“Servire il Popolo”: magistero evangelico, imperativo marxista-leninista o disciplina manageriale? Papa Francesco e la risolutezza dei buoni.

Questo titolo prolisso alla Wertmuller nasce dallo stupore provato nel sentire i servizi del giornale radio sull’omelia odierna di Papa Francesco durante la messa della sua investitura (lo so che non si chiama così, ma una volta tanto opto per la sintesi rispetto alla precisione).
E’ che io la servant leadership l’ho imparata, analizzata ed approfondita studiando gli articoli di William B. Locander e David L. Luechauer, pubblicati sulla rivista Marketing Management dell’American Marketing Association.
Dubito che Papa Francesco abbia studiato gestione del personale, ma da un gesuita ci si può aspettare anche questo, ed è molto, molto, molto, molto più probabile che la sua ispirazione siano gli esempi storici di servant leadership in ambito filosofico e religioso (Gesù in primis ovviamente).
Semmai una ennesima dimostrazione dell’universalità dell’umano (ricordo tanti anni al master della SMEA il manager di un’azienda appasionarsi per la dimensione economica dell’uomo, visione che mi è sempre sembrata limitata e riduttiva rispetto alla dimensione umana delle persone). Dimostrazione che probabilmente si chiude e si rafforza (oppure si cortorcuita a seconda del punto di vista) osservando con il percorso umano di Aldo Brandirali, fondatore dell’estinta rivista dell’Unione Comunisti Italiani “Servire il Popolo”.

Comunque la si veda, io spero che questo aiuti a dare fiducia alle persone che cercano di guidare e non di comandare. Bisogna essere (diventare) forti per non aver timore della tenerezza.

Il bello è che secondo le rilevazioni dell’agenzia di rating della responsabilità sociale delle imprese Standard Ethics, le imprese “più buone” sono anche quelle con i migliori risultati nel lungo periodo.

Nostalgia canaglia!

Avevo diversi argomenti in testa per il post di oggi:
- terza puntata su “gli effetti della crisi: la disoccuopazione”. Scartato perchè discettare di lusso e consumi è una cosa, ma parlare di (mancanza) di lavoro significa veramente parlare della vita delle persone. Rimando ad altra data.
- motivi e metodi per una nuova evangelizzazione del vino. Scartato perchè i concetti su cui sto ragionando sono particolarmente contro-intuitivi quindi è bene dargli altro tempo per maturare.
- una giaculatoria contro la Presidente dell’Autorità Portuale Marina Monassi che, in combutta con il suo compagno di vita ex (finalmente) senatore Giulio Camber continua a bloccare ogni via di sviluppo di Trieste, in modo da mantenere il proprio potere ed alimentare il proprio ego. Scartato perchè non voglio rovinarmi il karma per chi ha avuto la sfacciataggine di provare a mantenere la direzione generale della multiutility comunale Acegas APS dopo essere stata ri-nominata (nomina ministeriale) presidente dell’Autorità Portuale. Siccome però credo sia un’emblematica storia italiana ecco i link ad un vecchio articolo di Paolo Rumiz, che risale ai tempi della prima nomina della Monassi alla presidenza del porto, ad un articolo agiografico apparso su un sito che dichiara di occuparsi di cultura creativa (???) ed un comunicato stampa del sito Trieste5Stelle (se non altro per il peso che ha acquisito il M5S nella politica nazionale). Ognuno si faccia la propria opinione, visto che non sono riuscito a trovare le uniche informazioni che contavano ossia quelle relative ai risultati della prima gestione del porto da parte della Monassi.

E allora di cosa *@§#X% parlo oggi?

Per una volta mi affido più all’emozione che al razioncinio e parto dall’impressione che mi ha fatto entrare in un centro commerciale a Mosca lo scorso febbraio. Vedere il sushi bar con sopra la maxi bottiglia di Budweiser e pensare di essere a Mosca per me è stato sorprendente.
Immagino che sia una sensazione comune con tutti quelli che sono cresciuti quando esisteva l’Unione Sovietica e questa giocava comunque un ruolo importante dal punto di vista politico, militare, sociale, economico, sportivo, ecc… Come mi disse una volta il mio maestro di scherma rumeno “Non avrei mai sperato un giorno di vedere la fine del regime (comunista).”

Per questo presumo che se per me è sorprendente, per chi è nato e cresciuto in Unione Sovietica, un posto così tenderà ad essere incredibile/sconvolgente.

Sarà la ragione per cui:
- la televisione di stato russa sia piena di vecchi film sovietici con il loro carico di (superata) propaganda e di nuove produzioni che distorgono, idealizzandoli, i bei vecchi tempi dell’Unione Sovietica.
- secondo una recente ricerca almeno il 40% della popolazione vorrebbe vivere nel sistema politico sovietico (causa o effetto del punto precedente? Probabilmente entrambi).
- dalla stessa ricerca appare che il 51% dei russi desidera apertamente un sistema economico di stile sovietico, con pianificazione statale della produzione e della distribuzione della ricchezza, solo il 17% della popolazione è soddisfatta del sistema attuale e solo il 22% supporta il modello democratico occidentale.
- nell’ultimo anno i russi favorevoli all’economia di mercato ed alla proprietà privata è sceso dal 35% al 29%.
(dall’articolo “Ritorno all’Unione Sovietica di Stalin” pubblicato sul Moscow Time del 15-02-2013 a firma Georgy Bovt)

La prima considerazione che mi è venuta in mente leggendo questi numeri è che un sushi bar con la pubblicità della Budweiser in un centro commerciale a Mosca è un posto assolutamente ovvio per tutti i russi nati dopo il 1990 (come per il loro coetanei di buona parte del mondo).

La Russia quindi avrà fatalmente un futuro post-sovietico, nel cammino inciamperà tanto meno quanto prima più smettera di andare avanti guardando indietro.

La settimana prossima sono a Dusseldorf a Prowein. Non so se riuscirò a mantenre il mio appuntamento settimanale con il blog. Se volete venite a trovarmi.

Le conseguenze della crisi economica: il calo dei consumi in Italia.

Se la settimana scorso il rischio di dire banalità era alto, con il titolo di oggi diventa una sicurezza. Se non altro, come dico da molti anni e sicuramente avrò già scritto in qualche post, le banalità hanno il pregio avere un gran fondamento di verità.

La prima, vera, banalità l’ha detta mio papà mercoledì sera a cena. Quando al telegiornale hanno riportato la notizia che in base all’indicatore di Confcommercio il calo dei consumi di gennaio porta i consumi al livello del 2004, il suo commento è stato “Perchè nel 2004 stavamo male?”. Ovvio che si tratta del commento di una persona anziana (quest’anno saranno 84) che confronta la situazione di oggi in una prospettiva quasi storica, probabilmente considerando più o meno consciamente è cresciuto in una casa dove non c’era praticamente niente di quello che ha oggi (telegono, televisore, lavatrice, riscaldamento, divani e poltrone, ecc..). Attenzione per i più giovani: non è che la sua fosse una famiglia povera, era una famiglia normale. Anzi abitando in città aveva più comodità di chi, la maggioranaza della popolazione, viveva in campagna.

Oppure più banalmente considera che stava meglio quando aveva solo 74 anni.

Ad ogni modo è una percezione probabilmente condivisa da un discreto numero di persone, considerando che gli italiani con più di 65 anni sono il 20,8%..

Al di là delle percezioni, quali sono i fatti?
L’indicatore Confcommercio a gennaio 2013 rileva consumi in calo a valore del 2,4% rispetto allo stesso mese dell’anno prima. Dato che porta la media mobile a tre mesi dei consumi allo stesso livello del 2004 (tecnicamente una cosa un po’ diversa da dire “i consumi sono tornati al livello del 2004″, ma la sostanza del discorso non cambia).
Disaggregando, i servizi hanno fatto -3,7% ed i beni hanno fatto -2%. Beni e servizi per la mobilità hanno fatto segnare -10,1%, alimentari-bevande-tabacchi -3,9%, abbigliamento e calzature -3,9%. In positivo, come già successo nel 2012, solamente i beni e servizi legati alle telecomunicazioni che hanno segnato un +5,7% sul gennaio 2012.

Un paio di banali considerazioni. Quante macchine ci possono stare ancora sulle strade italiane (perchè nei garages non c’è più posto già da tempo)? Nel 2010 (ultimo dato disponibile) in Italia c’erano 61 auto immatricolate ogni 100 abitanti, record europeo. Crisi economica o meno forse si poteva prevedere che il parco automobilistico italiano si sta avvicinando al livello di saturazione e quindi il mercato si sarebbe bloccato. Leggete questo articiolo sulla crisi del mercato dell’auto ed i relativi commenti, un esempio perfetto di miopia di marketing da parte degli operatori del mercato dell’auto. Come dice Bisio i politici sono espresione del Paese e quindi lo scollamento con dalla realtà riguarda ahimè tutte le classi dirigenti, non solo quella politica.
Evito il cerchiobottismo di citare i benefici relativi alla diminuzione dell’inquinamento, perchè non ho trovato dati chiari di correlazione, ma chi vuole farsi un’idea può guardarsi questo rapporto dell’OMS aggiornato al 2010.

Riguardo ai dati su alimentari-bevande-tabacchi, la categoria mi sembra un po’ troppo eterogenea ed allora faccio riferimento ad alcuni dati riportati nel numero di febbraio della rivista GDO Week:
- secondo i dati Istat la vendita di alimentari in valore nei primi 11 mesi del 2012 è calata dello 0,6% rispetto allo stesso periodo del 2011. Il discount però è cresciuto dell’1,6%. Di conseguenza il trende delle vendite a volume è migliore, però non ci sono dati quindi può essere calato meno, rimasto costante o, addirittura cresciuto.
- sempre da fonte Istat il dato che il peso medio degli italiani sta scendendo e nell’ultimo triennio il numero delle persone sovrappeso è calata dell0 0,5%. Effetto del fatto che si mangia meno e si cammina/pedala di più? E questi comportamenti quanto sono effetto della crisi e quanto di cambiamenti di stili di vita, anche per maggiore informazione sui mezzi di comunicazione come questi recenti esempi su Corriere e Gazzetta? Oppure anche in questo caso è una conseguenza degli andamenti demografici?
- secondo una ricerca SWG la metà dei consumatori italiani ha messo in atto strategie per ridurre gli sprechi, ma o nono sono abbastanza oppure non sono abbastanza bravi se si crede alle stime del Barilla Center secondo cui le famiglie italiane buttano il 35% dei prodotti freschi, il 19% del pane ed il 16% della frutta e verdura. E’ evidente che se riduco gli sprechi spendo meno senza consumare meno.
- secondo i dati di SymphonyIRI Group nel canale super-iper-discount sono in crescita farina, uova, burro, fette biscottate, caffè, miele, confetture. Un riscontro oggettivo delle ricerche che indicano un ritorno in cucina rispetto al passato (a furia di guardare gente che cusina in televisione e comprare milioni di libri di ricette…). Questa tendenza ha portato anche ad un aumento degli elettrodomestici da cucina, necessaria quegli 11 milioni di italiani che si preparano in casa regolarmente pane, yougurt, gelati, gelati, conserve, biscotti e dolci. Conseguenza della crisi economica o della voglia/ricerca di genuinità/sicurezza/relax/creatività? Attenzione che cucinare di più è anche un modo per ridurre gli sprechi. Emblematica questa ricetta di marmellata di bucce d’arancia di una vecchia amica ricercatrice diventata food blogger. E’ evidente che se compro gli ingredienti e cucino io la torta spendo meno rispetto a comprarla già fatta, senza ridurra i consumi.
- cucinare di più e sprecare di meno sono alla base anche del crescente numero di persone (pare che occasionalmente siano 7,7 milioni e regolarmente 3,7 milioni) che al lavoro mangiano un pranzo portato da casa. Anche qui quanto è l’effetto della crisi e quanto voler sapere cosa si mangia? Per tornare poi al post della settimana scorsa, il fatto di pranzare potendo scegliere ogni giorno tra 3 primi, 3 secondi, frutta e dolce è un lusso che ho sempre apprezzato come tale.

In conclusione mi sono reso conto che più o meno questi discorsi li avevo fatti già postati nel 2008 in due post intitolati “Sviluppo(?) sostenibile(!)” (li trovate qui e qui).

Questo conferma due cose:
- che probabilmente la crisi è strutturale perchè gli stessi fenomeni sono ancora in corso 5 anni dopo.
- che probabilmente i cambiamenti strutturali sono appena iniziati e non saranno nè facili nè semplici.
- che diventando vecchio mi ripeto.

Dopo i consumi, la prossima settimana analisi sugli effetti della crisi sulla produzione (e quindi sull’occupazione).

percezione più diffusa sembra comunque essere quella di insoddisfazione

Le conseguenze della crisi economica: il ritorno del lusso.

Più ci penso e più questo post diventa complicato. Non tanto perchè nessuno a raccolto il mio appello per segnali a sostegno del ritorno del lusso lanciato lo scorso 24 febbraio, ma perchè mi viene difficile parlare delle conseguenze della crisi senza fare un’analisi della crisi stessa.

Che però è un argomento troppo tosto per affrontarlo alle 10 di sera, cercando di non dire banalità, stupidaggini e di scrivere 10 cartelle.

Cerco allora di circoscriverlo ai fini dell’argomento lusso e poi magari continuerò la serie “Le conseguenze della crisi economica…” su altri aspetti.

La premessa generale è che la crisi è strutturale. Che sia conseguenza di un’accelerazione di cambiamenti socio economici strutturali che erano già in atto o che la crisi economica li abbia generati tout-court, non importa. Il risultato non cambia, ed il risultato è che la conclusione di questa crisi avverra in seguito a modifiche dell’attuale struttura socio-economica.

Mi scuso se sembro banale e tautologico, però l’enunciazione “la crisi è strutturale” l’abbiamo sentita tante di quelle volte da dimenticare l’ovvia conseguenza che se ne esce (non è detto che positivamente) solo attraverso un cambiamento altrettanto strutturale. Ce lo siamo dimenticati anche perchè la grandissima maggioranza delle soluzioni proposte sono state congiuntutali, tese ad aumentare afficacia ed efficienza delle attuali strutture (materiali ed immateriali) più che a definirne delle nuove.

Uno di questi cambiamenti strutturali in atto è il ritorno del lusso. Non del lusso accessibile o del lusso democratico, che anzi tendono a ridimensionarsi, ma del lusso lusso.

Tutta una serie di prodotti e servizi tornano ad essere appannaggio di una minoranza della popolazione e quindi riacquistano la loro valenza apirazionale.

Uno dei segni che cercavo per confermare questa cosa che mi frullava nella testa l’ho trovato sullo scaffale del supermercato sabato facendo la spesa: sulla confezione di una nota marca di tigella (finiti i bei tempi di quando avevo il tempo di farmi le crescentine in casa, a Modena) si annunciava il concorso che metteva in palio 60 crociere nel Mediterraneo.

Dubito che solo 5 anni fa avrebbe avuto lo stesso appeal sul consumatore. Dieci anni fa dovevamo trovare il premio per un concorso della Vodka Keglevich e ci mettemmo un po’ a deciderci per il New Beetle Volkswagen, uscito da poco. A parte la coerenza tra lo “stile di vita” della Kegleviche del New Beetle, l’esclusività derivava anche dal fatto che per comprarla in concessionaria le attese erano lunghe.

Quello che voglio dire è che solo 5 anni fa il premio di una crociera nel Mediterraneo avrebbe fatto sognare un segmento limitato dei consumatori italiani. Tolti quelli a cui una crociera non interessa, la maggior parte degli altri o l’aveva già fatta oppure se la poteva comprare quando voleva.

In termini di marketing strategico e operativo le implicazioni sono parecchie. Diventa inutile tutto il castello teorico che avevo costruito nel 2008 sul concetto di “lusso inclusivo”, mentre diventano più importanti per i beni di largo consumo i concetti di bare bones marketing e di marketing democratico.

Il linkare vecchi post non è solo stanchezza, è che nei momenti di confusione vale la pena andare a ricercare i vecchi paletti su cui trovare qualche ancoraggio.