Ma questa pubblicita’ Lavazza e’ adeguata all audience de “L’Internazionale”?

adv Lavazza Italia

Oggi pubblico da smartphone, quindi saro’ breve per forza.

Venerdi’ su l’ultimo numero de “L’Internazionale” c’era questa pubblicita’ delle capsule Lavazza (spero che voi la vediate dritta, perche’ io la vedo storta). Realizzata come sempre da Armando Testa.

La cosa che mi ha colpito e’, giustamente, l’immagine centrale che comunica con chiarezza e forza il concetto di italianita’.

Tanto forte che partendo dal pattriottismo puo’ arrivare al militarismo, passando per il nazionalismo.

Per questo mi e’ venuto da chiedermi: questa creativita’ e’ adatta alla audience de “L’Internazionale”?.

Nell’era del marketing totale, vedi i vari post dei mesi scorsi, dove i prodotti di massa personalizzano le etichette per i singoli consumatori e’ corretto NON porsi la questione di realizzare una creativita’ adeguata per ogni mezzo utilizzato. Fatta salva ovviamente l’identita’ della marca?

Paranoie da fanatici del marketing?

 

Perchè è necessario pianificare.

In questo periodo sto preparando il piano marketing 2016 per un cliente.

Dopo aver validato le linee guida strategiche, la prima cosa che ho fatto è stato, ovviamente, scrivere il GANTT.

Il diagramma di GANTT è un documento dove sono elencate le varie attività previste/necessarie per la realizzazione di un progetto,con la loro data di inizio, la loro durata e le relazioni operative tra loro.

In pratica è uno schema che elenca cosa si deve fare, quando ed in quale sequenze. Non è l’unico schema utilizzabile per la pianificazioni di un progetto, ma è sicuramente il più diffuso e, secondo me, è molto comodo perchè evidenzia chiaramente che se state facendo una casa e siete in ritardo con i muri sarete in ritardo anche nel fare l’impianto elettrico, potrete comunque piantare le piante del giardino.

L’altro giorno parlavo con il cliente per fissare una data per vederci, ma non riuscivamo a far combaciare le agende quindi io ho detto: “Non  importa anche se non ci vediamo di persona, fissiamo un appunatmento per telefono che comunque con il GANNT davanti possiamo seguire facilmente l’effetto delle varie opzioni strategiche”.

Lui mi ha risposto “Si e no, perchè se il fornitore X non ci conferma i tempi, allora slitta anche la realizzazione dell’attività Z e rischiamo di trovarci in ritardo con Y”.

Già. Ma è proprio grazie al fatto che abbiamo il GANTT che siamo in grado di sapere se rischiamo di ritardare. E di conseguenza prendere le azioni correttive necessarie.

In quel momento mi si tornate in mente tutte le volte in cui in azienda avevo dovuto insistere per formalizzare la pianificazione dettagliata dei progetti. Molte di più quelle in cui io ho comunque formalizzato la pianificazione, ma non l’ho condivisa con i colleghi delle altre funzioni perchè “non avevano tempo”, “era troppo complicato”, ecc ….

Siccome però la responsabilità del progetto era mia e ne dovevo gestire diversi contemporaneamente i continuavo a fare i miei bei GANTT per non essere sommerso dagli eventi.

Mi sembra che ci siano una serie di atteggiamenti per me strani nei confronti della pianificazione.

Quello più sorprendente è la delusione/frustrazione/disaffezione la progetto se il piano non si realizza secondo il percorso previsto. L’obiettivo di un progetto in sintesi è sempre raggiungere i risultati necessari nei tempi previsti e pianificare significa costruirsi il metro con cui misuro come e dove sto andando.

Voglio dire che il piano non è un binario da cui non ci si può scostare, è una rotta su una mappa. Se le condizioni previste cambiano e quindi devo cambiare rotta per arrivare in tempo al punto previsto, questo è possibile (o molto più facile) GRAZIE al fatto che avevo un piano, non MALGRADO il piano.

Sembra, ed in effetti è, ovvio. Ma se non si ha la consapevolezza dell’utilità del piano sia se le cose vanno come previsto che, ancor di più, quando sorgono problemi/intoppi (ossia sempre), si farà sempre fatica a sfuggire alla pressione dell’operatività quotidiana e trovare il tempo per pianificare e prevedere le soluzioni alternative.

Detto in altre parole per pensare prima di fare.

Dimenticate cervello destro e cervello sinistro: adesso ci sono il cervello alto e quello basso.

cervelloQuesto è un post di riserva.

Oggi pomeriggio infatti mi ero messo di buzzo buono per scrivere un post riguardante il “caso Sauvignon” in Friuli.

Però man mano che scrivevo mi rendevo conto che ne usciva un post pedante ed inconcludente.

Allora ho deciso di cambiare tutto e lasciare il post sui “furbetti del pirazino”, come li ha definiti splendidamente un mio amico che aveva previsto il trambusto di questi giorni con mesi di anticipo, a quando si sarà chiarita la situazione.

Per il momento indico un po’ di link con cui quelli di voi più interessati a quanto accade nel mondo del vino possono farsi un’idea della questione.  Il Piccolo 1, Il Piccolo 2 Il Messaggero Veneto 1 Il Messaggero Veneto 2(che malgrado il nome è il quotidiano di Udine), IntravinoIl Fatto Quotidiano, L’Espresso, e Dagospia (che per rafgioni che mi sfuggono ultimamente sta dedicando una particolare attenzione al vino).

E dove mi ha portato a parare il cambiamento?

Al libro che ho comprato circa un mese fa, bighellonando in libreria (cosa che non succedeva da anni, nelle librerie on-line non so bighellonare, sarà l’età): “Cervello alto e cervello basso: perchè pensiamo ciò che pensiamo”, Stephen M. Kosslyn e G. Wayne Miller, Bollati Boringhieri, 2015.

Utilizzando (anche) le moderne tecniche della mappatura per immagini delle funzioni cerebrali all’interno del classico approccio analisi/verifica, gli autori propongono una nuova teoria per cui il cervello funziona per SISTEMI  e non dicotomie.

Soprattutto questi sistemi non seguono la conosciuta suddivisione in emisfero sinistro, logico e analitico, ed emisfero destro, artistico ed intuitivo. Bensì cervello basso (lobi occipitale, temporale e parte inferiore del frontale) e cervello alto (lobi parietale e parte superiore del frontale).

Il cervello basso è largamente coinvolto nell’elaborare gli imput provenienti dai sensi e nell’utilizzarli per attivare i ricordi appropriati relativi a specifici oggetti ed eventi, mentre il campo d’azione per eccellenza del cervello alto è concepire e portare avanti dei piani.

Ovviamente tutti utilizziamo costantemente entrambe i sistemi, però tutti abbiamo una tendenza ad utilizzare un sistema rispetto all’altro incaso di utilizzo opzionale e non “situazionale”. Cos’è l’utilizzo opzionale? Gli autori fanno l’esempio tra il camminare, azione dettata principalmente dalla situazione (voglio andare da A a B e quindi devo camminare) ed il ballare (difficilmente mi troverò nella situazione di dover assolutamente ballare, però se mi piace ballare approffiterò di tutte le occasioni/opzioni che ho ho per farlo).

Dalla combinazione della nostra attitudine ad utilizzare in diversa misura i due sistemi si generano 4 modalità cognitive:

1. Cervello basso molto utilizzato+cervello alto molto utilizzato: modalità dinamica.

2.Cervello basso poco utilizzato+ cervello alto molto utilizzato: modalità stimolativa.

3. Cervello basso poco utilizzato+cervello alto poco utilizzato: modalità adattiva.

4. Cervello basso molto utilizzato+cervello alto poco utilizzato: modalità percettiva.

 

E’ bene sottolineare come l’intesità di utilizzo dei due sistemi sia un continuum e non si realizzi invece per gradi discreti come lo schema qui sopra sembra suggerire. La schematizzazione però è utile per la comprensione.

A questo punto mi sono sopreso a trovare una similitudine tra questa teoria e quella degli stili di apprendimento di Peter Honey in cui mi sono imbattuto più di 10 anni fa durante un corso di formazione del managemente del gruppo Eckes-Stock (bei tempi). Questa teoria identifica 4 ruoli fondamentali che le persone tendono a prendere all’interno di un gruppo: leaders, realizzatori (doers), pensatori (thinkers), accuditori (carers).

A questo punto istintivamente mi è venuto da azzardare queste corrispondenze:

  • modalità dinamica = leader.
  • modalità stimolativa = realizzatore.
  • modalità adattiva = accuditore.
  • modalità percettiva = pensatore.

E sono solo a pagina 42 …….

Buonanotte (e non Federico, non ho riletto quello che ho scritto, anche perchè domattina la sveglia suona prima dell’alba che vado a Bologna a SANA, la fiera del biologico).

E’ vero che il brainstorming non funziona (più)? Secondo me no.

Brainstorming rules

Oggi mi prendo una pausa dagli argomenti viti-vinicoli per non far diventare questo blog troppo monocorde.

Lo faccio riflettendo su un articolo di Kevin Ashton (quello che ha inventato il termine “internet delle cose” mica pizza e fichi, che poi la pizza bianca con i fichi è buonissima) apparso lo scorso giugno su L’internazionle con il titolo “Il brainstorming è solo uno spreco di tempo”. L’articolo in italiano NON è disponibile on-line sul sito de L’Internazionale, però è disponibile l’originale inglese pubblicato dall’Observer.

L’uscita dell’articolo ha generato alcuni interventi tra i quali segnalo quelli di Annamaria Testa (pubblicitaria), Jacopo Fo (autore, attore e scrittore) e Ciro Esposito (professionista di comunicazione digitale, ho detto bene?). consiglio di leggerli tutti e tre, perchè portano punti di vista e contenuti diversi, che aiutano ad avere un’idea più chiara e completa della questione (come fosse unng  brainstorming).

Questi tre interventi sono più o meno d’accordo con Ashton con riserva. Nel senso che dipende da cosa si intende con il termine “brainstorming”.

“Brainstorming” è uno dei termini di marketing / gestione aziendale più abusati. Praticamente in ogni contesto aziendale (e non solo) ogni volta che si fanno delle chiacchere più o meno in libertà su un argomento qualcuno alla fine dice “abbiamo fatto un brainstorming”.

Non è così.

In estrema sintesi un brainstorming è una sessione di lavoro di gruppo, durante la quale un gruppo di persone si riunisce in un posto e sputa fuori tutte le idee che gli vengono in mente rispetto ad un determinato argomento.

Detto così, ci sta dentro di tutto. Ed infatti il mio sospetto è che l’inefficacia venga proprio dalla mancanza di regole, che non significa maggiore libertà (intelletuale), e di omogeneità nell’applicazione formale di questa tecnica.

La mia esperienza personale è che i brainstorming funzionano. Forse dipende da come ne ho fissato gli obiettivo e le modalità di realizzazione.

Lo scopo di un brainstorming è quello di generare idee (spunti), non di svilupparle o definirle, ed in questo è estramemente più efficace del lavoro individuale (sia in termini di tempo in assoluto che di rapporto idee/tempo).

Per ottenere questa efficenza bisogna adottare delle tecniche / pratiche / regole che lo differenziano dal cazzeggio. Queste sono le mie:

  • Il posto dove si svolge il brainstorming deve essere diverso dal solito ambiente di lavoro, possibilmente però evitare anche “la stanza del brainstorming”, perchè altrimenti si rischia di ricadere comunque in una routine.
  • No cellulari che squillano, nè che vibrano nè in silenzioso.
  • Tendenzialmente no a computer, sicuramente no a partecipanti che rispondono alle mail o fanno i fatti loro con il portatile.
  • Dimensione massima del gruppo:  10 persone (i sacri testi dicono 8, però, non si sa come, si aggiunge sempre qualcuno).
  • Composizione del gruppo: il più interdisciplinare / interfunzionale possibile (non sai mai da dove possono arrivare gli spunti).
  • Durata massima: 20′ (tanto poi sforerete a 30′).
  • Tra i componenti ci deve essere un facilitatore / moderatore che interviene, se necessario, per garantire il rispetto delle regole e la partecipazione di tutti.
  • Quantità e non qualità delle idee.
  • Tutte le idee contano.
  • La pazzia è positiva.
  • Quello che viene detto non si giudica, critica o discute, neanche da se stessi (quindi no autocritica nè autocensura).
  • Non sottovalutare, e quindi non esprimere, quello che appare ovvio (ad essere rigorosi questo rientrava nel punto precedente, ma il rischio è così forte da richiedere una sottolineatura).
  • (Se si vuole) usare figure / disegni / grafica per visualizzare le idee.
  • Rendere tutte le idee visibili a tutti in ogni momento utilizzando lavagne a fogli mobili, muri, etc. (non valgono presentazione powerpoint).
  • Le idee dei componenti del gruppo stimolano altre idee (effetto “valanga”).
  • Numerare le idee.
  • Riscaldare il cervello (sono quei 5′ / 10′ che vi fanno arrivare alla mezz’ora).
  • Fatene una sessione di lavoro divertente.

Alcune considerazioni per realizzare meglio queste regole e migliorare l’efficacia del brainstorming:

- Riscaldamento mentale: ci possono essere varie tecniche. Quella che seguo io praticamente sempre è chiedere ai partecipanti del gruppo di pensare da soli almeno mezz’ora alla questione che verrà trattata nel brainstorming. Meglio se lo fanno il giorno prima e non giusto prima dell’inizio della sessione. Si tratta di far lavorare la mente per “associazioni libere”, in una specie di “”brainstorming individuale”.

- Problemi di “prevaricazione” da parte delle persone più estroverse: questo è probabilmente il problema più spinoso perchè è quelloc he crea le maggiori distorsioni e limiti alla capacità da parte di tutto il gruppo di “aprire la scatola” come fosse una mente unica. Io l’ho risolto da diversi anni adottando una tecnica di brainstorming che mi hanno insegnato come brainstomp e funziona così: ogni partecipante scrive le proprie idee con un pennarella su un cartoncino man mano che gli vengono e le lasciano sul tavolo che si colloca al centro della stanza in cui si svolge il brainstorming. I partecipanti camminano lentamente intorno al tavolo, perchè il movimento aiuta. Nella stanza si mette un sottofondo musicale, possibilmente vivace / energetico. Al centro del tavolo si accende una candela, che aiuta i partecipanti a riprendere la concentrazione quando la perdono. Dopo dieci minuti si cambia il senso di rotazione intorno al tavolo.

Potete sorridere, o anche ridere (io ho visto di quelle facce ….), di questi accorgimenti che però hanno lo scopo di creare una distonia fisica dalla normale routine e quindi stimolare la distonia mentale alla base della creatività.

Questa tecnica presenta anche importanti vantaggi operativi:

- evita l’interazione diretta tra le persone e quindi il crearsi di “blocchi di comunicazione”, malumori, ecc…

- permette una eccellente partecipazione di persone che non hanno dimestichezza con il brainstorming perchè le regole sono facili da capire, seguire e controllare.

- permette al “facilitatore” della sessione di gestirla senza interventi distorsivi. In pratica deve solo ricordare la regola del silenzio per evitare il dibattito/giudizio delle idee e regolare il ritmo del lavoro con la velocità della sua camminata.

- tutti i partecipanti possono sempre vedere tutte le idee generate dagli altri e quindi si favorisce l’effetto “valanga”.

 

Clusterizzazione delle idee: conclusa la sessione di braistorming / brainstomp fate una breve pausa. Non più di 10 minuti e nessuno deve dedicarsi ad attività “esterne” alla sessione. Poi il gruppo lavora per raggruppare le idee in diversi clusters / categorie. Non esiste un numero predefinito di clusters nè categorie predefinite a priori. I diversi clusters verranno identificati sulla base della similitudine / sovrapposizione delle idee generate.

A questo punto ringraziate e rimandate tutti a loro lavoro normale …. dando appuntamento per domani o dopodomani.

 

Selezione (darwiniana) delle idee/spunti generati: il giorno dopo la sessione di brainstorming (o al massimo due), a mente fredda e fresca il gruppo di lavoro si riunisce di nuovo e seleziona le idee suddivise in clusters. A me tendenzialmente piace metterle in ordine dalla prima all’ultima, per non buttare via niente (il mio quarto di sangue furlano), voi se volete sulle idee pessime (che saranno la maggior parte) potete anche metterci una pietra sopra. La logica è quella della tecnica di braintrust utilizzata dalla Pixar e descritta dal post di Ciro Esposito.

Se avete bisogno di fare un brainstorming e non vi fidate di me come consulente (reprobi ingrati!), vi segnalo che le regole riportate nell’immagine che apre questo post (che sono solo ALCUNE delle regole che io utilizzo) le ho imparata in un seminario organizzato dall’Istituto per la Creatività Applicata.

Se invece volete fare un’analisi Delphi come quella citata da Annamaria Testa…., beh la prima che ho fatto era nel 1993 sulle prospettive della pastorizia, ossia i miei opinion leaders erano pastori; uno dei progetti di ricerca più divertenti che ricordi.