Il calo dei consumi nazionali di vino e la microeconomia 2

In realtà la questione del calo del consumo di vino nel mercato italiano io l’avevo posta un paio di mesi prima del Vinitaly ai partecipanti al corso di sommelier di IV livello organizzatto da AIS ed Alma (detto senza ironia, l’apice istituzionale della conoscenza del vino in Italia), durante una mia testimonianza aziendale.
Alla domanda “perchè il consumo di vino in Italia continua a calare?” gli allievi avevano risposto in sintesi:
1) sono cambiati gli stili di vita/consumo (risposta semitautologica).
2) si è ridotto il consumo dei giovani (come sopra).
3) il consumo di vino è penalizzato dalla stretta dei controlli alcol test su chi guida.

Partendo dall’ultima risposta allora sono passato al livello superiore e quindi ho chiesto “e allora come mai il consumo di birra cresce” (fenomeno che si verifica in maniera ancora più eclatante in Spagna e, in modo meno chiaro in Francia: guarda caso i tre storici paesi produttori e consumatori di vino).
Qui la risposta è stata unanime: “perchè la birra è meno alcolica”. Peccato che si tratti di un falso mito, basato sul fatto intuitivo che la gradazione alcolica unitaria della birra è inferiore a quella del vino. Esistono però anche le verità contro-intuitive, che quindi vanno spiegate ed in questo caso la verità è che i grammi di alcolo contenuti in un bicchiere standard (qui il termine inglese serving è veramente l’ideale) di vino, birra o superalcolico è il medesimo.
Questa semplice (e non semplicistica) considerazione racchiude buona parte del problema del calo dei consumi di vino in Italia, che è sostanzialmente un problema di PERCEZIONE. A corollario aggiungo che la cosa curiosa è che il consumo di birra sta crescendo trainato da una ricerca e curiosità di approfondimento della varietà degli aspetti organolettici molto simili a quelli che (hanno) caratterizzato il vino.
Il problema di PERCEZIONE del vino nasce probabilmente dall’evoluzione che ha avuto il settore negli ultimi vent’anni in risposta allo scandalo del metanolo, sia in termini di qualità e profilo dei prodotti che, soprattutto, in termini di come questi sono stati presentati e comunicati dai mass media negli ultimi vent’anni. Il miglioramento della qualità del vino italiano, sia nella media che nelle sue punte di eccellenza raramente raggiunte in precedenza, è stato allo stesso tempo sostenuto e stimolato da un approccio al prodotto centrato sull’approfondimento degustativo delle sue caratteristiche organolettiche partito da un nuovo movimento di critica enologica che si è man mano diffuso in fasce sempre più ampie di consumatori. Il cristallizzarsi di questi due fattori, che hanno indubbiamente creato il rinascimento del vino italiano, è sfociato nell’attuale problema di PERCEZIONE, che, per essere compreso con maggior chiarezza, va suddiviso almeno in tre aspetti:
1) PERDITA DI IDENTITA’ DELLA CATEGORIA DI PRODOTTO
Circa 50/40 anni fa, quando il consumo italiano era di 100 litri/annui pro-capite, il vino era un alimento, o per meglio dire un nutriente, poi è divento una bevanda. Il cambiamento è determinato dal cambiamento della società e non è necessariamente negativo, poichè riduce l’effetto della legge di Engel che prevede una diminuzione della parte di reddito destinata all’acquisto dei beni alimentari al crescere del reddito in quanto questa interessa solamente la componente nutritiva di un alimento e non quella edonistica.
Attualmente però la componente culturale, ancor più che edonistica, del vino è diventata talmente preponderante da fargli perdere in larga misura la sua natura di bevanda. Il problema è che se un liquido che si beve non è una bevanda che cos’è. Può sembrare un discorso di lana caprina, ma per rendersi conto che non lo è basta ricordare che Giorgio Calabrese (docente di alimentazione e nutrizione umana e presidente dell’Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino) sta portando avanti da qualche anno il ritorno al concetto (reinterpretato) del vino-alimento.
Detto in maniera ancora più chiara e netta non è un discorso di lana caprina perchè oggi ci troviamo nella situazione in cui quando qualcuno ha sete il vino raramente rientra tra le possibili opzioni. Oggi la stragrande maggioranza delle persone beve vino quando ha fame (escludo la numerossisima minoranza dei cosiddetti wine lovers per cui il vino è un riferimento costante dell’esistenza).
Se a questo aggiungiamo la destrutturazione dei pasti conseguente alle modifiche dell’organizzazione della società, l’impatto sui consumi di vino è evidentemente fortissimo.
Pensando alla crescita del consumo della birra credo che conti anche il fatto che ha mantenuto la sua caratteristica di bevanda con funzione anche dissetante e non credo sia un caso che la categoria di vino con la maggior crescita in Italia siano gli spumanti, ossia vini che si bevono anche e soprattutto in occasioni diverse dai pasti (gli spumanti hanno anche un’altra importante caratteristica che vedremo in seguito).
Quello che invece mi stupisce è notare la sostanziale ineluttabilità con cui il fenomeno viene affrontato dal settore vinicolo se anche un guru del vino come Sandro Sangiorgi nel suo ultimo libro “L’invenzione della gioia” prende come un dato di fatto che “Il vino, per la gran parte delle persone, è legato a un momento speciale, raramente è quotidianità”.
2) IL VINO SI E’ APPIATTITO SULL’ECCELLENZA DIVENTANDO SEMPRE PIU’ IMPEGNATIVO.
Qui c’è poco da girarci intorno: oramai la parodia del sommelier di Albanese non fa nemmeno più ridere. A furia di far roteare i bicchieri alla maggioranza dei consumatori sono roteate le … scatole. Bere un bicchiere di vino in compagnia (ma per assurdo spesso anche da soli) richiede spesso un impegno psicologico (ed economico). Sempre meno interessante, quasi mai divertente, il vino diventa noioso.
Attenzione è vero che il vino per sua natura è complesso, ma questo non significa che sia per forza necessario ricercarne e sottolinearne la complessità in ogni occasione e situazione. Tornando alla birra, l’interesse sta crescendo in certe fasce di consumatori anche grazie alla percezione di una certa complessità, mantenuta e gestita però entro limiti stimolanti e non da comunità di iniziati che, inevitabilmente, diventa settaria ed escludente. Qui posso non dilungarmi perchè recentemente si è espresso benissimo l’ottimo Alessandro Masnaghetti.
Va riscoperto il divertimento di bere un bicchiere di vino e, nuovamente, non a caso vanno bene gli spumanti, ossia vini intrinsecamente divertenti per stile e situazioni di consumo.
3) GLI ATTUALI MESSAGGI ED I MEZZI ATTRAVERSO CUI VENGONO COMUNICATI SI RIVOLGONO AD UNA LIMITATA FASCIA DI CONSUMATORI.
La comunicazione del vino oggi si rivolge principalmente ai consumatori residenti nelle aree urbane, di età (circa ovviamente) tra i 40-60 anni (sarei tentato di scrivere 35, ma temo sia un’illusione giovanilistica). Si tratta dei consumatori che negli ultimi vent’anni hanno reso l’enogastronomia una componente culturalmente importante della società e per i quali la (ri)scoperta del vino è sostanzialmente la (ri)scoperta di arcadia. Il fatto è che credevamo (ci sono dentro anche io) di essere la prima generazione della società industriale ed invece eravamo l’ultima della società contadina emigrata in città.
Tutti quei valori legati alla tradizione (di fatto ai nostri nonni contadini) per noi sono rassicuranti, ma agli under 30 dicono poco o niente. Mentre sono ovviamente questi i consumatori che daranno o meno un futuro al vino (e, nuovamente, i consumatori alla base della crescita di birra e spumanti).
Su questo aspetto un’ultima considerazione sui consumatori oltre i 60 (prima che si dica che me li sono dimenticati): sono in genere forti consumatori perchè sono quelli che vivono il vino con normale quotidianità.

L’idea era che l’argomento si esaurisse con 2 post, ma l’ora è tarda e le forze sacrseggiano. Arrivederci alla puntata n.3.

3 thoughts on “Il calo dei consumi nazionali di vino e la microeconomia 2

  1. La comunicazione sul vino è in effetti “iniziatica” sui vini di alta gamma (numeri risibili), ed è classicamente “industrial-televisiva” per quelli di fascia bassa (numero elevati).La comunicazione relativa ai vini di fascia media è quasi assente e quando esiste essa è generata per lo più esternamente all’impresa (guide, blogger)e non sempre è davvero utile all’impresa per forme e contenuti; questo si deve in gran parte alle piccole dimensioni delle imprese che producono questi vini: perciò scarsa marginalità economica, a cui spesso si aggiunge sottovalutazione dell’importanza della comunicazione e scarsa competenza nell’utilizzo dei nuovi media, quelli che più si adattano a questo segmento. Il tema è vasto…

  2. Pingback: Il calo dei consumi nazionali di vino e la microeconomia 3 | BISCOMARKETING.it

  3. Concordo con il Direttore Gily e le sue considerazioni, certamente il tema è vasto.
    Altresì capita di rado, in Italia, di leggere articoli di marketing del vino dove il tema è affrontato con tanta precisione, lucidità e chiarezza; tanto che mi sono permessa di riportare la citazione di questo articolo anche sul mio sito.
    Grazie per questo bel testo su cui riflettere!

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