Gentili; peccato che a me interessavano i campioni, sia come pro-memoria, che per confrontarmi con i colleghi prima di approfondire.
Risultato: il tempo di fissare un appuntamento con l’agente (che mi interessa davvero, ma ahimè non urge). Non l’ho ancora trovato.
Per forza che poi i guru del marketing che proclamano che il consumatore è il re, trovano (ancora?!!) quelli che rimangono a bocca aperta.

P.S. per chi me l’ha chiesto: non so come fanno il marketing in Brasile, Cina e India, anche perchè sono stato solo in Brasile ed era oramai 6 anni fa. Se qualcuno ci è stato con occhio critico batta un colpo, perchè comunque ho la sensazione che nel concetto di marketing all’osso ci sia un po’ di polpa.

Marketing all’osso

Barebone marketing suonava francamente meglio, ma tanti anni fa mi sono dato la regola di non utilizzare terminologia inglese, a meno che non esistesse un’espressione equivalente in italiano.
Questo post volevo scriverlo per motivi di pura opportunità e cortesia, nel senso che mi rendo conto che, a furia di tenerlo a metabolismo basale con le frasi dell’AMA, il blog rischia di morire e poi c’era qualche richiesta di cortesi lettori.
D’altra parte non mi sembrava di avere niente di interesante da dire, che è la situazione peggiore ed è anche un po’ sorprendente, visto che da Natale ho scritto solo un post.
Anche perchè durante le vacanze ho letto un po’ di cose interessanti di gestione di marketing e di economia aziendale, ho visto quello che succede in Spagna, insomma in teoria ho avuto un po’ di stimoli. Eppure tutto mi sembra già visto, perfino al Corte Ingles non ho trovato niente di nuovo (è la prima volta che mi succede in 18 anni).
Sarà vecchiaia oppure la stanchezza della preparazione del Vinitaly del 50° del Pinot Grigio Santa Margherita.
Allora mi sono detto: scrivo un post di cazzeggio di marketing. Farebbe bene a me, che mi sto fossilizzando in post sempre e solo strategici, ed a chi mi dice che questo blog richiede sempre grande attenzione (forse troppa).
Un bel post facile facile, con i complimenti al (semi) nuovo spot di Campari oppure la perplessità sul nuovo spot del nuovo amaro Limoncè, del quale mi convinceva già poco il concetto di prodotto e lo spot stile anni ’80 ancora meno.
Mentre pensavo che forse è il legame emotivo con una marca che ho gestito tanti anni ad impedirmi di vedere le cose con obiettività, mi sono reso conto che sempre di più imposto le attività di marketing in generale, e la comunicazione in particolare, con modalità tendenzialmente scarne.
Riflettendo mi rendo conto che a fronte dell’affermarsi della propoganda nella comunicazione e della sensazione generale di già visto, mi sposto sempre più distante dalla logica son-et-lumiere, o stucco-e-pittura come diceve una mia ex collega.
in altre parole la mia visione del marketing è sempre più quella di un marketing all’osso, che va all’essenza, che, come c’è scritto nei libri, punta a rendere inutile le attività di pubblicità e promozione grazie alla forza della proposta in termini di interesse per il servizio offerto.
In altre parole l’I-Pad, per cui tutti i giornali si sono affrettati a fare la versione compatibile, indipendentemente dalla diffusione o meno dell’apparecchio.
Sarà l’ennesimo segnale che mi sto convertendo in uno dei vecchietti del Muppet Show, l’evidenza che non sono più al passo con i tempi oppure sono la punta più avanzata dell’avanguardia (che comunque non è mai positivio).
Se qualcuno ha l’occasione di analizzare come si fa il marketing in Brasile, soprattutto, Cina e India, troverà la risposta.

Sempre la solita storia.

Dopo aver inutilmente pagato il doveroso dazio al teatrino dei gattopardi della politica (proverbio spagnolo: de noche todos los gatos son pardos), torno ad oocuparmi di cose serie, ossia teoria e strategia di marketing.
Durante le ferie ho approfittato per studiare un po’ ed ho trovato un interessantissimo articolo sull’analisi narrativa per ls creazione di storie persuasive che permettano di connettersi a livello emotivo con la propria audience. Dico da subito che tralascerò completamente qualsiasi commento riguardante la questione della persuasione occulta.
La cosa interessante è che le ricerche basate sull’analisi dei testi hanno identificato meccanismi e strutture che si ripetono attraverso la storia e le culture.
I livelli di comprensione della storia sono sempre tre. Dal più superficiale al più profondo: il messaggio, a livello razionale, il significato, a livello di sentimenti e convinzioni, il mito, a livello del nostro inconscio universale ed eterno.
Quindi comunicare alle persone attraverso miti universali, permette di parlargli al più profondo livello emotivo. Il bello è che anche il mito, sfumature a parte, si può ricondurre sempre ad alcuni modelli fondamentali:
- il mito dell’eroe: una persona normale viene chiamata a fare cose eccesionali, supera prove difficili, combatte i propri demoni esterni ed interni che lo spingono a mollare ed alla fine, guidato da un mentore, raggiunge il suo obiettivo. Marca? Nike “Just do it”.
- il mito del ciclo della vita: il continuo fluire delle generazioni in cui il vecchio passa la propria saggezza al giovane in un ciclo di ottimismo e speranza dove non c’è fine, ma solo nuovi inizi. Marca? Ford Mustang con lo spot del 2005 che resuscitava Steve McQueen.
- il mito della creazione: qui non serve nemmeno spiegarla. Marca? L’immagine di Jobs e Wozniak che montano il primo Apple nascosti nel loro garage.
- Il mito della creazione dalla distruzione: scegliete quello che vi piace di più tra Noè e l’Araba Fenice. Marca? Coca Cola Classics resuscitata dalla ceneri della New Coke.
- il mito della lotta tra il bene e il male: la battaglia tra il caos e l’ordine si trova già nella cultura sumerica. Marca? Vespa vs. Lambretta, Apple vs. Microsoft, ecc…

E la vostra marca di che mito è?