Sono usciti i dati di #winebynumbers sul commercio internazionale di vino gennaio-marzo 2015: ecco qui alcuni miei approfondimenti.

E’ stato pubblicato ieri l’ultimo “Wine by Numbers” con i dati relativi al commercio internazionale del vino relativi al primo trimestre 2015 (grazie ad UIV, Corriere Vinicolo e Carlo Flamini).

Ho fatto una breve analisi, ricavando alcuni approfondimenti che credo possano essere interessanti. Eccoli di seguito.

    1. Le vendite di vini italiani in bottiglia aggregando vini fermi e spumanti in UK crescono di 2 milioni di litri rispetto allo stesso periodo del 2014. Questo dato importante non appare chiaramente, perchè le statistiche rilevano separatamente vini fermi e spumanti, indicando la variazione rispetto all’anno prima. Però non si vive di % ed il -12% dei vini fermi significa poco, come il +81% degli spumanti, slegato dal contesto dei valori assoluti.
    2. Le esportazioni francesi sono polarizzate dall’aggregato champagne+bordeaux+borgogna. La somma di queste tre denominazioni rappresenta il 28% delle esportazioni vini fermi+spumanti in volume ed il 63% in valore. Si evidenzia quindi la scarsa rappresentativa del dato del prezzo medio delle esportazioni francesi (se di % non si vive, di sola media si rischia di morire).
    3. Il prezzo medio al litro dei vini esportati dall’Italia SUPERA quello dei vini francesi per i vini IGT, varietali e da tavola. Più precisamente i vini italiani esportati rispetto ai francesi sono più cari di 0,46 euro/litro per gli IGT, 0,45 euro/litro per i varietali e 0,03 euro/litro per i vini da tavola. Questo dato non è una novità, ma si riscontra regolarmente da tempo ed è conseguenza della polarizzazione di cui al punto 2. Dove si dimostra che la verifica dei fatti (fact checking per parlare come i veri) permette di sfatare anche i miti più consolidati, come quello che i francesi siano più bravi a valorizzare tutti i loro vini. I francesi sfruttano il vantaggio del pioniere nella tutela e valorizzazioni dei terroir, definiti anche dalla componente socio-economica mi raccomando,soprattutto quelli più antichi. Poi, volendo, anche sulla differenza di 0,29 euro/litro a favore dei doc francesi escluso l’aggregato champagne+bordeaux+borgogna, si potrebbe approfondire il confronto dei costi detrminato dalle rese per ettaro e tecniche di viticoltura.

“Si la voglio!” la lista nozze da CRAI: idea geniale o cagata pazzesca?

Il 3 marzo del 2013 (oltre due anni fa!) ho pubblicato il post dal titolo “Le conseguenze della crisi economica: il ritorno del lusso.”e la conseguente rinnovata efficaci di promozioni e concorsi. Quindi oggi non dovrei stupirmi della promozione “Si la voglio!” lanciata dai supermercati CRAI, che permette ai novelli sposi di fare la lista nozze in buoni spesa da spendere nel proprio negozio CRAI. Eppure ho fatto un salto sulla sedia quando ho sentito lo spot alla radio.

CRAI, che sta per Commissionarie Riunite Alimentaristi Italiani, è una cooperativa tra dettaglianti fondata nel 1973 per operare in modo congiunto e coordinato sotto un’unica insegna. CRAI si caratterizza come sinonimo di negozi di prossimità (potremmo dire come piccoli negozi o supermercati di quartiere) ed opera oggi con 3.000 punti vendita affiliati, presenti in 1.000 degli oltre 8.000 comuni italiani ed in 19 regioni.

Nel 2014 sviluppava un fatturato complessivo di 3,5 di euro, equivalenti ad una quota di mercato del 3,7%.

Ha un bel posizionamento “Nel cuore dell’Italia” (bello perchè valorizza con coerenza la sua storia e la sua identità) e da una settimana ha lanciato una nuova promozione che permette a chi si sposa si fare la lista nozze alimentare da CRAI.

Copio-incollo il comunicato stampa dell’insegna, che spiega in modo chiaro i presupposti e gli obiettivi strategici sui quali si basa l’iniziativa:

Non più argenteria, né servizi di Boemia e neanche elettrodomestici, niente di tutto questo per i neo sposi in tempo di crisi. Ora la lista di nozze si può organizzare al supermercato per farsi regalare la spesa. Dal momento del fatidico ‘sì’ fino a due anni dopo. L’iniziativa viene lanciata da Crai, marchio storico della distribuzione italiana, un’operazione strettamente coerente con la strategia della catena di supermercati che ha l’obiettivo di raccogliere le esigenze delle famiglie italiane e soddisfarne i bisogni più comuni.

“La spesa alimentare è sicuramente una voce significativa e inevitabile nel budget di una coppia di neo sposi – afferma Mario La Viola, direttore marketing e format di Crai Secom – sempre più spesso infatti si arriva al matrimonio dopo anni di convivenza, in una casa già completamente attrezzata. Per questa ragione la tradizionale lista nozze non è più così attuale. Con la nostra lista nozze vogliamo continuare a seguire la direzione strategica che mette al centro il nostro cliente e le sue esigenze fondamentali”.

Grazie al lancio della “Lista Nozze”, infatti, Crai attiva un’ulteriore proposta utile per i clienti esprimendo così la sua vicinanza alle loro necessità, considerando anche l’attuale situazione economica. I futuri sposi potranno registrarsi sul sito (www.craiweb.net/sposi) e generare una “pagina” dedicata al loro matrimonio con tutte le indicazioni su dove si terrà la cerimonia, dove ci si sposterà per il pranzo.

Inoltre si potranno sfogliare le loro fotografie e leggere un breve racconto della storia che li ha portati fino all’altare. In questa sezione sarà possibile creare la propria lista nozze, selezionando il punto vendita più vicino a casa in cui poi utilizzare i buoni spesa. A questo punto basterà invitare gli amici a contribuire.

Per chi vuole partecipare alla lista nozze l’operazione sarà altrettanto semplice: basterà registrarsi sul sito, indicare la somma in regalo e ..con un click il regalo è fatto. La somma finale raccolta sarà convertita in buoni spesa del valore di 20 euro ciascuno, che i novelli sposi potranno spendere entro due anni dalla data delle nozze. E ad ogni lista nozze ci sarà anche un regalo agli sposi da parte di Crai.

Aggiungo almeno altri due vantaggi che credo il management di CRAI avrà considerato nel valutare l’iniziativa: la fidelizzazione dei clienti che rimangono legati al punto vendita almeno fino all’esaurimento dei buoni e l’incasso anticipato di tutte le spese future a fronte dell’emissione dei buoni sconto.

In più, ciglieGIONA sulla torta, l’ampia copertura mediatica, con relativa visibilità del marchio CRAI, data dai mezzi di comunicazione ad un’iniziativa che prende una posizione molto forte nella visione della società (ed infatti moltissimi mezzi di comunicazione, on e off line, hanno ripreso il comunicato stampa dell’azienda).

Complimenti per l’idea geniale! Complimenti? A me sembra più una cagata pazzesca (con riserva).

Questo per almeno due ragioni diverse ma collegate.

Dal punto di vista dell’immagine, regalare buoni spesa per il matrimonio è una cosa sinceramente triste, e pure un filino angosciante.

Il messaggio (forte) che comunica la promozione è: “siamo messi talmente male che come regalo di matrimonio chiediamo roba da mangiare”. Ed il “siamo” ha sia una valenza specifica (la coppia di sposi che scelgono questa lista di nozze) che per la società generale.

Non siamo più capaci di fare dell’umorismo sulle nostre miserie, e forse non è nemmeno il caso, ma immagino come ai tempi d’oro della commedia all’italiana ci sarebbero andati a nozze (ok il gioco di parole è bieco, ma non ho resistito) nello scrivere una sceneggiatura con i commenti imbarazzati ed i pettegolezzi imbarazzanti degli invitati alla cerimonia e dei conoscenti.

Commenti che si ripeteranno ogni volta che la sposa (soprassiedo sul sessismo implicito della campagna) creerà la fila alle casse quando pagherà la spesa con i buoni “Si la voglio”.

L’immagine proiettata dalla promozione “Si la voglio” è mesta non tanto per la situazione economica in cui si trovano le persone, ma perchè non implica alcun vantaggio rispetto a regalare agli sposi direttamente il contante.

Anzi implica sicuramente degli svantaggi per gli impliciti i vincoli di utilizzo. Se, come dice il comunicato stampa CRAI gli sposi oggi arrivano al matrimonio con una casa completamente attrezzata, cosa c’è di meglio del contante da spendere in quello che voglio?

Soluzione che per gli sposi ha anche il vantaggio di essere una pratica consolidata (quindi “socialmente” normale) e per gli invitati di poter dare qualcosa comunque più tangibile rispetto ai buoni spesa CRAI.

Le scelte del consumatore sono sempre competitive e quindi in sintesi la domanda è la solita che nasce dal guardare le cose dal punto di vista del consumatore: perchè io che mi sposo dovrei scegliere di fare la lista nozze da CRAI (rispetto a farmi regalare direttamente i soldi)?

E non venitemi a parlare della possibilità di creare la pagina dedicata al nostro matrimonio sul sito CRAI ai tempi dei social networks.

Allora a me sembra una cagata pazzesca perchè il messaggio netto che proietta sul marchio CRAI non mi sembra di vicinanza agli italiani, ma piuttosto di malinconia.

Allora da viene la “riserva” a questa mia valutazione? Pare che dopo il polverone suscitato dalle uscite leggermente omofobiche di Barilla nel 2013, le vendite di Barilla negli USA siano cresciute.

Forse allora la vecchia regola della comunicazione “bene o male, purchè se ne parli” è più attuale di quanto io non creda.

Viva gli Sposi.

Cercando sponsor per l’equiraduno, ho imparato il marketing spiegato dai negozianti.

Italia a cavalloSto dando una mano alla ricerca di sponsor per l’equiraduno “L’Italia a cavallo” che la Fitetrec-ANTE organizzerà a Gradisca d’Isonzo il prossimo 27 e 28 giugno.

Ho contattato quindi diverse attività della zona e l’altro giorno stavo spiegando il programma alla proprietaria di un centro benessere.

Io: “Si possono sponsorizzare i giri in carrozza per il centro di Gradisca e la zona del “battesimo della sella” dove faremo a provare ai bambini l’esperienza di salire su un pony. Questo sarò un punto sicuramente molto affollato e, oltre agli striscioni è possibile distribuire materiale informativo e promozionale come buoni sconto, omaggi, ecc…”

Lei: “Guardi la cosa mi interessa, però siamo troppo sotto data (vero, n.d.a.) comunque io sconti non ne uso perchè ormai la gente è abituata con groupon e anche il 30% di sconto sembra poco. Preferisco concentrarmi sul servizio e sulla qualità dei corsi. Anche per questo non mi sembra giusto nei confronti dei miei clienti attuali offrire condizioni speciali agli eventuali nuovi.”

Gulp!

In due frasi ho toccato la realtà di alcuni concetti strategici chiave.

Il rischio concretissimo di sposizionamento per i fornitori che rappresenta l’e-commerce basato su forti sconti e rapida rotazione delle offerte. Ne avevo già parlato oltre un anno fa riguardo all’e-commerce del vino. L’acume strategico della mia potenziale sponsor ci ricorda che un modello di business in cui godono solo consumatori ed intermediari, ma non i fornitori, non è un modello di business sostenibile. Quindi se siete fornitori di beni e servizi, pensateci tre volte prima di aderire a queste iniziative/canali, perchè il prezzo (sconti compresi) è una variabile sempre molto difficile da modificare DOPO.

Meglio quindi concentrarsi sul valore e fidelizzare i propri clienti, ricordandosi anche qui che you get what you give, quindi se vuoi fedeltà devi anche offrirla e non correre dietro al primo/a (potenziale cliente) che capita con condizioni speciali, migliori di quelle riservate a quelli attuali. In poche parole devi evitare che i tuoi attuali clienti si sentano becchi e bastonati.

Non sono riuscito ad avere la sponsorizzazione, però ho avuto una bella dimostrazione di cosa significa che il marketing è buon senso strutturato.

P.S.: se qualcuno fosse interessato a sponsorizzare l’equiraduno, ci sono ancora spazi liberi.

 

Comma 22, ovvero perchè non riesco a comprare un libro sul sito IBS.

Bonvi_Comma22Il “Comma 22” per me è e sarà sempre quello delle Sturmtruppen di Bonvi “Chiunque è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di guerra, però chi chiede di essere esentato dalle missioni di guerra non è pazzo”.

Mi è tornato in mente l’altro giorno quando volevo comprare un libro on line dal sito IBS.

Si da il caso che io abbia già comprato nel corso degli anni alcuni libri dal sito IBS e quindi, necessariamente, abbia già un mio “profilo IBS”.

Si dà anche il caso che nel frattempo abbia cambiato la mia situazione professionale aprendo la partita IVA ed il libro che volevo comprare in questa occasione era un libro professionale.

Tra i dati obbligatori richiesti per la fatturazione e concludere l’acquisto il sito richiede obbligatoriamente il codice fiscale, quando poi ho inserito la partita IVA è venuto fuori un messaggio che non si poteva concludere l’ordine perchè il codice fiscale è già in uso da un altro profilo.

Sono quindi entrato nella sezione apposita per modificare il profilo da persona fisica a ditta individuale. Però anche come ditta individuale è obbligatorio indicare il codice fiscale e quindi ricevevo lo stesso messaggio. Per creare, o per modificare, il mio profilo da persona fisica a persona giuridica devo obbligatoriamente mettere il mio codice fiscale, ma se inserisco il mio codice fiscale non posso creare/modificare il profilo perchè quel codice fiscale è già associato ad un profilo (il mio).

La conclusione è che ho comprato il libro da un altro sito.

Le riflessioni che ne sono nate invece sono le seguenti:

- nel definire delle procedure organizzative, non importa che siano un algoritmo che fa funzionare un sito oppure una procedura interna, il principio di PARSIMONIA è quello che porta alla massima efficienza ed efficacia. Perchè se creo un profilo come ditta individuale mi chiedi anche il codice fiscale, in aggiunta alla partita IVA? Anche se non mi avessero messo in un circolo vizioso, mi fanno comunque fare della fatica inutile.

-   il marketing, inteso come approccio di gestione che punta a raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione attraverso una soddisfazione dei bisogni e desideri dei propri clienti attuali o potenziali migliore dei concorrenti, è un approccio che va seguito continuamente in ogni punto di contatto che si crea con il pubblico. Questa necessità di disciplina operativa non si presenta, o si presenta ad intensità molto più bassa, negli altri ambiti aziendali.

L’installazione di un nuovo macchinario o l’adozione di una determinata tecnica contabile è una scelta interna dell’azienda che implica cambiamenti organizzativi ed operativi noti e quindi, dal momento del loro inserimento, vengono seguiti “automaticamente”. Dove “automaticamente” è tra virgolette per significare la consapevolezza che le cose non succedono da sole, che è necessaria formazione nell’adozione del nuovo impianto o della nuova procedura. Però non c’è il rischio che si torni indietro (inconsciamente) e, per esempio, dall’attribuzione dei salari ai costi variabili di produzione si passi invece a considerarli nei costi fissi.

Per realizzare l’approccio di marketing invece i comportamenti operativi che deve adottare l’azienda sono numerosissimi e solo in parte prevedibili, perchè nascono dalla miriade dei comportamenti delle persone. Da qui il rischio che prevalgano le (presunte) esigenze oprganizzative ed operative di chi lavora nell’azienda e non quelle dei clienti.

Forse ho già parafrasato Forrest Gump: marketing è chi marketing fa. E per fare marketing bisogna essere inflessibili riguardo alla propria flessibilità.

Mi ha scritto il Signor Arexons …

…. per cui faccio un’eccezione alla mia classica cadenza domenicale di pubblicazione.

Non lo faccio tanto per ringraziare dell’attenzione (il dottor Elber mi ha scritto tempestivamente lunedì, sono io che ho avuto da fare) ma perchè hanno chiarito che l’assenza dell’app è una scelta e non un caso.

Scelta dovuta principalmente ad un rischio di bassa efficacia, legata all’inflazione di apps ed alla necessità che il consumatore consumatore se la scarichi, ed alla certezza dei considerevoli costi per scriverla nei tre sistemi operativi attualmente sul mercato, quindi scarsa efficienza.

Da qui la scelta di utilizzare la chat sul sito. Per completezza sono andato a vedere il sito da cellulare, perchè se funzionasse bene solo dal computer cadrebbe tutta la strategia, e confermo che l’utilizzo della chat è assolutamente pratico.

Questa strategia di Arexons, unita alla frammentazione dei sistemi operativi smartphone ed alla crescente arbitrarietà degli algoritmi delle piattaforme social, pone in dubbio uno degli orientamenti che sto personalmente adottando nel web marketing dal 2011: conviene andare ad interagire con le persone dove si trovano loro invece di fare (l’inutile) fatica di portarli sul proprio sito, che va quindi rivisto sostanzialmente come statico e monografico.

Devo rivalutare i vantaggi e l’importanza di attrarre le persone in un ambiente (il sito) di cui ho il pieno controllo. Intanto ci penso, poi magari una settimana di queste approfondisco.

 

 

“Chiedi all’esperto”: Arexons inventa l’acquisto selfsevice …. assistito

Una decina di giorni fa ero nel mio supermercato di fiducia (non è uno slogan, c’è davvero) e cercavo una cosa da comprare. Non mi ricordo cosa fosse, forse l’additivo anticalcare per il ferro da stiro, comunque un prodotto che non acquisto di frequente.

Anche così, considerate che stiamo parlando di un supermercato piccolo con 6 casse (e non ne funzionano mai più di 4), dove faccio la spesa tutte le settimane. Eppure non riuscivo a trovarlo. Giravo tra le poche corsie cercando di immaginare i ragionamenti di category management (parola grossa) che potevano aver fatto nel disporre i prodotti, ma niente.

Allora mi sono ricordato della distribuzione pre-supermercati di quando ero piccolo, diciamo un po’ più di 40 anni fa: sarei entrato in un negozio specifico (ai tempi nessuno si sarebbe sognato di chiamarlo “specializzato”) ed avrei chiesto a chi stava dietro il banco (c’era sempre un banco) di darmi “il” prodotto per la quello che mi serviva. Raramente avrei chiesto una marca, normalmente avrei espresso un’esigenza.

Quella che oggi si chiama “vendita assistita” era la norma e, perso tra 4 corsie di un supermercato (grazie Clash!), mi sono reso conto di quanto l’esperienza di acquisto fosse più semplice.

Più limitata in termini di scelta? Sicuramente. Più costosa? Certo. Più dispersiva in termini di tempo? Forse si forse no. Ma sicuramente più facile per il consumatore (oltre che probabilmente più ecologica, se non altro per la riduzione del packaging).

Poi dopo un paio di giorni ho sentito per radio la nuova campagna Arexons “Chiedi all’esperto”. In sostanza la Arexons ha messo a disposizione dei consumatori un numero verde ed una chat sul sito, attraverso cui le persone potranno chiedere consiglio su quale prodotto Arexons comprare a seconda del problema che devono risolvere.

In pratica l’Arexons punta a fare una vendita assistita attraverso i canali distributivi self service.

L’idea mi sembra bella ed interessante e mi ha stimolato una serie di riflessioni che riporto sostanzialmente a ruota libera.

I prodotti Arexons sono tipicamente prodotti a bassa frequenza di acquisto e quindi prodotti con cui mediamente i potenziali consumatori hanno una bassa familiarità.

D’altra parte l’assortimento è piuttosto vasto, proprio perchè copre tutti gli aspetti della pulizia, lavaggio e manutenzione di auto, moto, nautica, ecc….

D’altra parte questa iniziativa di Arexons, soprattutto se avrà successo, evidenzia un grande limite dell’attuale struttura distributiva. 10 anni sarebbe stato impensabile che un consumatore di fronte allo scaffale chiamasse la Arexons per farsi consigliare su che prodotto acquistare, non tanto per limiti tecnologici, ma perchè avrebbe chiesto al personale del negozio.

La campagna “Chiedi all’esperto” sottolinea come oggi riuscire a trovare un addetto con cui parlare nei negozi della grande distribuzione, anche specializzata, sia difficile e come, quando finalmente lo si trova, spesso non sia particolarmente esperto sulle caratteristiche dei prodotti che ci sono in negozio.

Da un certo punto di vista la campagna “Chiedi all’esperto” segnala alle azienda della distribuzione la possibilità di acquisire un grande vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti, rispondendo alla richiesta di servizio che i loro clienti, oggi abbandonati, non trovano.

A meno che altre marce non seguano l’esempio Arexons e scavalchino la distribuzione nel servizio al consumatore. Mi chiedo come mai Arexons non abbia messo la chat in un app (magari tecnicamente non si può, scusate l’ignoranza).

Questa visione apre la strada verso il negozio a marchio, strada già consolidata nell’abbigliamento. Nel momento in cui io Arexons mi sono consolidato come “l’esperto” della pulizia, lavaggio e manutenzione di auto, moto, nautica, ecc…., cosa mi impedisce di valorizzare al massimo questo posizionamento del marchio utilizzandolo per aprire dei punti vendita, oltre che per i prodotti?

Secondo me per fare questo passo il limite è più mentale che non di competenze. Mentre la distribuzione è diventata anche produttore decenni fa con i prodotti a marchio proprio, i produttori faticano a fare il salto concettuale per diventare anche distributori.

Soprattutto nei mercati, come probabilmente quello di Arexons, dove non funzionerebbe un negozio monomarca, ma un negozio con un assoertimento adeguato potrebbe comunque sfruttare la forza del marchio Arexons.

Nella mia esperienza professionale ho provato almeno un paio di volte a portare l’azienda a fare esperienze nella distribuzione con modelli non monomarca, per la necessità di offrire un assortimento completo e rilevante al consumatore. I miei colleghi / superiori mi hanno sempre guardato perplessi e mi hanno chiesto se avevo considerato che in questo modo avremmo rischiato di sviluppare le vendite dei concorrenti.

Io ho sempre risposto che comunque la gestione del punto vendita e dell’assortimento rimaneva sotto il nostro controllo e che la distribuzione sarebbe stata una grandissima e preziosissima fonte di informazioni sul comportamento del consumatore.

Soprattutto aggiungevo che non vedevo nessun rischio, anzi se i prodotti di aziende concorrenti si sarebbero venduti meglio significava che il consumatore trovava la loro proposta migliore. Quindi comunque avrebbe finito per “batterci” sul mercato, però se noi ne eravamo i distributori avremmo imparato direttamente dalle loro strategie ed avremmo guadagnato sulle loro vendite. In sintesi più i miei concorrenti vendevano e più io avrei guadagnato: meglio di così, impossibile.

E’ a questo punto che lo sguardo da perplesso diventava allibito.

Sarà per questo che oggi io tifo Arexons.

Loacker: dai maestri del wafer, l’innovazione di prodotto …… monoprodotto.

Saranno quasi quarant’anni da quando ho mangiato i miei primi wafer Loacker.

Da quella volta non ne ho mai mangiati altri, semplicemente perchè i wafer Loacker sono (o mi sono sempre sembrati) nettamente i più buoni sul mercato.

Con l’età ho smesso di mangiare wafer, ma non di mangiare snack dolci (una volta dicevo che uno degli elementi caratterizzanti le società occidentali è la pornografia; credo si possa aggiungere il perdurare dei comportamenti adolescenziali, vedi facebook, anche se probabilmente la prima è conseguenza dei secondi).

Ho quindi ripreso a mangiare prodotti Loacker quando l’azienda ha lanciato sul mercato le tortine. Da qualche mese sugli scaffali del mio supermercato di fiducia sono apparse le barrette choco& milk cereals, che ho subito provato.

Essendo anche queste molto buone, sono diventate una presenza costante nel mio frigo (lo so che la cioccolata in frigo è una barbarie sensoriale, però non è che stiamo parlando di napoliten da degustazione).

Ecco la prova.

Loacker

Poi l’altro giorno mangiando una barretta mi sono reso conto che non è altro che una base di wafer Loacker “vestita”. Lo stesso vale per le tortine. Ed è per questo che sono così buone.

Ossia che il dominio della maestria nella produzione del miglior wafer permette alla Loacker di fare innovazione di prodotto, nel senso di proporre qualcosa che attira e soddisfa diversi segmenti di persone e diverse occasioni/momenti di consumo, rimanendo sostanzialmmente un’azienda “monoprodotto” (alla fine sempre wafer sono).

O per dirla in altro modo: the excellence pursuer succeeds for ever. I miei più sinceri complimenti.

Nota 1: lo stimolo a provare “automaticamente” i nuovi prodotti da parte dei consumatori è uno dei principali valori della reputazione di una marca. E quando dico valori intendo la parola nel suo significato monetario, perchè la prova generata dalla fiducia nella marca implica un considerevole risparmio in attività promo-pubblicitarie, noncè una accellerazione delle rotazioni. Doppio effetto: meno costi e più ricavi. Dubito però che questo valore sia monetizzabile da tutte le analisi che si realizzano attualmente per misurare il ROI di marketing (o ROMI: return on marketing investment) ed a cui vengono subordinate le decisioni sugli investimenti di marketing.

Nota 2: ovviamente questo post NON è un post sponsorizzato. Se l’avete pensato, lavatevi la bocca con l’aceto come quando si dicevano le parolacce.