Com’è e come sarà il consumatore americano di vino.

Continuo ad occuparmi di vino con una sintesi ragionata del profilo del consumatore U.S.A. di vino, basata sull’articolo di Larry Walker apparso sul numero di giugno di Meininger’s Wine Business International (rivista a cui consiglio vivamente di abbonarsi).

 

1. Quanti sono i consumatori di vino americani?

Secondo l’indagine del Wine Market Council nel 2014 in USA il 40% dei 230 milioni di americani adulti consumava vino, il che significa 92 milioni di consumatori di vino. 30,4 milioni di americani bevevano vino più di una volta a settimana (consumatori abituali), mentre 61,6 milioni bevevano meno di una volta a settimana (consumatori occasionali).

 

2. Quanto pesano i consumatori abituali sul totale dei consumi?

I consumatori abituali sono quindi il 33% del totale dei consumatori di vino, però bevono l’81% di tutto il vino consumato negli USA.

 

3. Come si suddividono in termini di gruppi demografici (e quindi, in parte, anche per atteggiamenti di consumo) i 30,4 milioni di consumatori abituali?

Sono per il 38% Baby Boomers (nati tra il 1946 ed il 1964),

per il 30% sono Millennials (nati tra il 1982 ed il 2004),

per il 19% sono Generation X (nati tra il 1964 ed il 1982)

e per il 13% sono consumatori oltre i 69 anni di età.

Nota bene: nell’analizzare i mercati io consiglio sempre di guardare (più) ai numeri assoluti oltre che alle %. Lascio a voi l’incombenza di fare i calcoli.

 

4. Cosa stanno bevendo i consumatori americani?

Secondo i dati Nielsen, che rileva sia le vendite dai dati scanner dei supermercati che quelle da alimentari (convenience) e liquor store, la tendenza più rilevante è la crescita degli uvaggi a scapito dei vini varietali. Questa tendenza coinvolge principalmente i vini rossi rispetto ai vini bianchi. Negli ultimi due anni il 41% dei nuovi vini apparsi sul mercato USA erano uvaggi, 31% erano uvaggi di vino rosso ed il 10% erano uvaggi di vini bianchi. Il varietale che più di tutti ha subito la sostituzione con gli vaggi è stato il Merlot.

 

5. Chi saranno consumatori di vino americani nel prossimo futuro?

5.1. Presumibilmente (il perchè del presumibilmente lo spiego dopo) soprattutto da quelli che oggi sono consumatori occasionali. I consumatori abituali sono vicini al massimo del consumo pro-capite (se non l’hanno già raggiunto). Il consumo di vino negli USA è ancora un fenomeno abbastanza recente da permettere l’acquisizione di nuovi consumatori che attualmente bevono altri tipi di bevande alcoliche. Per i Generation X ad esempio si è assistito ad un fenomeno di spostamento dalla birra al vino. Soprattutto per i Millenials (di cui non tutti hanno ancora raggiunto i 21 anni dell’età legale per bere alcolici) c’è ancora spazio nella crescita dei consumi pro-capite. Ricordiamoci che si tratta della prima generazione cresciuta in una società dove il consumo di vino era una cosa normale (nei media, nei film ed in TV, nelle recensioni sui giornali, ecc…). Ricordiamoci anche che si tratta di una generazione che è ancora agli inizi dello sviluppo del proprio livello economico e quindi è molto probabile che al crescere di questo cresca anche la disponibilità a spendere di più per bere vini migliori. Queste considerazioni, unite al fatto che la il totale della popolazione adulta negli USA continuerà a crescere, porta a prevedere che il consumo di vino negli USa continuerà a crescere nel medio periodo (il perchè ho scritto potenziale lo spiego più avanti).

5.2. Pronti per la iGeneration? L’altro grande aggregato dei futuri consumatori americani di vino del futuro è (sempre presumibilmente) la iGeneration, ovvero i “giovani Millennials” nati tra la metà ed il finire degli anni ’90. Sono la generazione in assoluto più “connessa”, quelli per cui il web e l’utilizzo multischermo in contemporanea (TV, tablet, smartphone) è la regola, analogico e digitiale sono aspetti di una unica realtà personale e si fondono per cercare di ottener il massimo in termini esperienziali (massimo di semplicità, profondità, rapidità, ecc…).

E’ una generazione da cui aspettaresi il costante uso di internet nel decidere le proprie scelte, quindi massima trasparenza e condivisione delle informazioni, massima capacità e voglia di sperimentare le marche (che implica potenzialmente la minima fedeltà alla marca), massima ricerca/richiesta di autenticità.

Stiamo parlando di 60 milioni di consumatori, che raggiungeranno l’età legale per bere alcolici nel 2016. Secondo i vari esperti, se questo gruppo demografico “abbraccerà” il consumo di vino, i consumi di vino negli USA decolleranno (ulteriormente aggiungo io).

Alcune mie note a margine su punti precedenti:

Punto 4:

nel 2012 la cantina dove lavoravo ha presentato una nuova linea pensata anche per il mercato USA composta da tre vini DOC: 1 bianco, 1 rosso ed 1 rosè spumante. Per il rosso invece di utilizzare un varietale abbiamo scelto di fare un uvaggio è di chiamare il vino solamente “Rosso”, seguito dalla denominazione. Fortuna o giudizio?

 

 

Punto 5:

la ragione per cui ho utilizzato il termine “presumibilmente” è perchè i settori delle altre bevande non stanno fermi a guardare la perdita di volumi e/o fatturati e/o quote di mercato. Rispetto alle generazioni precedenti, i consumatori più giovani (quelli appena più vecchi della i-Generation) si sono spostati verso vino e spirits a scapito della birra. La risposta del settore della birra è stata una intensificazione delle attività di marketing, anche relativamente allo sviluppo di nuovi prodotti, soprattutto da parte dei produttori di birre artigianli e da parte delle marche importate.  Suona famigliare? In aggiunta metteteci anche il sidro, che ha un buon legame culturale con il target anglosassone. La partita, o la battaglia se preferite, per conquistare i consumi della iGeneration si giocherà sull’intrattenimento, in tutti i significati e le modalità che volete dare alla parola. Da “divertimento” ad “approfondimento”, tanto per citarne un paio.

Quello che è sicuro è che per vincerla, la partita (o la battaglia) bisognerà giocarla. Ovvero la comunicazione al consumatore è un processo continuo che costantemente rinnova e rafforza le basi sui cui i consumatori scelgono noi rispetto agli altri. Dove “noi” e gli “altri” rappresentano sia le diverse categorie merceologiche che le diverse marche, a seconda del contesto settoriale oppure aziendale in cui si opera.

 

Punto 5.1:

Nel 2011 durante una riunione un mio illuminato collega non di marketing ha detto più o meno così “Io vedo mio figlio utilizzare la tecnologia digitale e mi convinco che per interagire con questa generazione dovremmo riuscire a digitalizzare il gusto“. E’ da quattro anni che ho in mente questa bellissima riflessione (grazie Josef) e forse sono sulla strada per arrivarci, almeno in parte.

ATTENZIONE QUESTO E’ UN POST DELL’ANNO SCORSO: Il boom del Prosecco è la (più probabile) ragione del calo del Pinot Grigio nel Regno Unito.

Stesso target di consumatore, stesse occasioni di consumo: come il Prosesso sta cannibalizzando il Pinot Grigio nel Regio Unito

56 visite 29 Luglio 2014 – Vino per piacere.biscomarketing

Lo scorso giugno al London Wine Fair l’argomento caldo riguardo al vino italiano era il pauroso calo delle vendite del Pinot Grigio nei supermercati inglesi. Al di là dei numeri nè ufficiali nè certi che giravano in fiera sulla riduzione delle vendite rispetto all’anno scorso (chi diceva -40%, chi -20%) per rendersi conto del crollo dei consumi del più popolare vino bianco italiano sul mercato inglese bastava una visita ad un qualsiasi supermercati: tutti i Pinot Grigio sullo scaffale erano ancora dell’annata 2012.

Preso atto del problema, ne ho discusso con diversi operatori presenti in Fiera per individuarne le cause. La prima ragione citata, come sempre quando ci sono cali di vendite, è stato il prezzo. Per diverse ragioni le catene della GDO inglese nel 2014 hanno ridotto il numero di promozioni in termini di durata e di taglio prezzo. Come conseguenza della diminuita intensità promozionale ci sono stati meno referenze Pinot Grigio in offerta a 4,99 sterline a bottiglia e/o le offerte sono durate meno tempo. Una spiegazione che non spiega il crollo delle rotazioni a scaffale, perchè questa situazione avrebbe dovuto portare caso mai ad una maggiore concentrazione delle vendite sui Pinot Grigio promozionati. La seconda ragione menzionata è stato un problema qualitativo, altro grando classico. A fronte di un aumento dei costi, le catene della GDO inglese per offrire Pinot Grigio a basso prezzo in modo e contemporaneamente mantenere, o migliorare, la propria marginalità, hanno inserito vini provenienti da zone d’Italia diverse rispetto a quelle tradizionali del nord-est. Il diverso livello qualitativo di questi Pinot Grigio venduti stabilmente tra le 3,99 e 4,99 sterline a bottiglia viene valutato insoddisfacente dal consumatore, che quindi non lo acquista. L’analisi che appare corretta e condivisbile, con buona pace di chi crede che nel Regno Unito basta avere “Pinot Grigio” sull’etichetta e un prezzo basso per vendere milioni di bottiglie, ma nuovamente non basta a spiegare l’entità della riduzione delle vendite a cui stiamo assistendo. Sia perchè il fenomeno dell’introduzione di Pinot Grigio da zone italiane “nuove” per questo varietale risale almeno a 2-3 anni fa, sia perchè comunque il consumatore poteva tornare all’acquisto dei marchi affidabili e conosciuti. La terza ragione a cui veniva ricondotto il calo del Pinot Grigio era la crescita delle vendite dei vini provenienti da Cile, Spagna e Sud Africa. Il problema in questo caso è che nessuno di questi paesi produttori ha dei vini con un profilo che si avvicina a quello del Pinot Grigio italiano e le preferenze alimentari delle persone sono comportamenti profondi che non cambiano radicalmente nell’arco di un anno.

Doveva esserci qualcos’altro.

Una sostituzione con un’altra bevanda. Probabilmente, ma non necessariamente, un altro vino era l’unica spiegazione per una variazione così forte e così rapida delle vendite. Sicuramente però non era nè un vino cileno, nè spagnolo nè sudafricano. La soluzione me l’ha suggerita qualche settimana fa un importatore inglese quando mi ha detto: “Il calo del Pinot Grigio è dovuto alla crescita del Prosecco”. Immediatamente tutto torna. Un tipico caso di miopia di marketing: i processi produttivi di Pinot Grigio e Prosecco spumante sono troppo diversi perchè le cantine li considerino concorrenti, ma per il consumatore si tratta di due vini molto simili. Sono due vini bianchi freschi, piacevoli, facili (ma non banali), informali e non impegnativi, con cui non si sbaglia mai. Non può essere un caso che siano bevuti dallo stesso profilo di consumatore giovane, prevalentemente donna, residente nelle grandi città e negli stessi momenti di consumo slegati dai pasti (pomeriggi estivi, aperitivo, dopo cena). Si può dire che per il consumatore inglese il Prosecco spumante è un Pinot Grigio con le bolle, quindi più cool, come dimostrato dalla sua diffusione nei locali di tendenza. un circolo virtuoso che si autoalimenta. Una prima conferma è arrivata con i dati delle dogane inglesi che riportano un aumento del 99,6% per le importazioni di vini spumanti italiani nel primo trimestre del 2014 rispetto al 2013. La conferma definitiva viene dai dati delle vendite di prosecco nelle principali catene inglesi pubblicati la scorsa settimana dalla rivista specializzata The Drinks Business: – Waitrose and Sainsbury’s dichiarano un incremento del 70% nelle vendite di Prosecco dall’inizio dell’anno. – Tesco ha venduto 4.000.000 di bottiglie di Prosecco da marzo in avanti. – Morrison nell’ultima settimana ha venduto 20.000 bottiglie di prosecco in più rispetto alla media.

Numeri che dimostrano, tra l’altro, come le scelte del consumatore inglese siano basate sul valore più che sul prezzo in assoluto, considerando che il  Prosecco in promozione costa 1,5-2 sterline a bottiglia di più del Pinot Grigio.

Michele Serra, la satira sul vino e l’individuazione delle tendenze.

Ciao come state? Riprendo le pubblicazioni di biscomarketing con il rientro dalle ferie (mio ed immagino di molti).

Per ricominciare in modo morbido parto da un argomento di stretta attualità (rarità per biscomarketing), tendente al cazzeggio e di tema vinicolo (d’altra parte il periodo vendemmiale invita).

Sull’ultimo numero del L’Espresso, Michele Serra (di cui non ho mai avuto molta stima come si può vedere ad esempio qui e qui) ha scritto un pezzo di satira sul vino che ha portato operatori ed opinion leaders del settore a chiedersi se questo non sia un segnale che la deriva elitista / settaria / intimorente causata dal (monotematico) atteggiamento verso l’eccellenza qualitativa sempre comunque è andata troppo oltre.

Il pezzo di Michele Serra, ed alcuni interessanti commenti che consiglio di leggere, lo trovate, tra gli altri, sul blog di Luciano Pignataro, mentre la mia risposta alla domanda di cui sopra è: no, l’articolo di Michele Serra non è il segnale che il mondo del vino si prende troppo sul serio, minando la normalità e quotidianità del rapporto tra le persone (consumatori) e la categoria di prodotto. Non lo è perchè questo segnale è apparso nel 2007 (2007!!!!) con la parodia del sommelier che faceva Antonio Albanese.

Un esempio di come individuare una tendenza che credo sia utile ed interessante allargare dal particolare al generale. Dal punto di vista di marketing la differenza tra una tendenza ed una moda è che la prima si colloca ad un livello più profondo della psiche collettiva del mercato (società). Di conseguenza ha una durata più lunga, è trasversale sui diversi settori (perchè riguarda tutta, o ampie fette, della società) ed è più difficile da cogliere con le classiche tecniche attive di ricerca di mercato (questionari, interviste, focus groups).

Il bello però è che possono essere colte con quelle che io chiamo tecniche passive: osservazione ed ascolto. Da anni dico, ovviamente non sono il solo, che per un’azienda il principale vantaggio di essere presente sui social networks è la possibilità di ascoltare.

Ma ancora prima che nei social media, le tendenze si manifestano sui media (nella misura in cui i social media diventano un media ovviamente questa differenza si riduce).

Sempre restando in ambito vinicolo, nel 2008 io prevedevo che il mercato USA continuasse a crescere in modo rilevante (anche) per la crescente presenza del vino nei film e telefilm americani. Una presenza rappresentava una tendenza presente nella società ed allo stesso tempo ne favoriva la diffusione, legandola sempre a situaizoni positive e qiondi ne promuoveva l’accettabilità sociale.

Qualcosa di simile è successo all’inizio degli anni 2000 con il concetto di multisensorialità, diffusosi negli ambiti più diversi.

Secondo me i segnali della nascita e della diffusione di una tendenza si ritrovano nell’arte. Quanto più “elevato”/astratto il livello dell’arte, tanto più precoci i segnali. Per fare un esempio fin troppo banale, l’alta moda si confronta con le arti figurative ed influenza il pret a porter, giù giù fino a Zara.

I lavori di Jeff Koons sono un segnale dell’ “adolescentizzazione” della società, sta poi alle aziende capire quali effetti ha (avuto) quest tendenza sul loro settore.

Io ho sempre bene presente, con un po’ di sgomento, che Dino Buzzati, genio travestito conformista, nel 1966 aveva descritto i “teletini”, nonchè il malcostume legato al loro utilizzo indiscriminato in ogni luogo e momento.

Per questo io consiglio sempre a chi si occupa di marketing di buttare ogni tanto un occhio ai diversi campi dell’arte, o all’arte nei diversi campi se preferite.

Per questo io vedo l’articolo di Michele Serra come un segnale positivo per il vino che (forse) è tornato ad essere almeno un argomento su cui vale la pena scherzare.