Gestione del personale ed etologia 4

Asterix: Non dovrebbe essere troppo lontano, e a piedi si è veloci come i buoi.. Obelix: Per forza! Anche i buoi sono a piedi.(Asterix e il Falcetto d’oro).
Parafrasando Goscinny, uno dei migliori osservatori della società europea del dopoguerra, mi viene da dire che “il cavallo va a cavallo da quando è nato”.
Da questa apparente ovvietà discende quella che è l’essenza dell’equitazione moderna, secondo cui il cavaliere deve adattarsi in modo da trovare l’equilibrio ottimale del binomio cavallo-cavaliere, così da intralciare il meno possibile il cavallo mentre esegue le indicazioni del che il cavaliere gli ha trasmesso.
Si tratta di una frase densa di concetti che è bene sviscerare:
1. E’ il cavaliere che deve adattare il proprio equilibrio a quello del cavallo. Qui si parla di equilibrio nel senso fisico del termine, perchè ogni cavallo ha un suo baricentro, che cambia alle diverse andature (passo, trotto, galoppo) ed è quindi il cavaliere che deve regolare il proprio assetto in modo che il nuovo baricentro complessivo (cavallo+cavaliere) sia ugualmente efficace come quello naturale del cavallo da solo.
2. Il nuovo equilibrio sarà comunque diverso da quello naturale del cavallo. Questo per sottolineare la necessità che il cavaliere prenda coscienza del fatto che deve essere lui a portare il binomio a trovare questo nuovo equilibrio. Il cavallo stava bene anche da solo.
3. il “valore aggiunto” del cavaliere è la sua volontà. Come sa benissimo qualsiasi cavaliere principiante (come me), il cavallo da solo trotta, galoppa, si ferma, si gira e salta molto meglio da solo che con qualcuno sopra. Il contributo del cavaliere quindi sta essenzialmente nel definire quando e con quanta intensità fare queste cose (nel caso ci fossero degli esperti di equitazione tra i lettori specifico che probabilmente le considerazioni di questo post non valgono nel caso di dressage, alta scuola e similia).
Ed eccoci arrivati al punto centrale: come fare a trasmettere al cavallo la propria volontà? Escludendo la forza, non solo perchè poco etica e quindi poco estetica, ma soprattutto perchè poco efficace, trattando con animali che pesano 400-600 kg, è necessario utilizzare la tecnica.
Senza voler fare un trattato di equitazione (anche perchè non ne sarei asoslutamente in grado), il cavaliere dispone di una serie di aiuti per trasmettere al cavallo addestrato le proprie intenzioni attraverso la voce, le mani (che tengono le redini), le gambe (che fasciano il costato del cavallo), il frustino, la voce e l’assetto (ossia la dislocazione del proprio peso in modo da interagire con l’equilibrio del cavallo). Perchè siano efficaci questi aiuti vanno utilizzati insieme in modo coordinato e coerente e vanno interrotti appena il cavallo capisce cosa vogliamo da lui ed inizia a farlo.
Gli errori nell’uso degli aiuti si dividono quindi sostanzialmente in due categorie:
a) Utilizzo confuso e/o contradditorio degli aiuti: se con la pressione delle gambe indico al cavallo l’intenzione di andare a destra, ma con la posizione delle mani gli indico di andare e sinistra è molto probabile che il cavallo non sappia cosa. Il problema è meno ovvio di quello che sembra perchè l’uso degli aiuti non è meccanico e quindi non è sufficente sapere in teoria quali sono i giusti movimenti e qual’è la giusta sequenza. Bisogna utilizzarli con il giusto equilibrio, che è una cosa quasi più inconscia che razionale. Ecco perchè, ad esempio, verrà molto più naturale fare i movimenti giusti (spostamento dell’assetto, ossia dell’equilibrio, compreso), se quando vogliamo girare guarderemo nella direzione in cui vogliamo andare (per inciso anche in moto le curve vengono meglio se si guarda l’uscita della curva anzichè davanti alla propria ruota).
b) eccessiva intensità e durata nell’utilizzo degli aiuti. Nuovamente, il cavallo non è una macchina, prima di eseguire un comando deve capirlo. E’ quindi necessario che il cavaliere utilizzi gli aiuti con il necessario anticipo e che dia il giusto tempo al cavallo per agire di conseguenza. Se voglio che il cavallo si fermi, stringo i pugni, porto indietro le spalle e spingo in basso i talloni per scendere nell’inforcatura. Se non mi sono dimenticato niente ed ho fatto tutto bene, il cavallo farà ancora alcuni passi e poi si fermerà. A questo punto riprendo l’assetto normale per far capire al cavallo che ha fatto quallo che gli avevo richiesto.
Nel caso in cui l’intesità degli aiuti sia eccessiva o questi vengano utilizzati dal cavaliere anche dopo che il cavallo ha eseguito la richiesta, non è che il cavallo ubbidisca di più, anzi diventerà sempre più “sordo” agli aiuti, che dovranno essere sempre più intensi, fino a quando anche “appendersi” alla bocca del cavallo non servirà più a niente. E’ un circolo vizioso concettualmente simile al problema di “bruciare il comando” visto nei post precedenti relativamente all’addestramento dei cani.
I due tipi di errori tendono a sommarsi, nel senso che io sbaglio nell’uso degli aiuti, il cavallo non fa quello che mi aspetto e quindi io aumento l’intensità delle mie azioni (sbagliate). Il risultato è che il cavallo disimpara quello che sapeva fare. Già questo sarebbe sufficiente a mettere in guardia sulla necessità di non eccedere nella gestione dei propri collaboratori, ma c’è un rischio ancora maggiore che si evidenzia andando a cavallo ed è quando MALGRADO gli errori del cavaliere. il cavallo fa la cosa giusta.
Come già detto più volte, il cavallo non è una macchina, ma un essere vivente, pensante con una sua intelligenza ed emotività individuale (nel senso che ogni cavallo e diverso dagli altri), che sa già fare naturalmente quello che noi gli chiediamo di fare, e per di più è stato addestrato per farlo. Quindi succede più spesso di quanto non si immagini che il cavallo esegue comunque la richiesta del cavaliere, anche se questa è stata comunicata male o con eccessiva forza.
In questo caso quello che disimpara non sarà il cavallo, ma il cavaliere che, convinto che il risultato positivo sia conseguenza delle sue azioni e non dell’intelligenza e della buona volontà del cavallo, persevererà nella cattiva/eccessiva gestione.
Mi rendo conto che questo post risulta un po’ più farragginoso del solito e la cosa non mi stupisce perchè, a furia di rimandarlo, era in bozza da più di un mese. Ad un certo punto il tempo diventa eccessivo ed i concetti si avviluppano su se stessi. Risparmierò quindi i paralleli tra la gestione del cavallo e quella del personale, anche perchè mi sembrano evidenti.
Se c’è qualcosa di veramente incomprensibile, spero che venga fuori nei commenti così da poterlo chiarire.
Con questo post concludo il parallelo tra gestione del personale ed etologia. Spero che nessuno si sia sentito offeso, soprattutto tra i miei passati e presenti collaboratori. Se è così posso scusarmi e sottolineare una volta di più che non era questa l’intenzione.
Concludo dedicando questo post a tre cavalli in particolare:
- Darius: che facendo finta di zoppicare quando lo montavo io, mi ha fatto capire l’importanza dell’individualità.
- Pedro: così generoso da perdonare spesso i miei errori, ma unico cavallo, ad oggi, a farmi volare per terra, facendomi capire con chiarezza animale che non bisogna abusare della disponibilità altrui.
- Dominique: che esige di essere montata bene, altrimenti non si muove, sgroppa, scalcia e così mi costringe ad impegnarmi sempre al massimo.

Le 10 bugie di Berlusconi secondo “la Repubblica” 12 aprile: chi semina vento raccoglie tempesta.

Lo so che i miei affezionati lettori aspettano il post sul cavallo, però oggi sono andato a Milano in treno e così mi hanno offerto un giornale; con la prospettiva di oltre 4 ore di viaggio ho preso la Repubblica.
Premetto che leggo sempre meno i giornali, li sfoglio per abitudine, ma leggerli proprio non mi riesce perchè … non c’è scritto niente. Dopo aver letto i titoli, le disdascalie sotto le foto ed i titoletti inseriti all’interno degli articoli, non resta molto di più negli asfittici articoli dei giornali moderni, schiacciati da riduzione del formato e pubblicità.
Confesso che non ho mai amato “la Repubblica” malgrado sia in un certo senso il giornale della mia generazione (quest’anno faccio 48 anni) ed ho smesso di comprarla da quando, credo fosse il 1987, dedicò un’articolo a pagina intera (e quella volta le pagine avevano più testo che grafica) al matrimonio di Pippo Baudo, deridendo in ogni frase l’atmosfera nazional-popolare della cerimonia e della festa seguente. O ritieni che la notizia sia interessante, e allora fai un reportage serio, oppure ritieni che per la tua linea editoriale non lo sia, linea editoriale che condividevo, e allora fai un trafiletto proprio per non vivere fuori dal mondo. Ma andare per metterlo alla berlina per il kitch in ogni angolo è disonestà intellettuale: Cosa ti potevi aspettare dal matrimonio di Pippo Baudo?
io leggevo il giorno (ci scriveva Gianni Clerici, poi passato a Repubblica) e la Stampa (Curzio Maltese e Berbara Spinelli anche loro passati a Repubblica, per citarne solo due).
Oggi però tra Corriere e Repubblica ho preso la seconda. Arrivato a pag. 4 ho trovato le 10 bugie di Berlusconi riguardo al processo Ruby (sul web non le trovo per linkarle, dovrete darvi da fare voi). Un trafiletto dove si in prosa “poliziese” si trovano cose tipo B.dice “E’ la 28esima persecuzione giudiziaria”. Il numero è inesatto. Berlusconi ha subito 16 processi (tre le assoluzioni) oppure B. dice “hanno violato la mia casa”. E’ falso. Le indagini si sono fermate al cancello di Arcore. Le altre sono più o meno su questa linea, ossia capziose (che siano 28 oppure 16 il concetto non cambia, sono comunque tante) e basate più sulla forma che sulla sostanza. Soprattutto le risposte del giornale implicano già una sentenza, mentre ilo dibattimento è appena cominciato. Niente di male che la redazione di Repubblica sia già convinta della colpevolezza di Berlusconi, però poi non si può pretendere così di rappresentare una voce equilibrata, in grado di porre delle questioni nella società. In realtà dubito che ci sia nessuno in Italia che creda che Berlusconi abbia pagato Ruby per NON farla prostituire, oppure che potesse davvero credere che fosse la nipote di Mubarak (affermazione che tra l’altro implica dare degli incompetenti totali ai nostri servizi di intelligence). Il punto è quanti sono gli elettori per i quali questi comportamenti sono politicamente irrilevanti (gli aspetti giudiziari, riguardano innazitutto i tribunali).
Se poi questo atteggiamento è una risposta all’agghiacciante e ributtante linea editoriale del Giornale, beh non funziona e serve invece solo ad alimentare e rafforzare l’ipotesi della persecuzione.
Come dice il proverbio riportato nel titolo: chi semina vento, raccoglie tempesta, e nella tempesta i capitani pavidi dell’ opposizione continuano a perdersi.
Sempre più grande il rimpianto per Prodi che con la credibilità della competenza e l’azione (di sostanza) invece della reazione (di forma) ha vinto due elezioni.
La prossima volta parlo di Dominique, promesso.

Gestione del personale ed etologia 3

Un’appendice all’ultimo post di argomento cinofilo per ricordare la terza lezione che ho imparato durante il corso di addestramento dei miei due cani (come detto all’inzio dall’addestratore il corso riguardava tanto loro quanto noi).
Si tratta del concetto di evitare “bruciare il comando”, insistendo negli ordini senza che vengano eseguiti oppure mentre vengono eseguiti, ed è particolarmente interessante perchè, al contrario di quelli del post precedente, è un concetto contro-intuitivo.
In pratica significa che che gridare “vieni-vieni-vieni-vieni ……” mentre il cane chiamato sta ubbidendo e venendo verso di noi non rafforza il comando, ma anzi lo indebolisce. Quante volte a voi umani è successo che venissero a controllare per assicurarsi che steste svolgendo il compito che vi era stato affidato poco prima? Vi siete sentiti motivi o avete percepito un senso di sfiducia? Ecco, con i cani è lo stesso.
Quanto più si ripete un comando e tanto più questo si banalizza alle orecchie del cane. Questo è anche il motivo per cui il cane va chiamato con il suo nome solamente per le cose importanti, mentre nelle altre occasioni è meglio utilizzare pseudonimi o termini generici a scelta. Per mantenere forza il nome non va inflazionato (un po’ lungo da spiegare a tutti quelli che come prima quando si fermano ad accarezzare il cane chiedono come prima cosa “Come si chiama?”).
Collegato a questo concetto c’è quello di evitare di continuare di dare un’ordine se non siamo nelle condizione di farlo sicuramente eseguire dal cane al terzo, massimo quarto comando, perchè in questo caso il comando rischia di bruciarsi ancora più rapidamento. Ad esempio se dò il comando di seduto e lui non lo fa, alla terza volta devo intervenire fisicamente e mettere il cane seduto (niente di violento, basta premergli in giù il sedere).
Da questo ne discende che devo dare al cane ordini che è in grado di sentire, comprendere ed eseguire. In latre parole l’addestramento deve essere graduale, i comandi chiari e semplici e dati solo quando abbiamo l’attenzione del cane. Dal mio corso di caporale mi torna in mente la definizione per cui la consegna deve essere “precisa, coincisa e tassativa”; sostituendo “tassativa” con “condivisa”, mi sentirei di sottorsciverlo.
Riassumendo se voglio chiamare il mio cane che sta gironzolando per il prato la sequenza è:
- ottenerne l’attenzione con un richiamo o al limite chiamandolo per nome;
- dare il comando “vieni”;
- aspettare per vedere se il cane si muove verso di me, viceversa ripetere il comando;
- avere la pazienza di aspettare che arrivi;
- premiarlo con un “bravo” quando arriva da me perchè ha ubbidito.

Anche se non lo trovo nei post vecchi, ho la sensazione di aver già scritto questo aneddoto. Se è così chiedo perdono per la ripetizione.
Quando avevo 14 anni giocavo a pallacanestro nella squadra di Spinea (per dare un’idea di quante cose siano cambiate basta dire che eravamo l’unica squadra a giocare in una palestra, tutte le altre avevano solo campi all’aperto. Oggi sembra incredibile, ma vi assicuro che ho giocato partite di basket sospese per pioggia e per neve) e la miglior squadra del girone era lo Zelarino, il cui allenatore non smetteva di gridare indicazioni ai suoi giocatori per tutti i 40 minuti.
Visti i risultati credevo fosse una tecnica vincente. Tre anni dopo mi sono trovato a fare un provino per le giovanili della gloriosa Reyer Venezia, allora in serie A, e sul sacro parquet dell’Abazzia della Misericordia (chiesa sconsacrata dove si giocava tra gli affreschi del Sansovino) mi sono allenato per tre mesi con un giocatore proprio dello Zelarino. Quando gli ho chiesto come faceva a seguire quel continuo flusso di istruzioni mi ha tranquillamente risposto che non gli davano alcun fastidio perchè dopo i primi cinque minuti nessuno dei giocatori ascoltava più quell’(esaltato) allenatore che si sgolava a bordo campo.
Questo è lo spunto per riflettre sul corretto dosaggio di intervento nei confronti delle persone di cui si ha la responsabilità. Ma su questo argomento il grande maestro è il cavallo, che sarà l’animale protagonista del prossimo post.
A dopo il Vinitaly (se volete passare a trovarmi, lo stand Santa Margherita è nel padiglione 4).