“Brad is single”, meglio !

Negli ultimi due giorni è diventata virale una pubblicità di una linea aerea che riportava semplicemente la scritta “Brad is single” nelle varie lingue, con il prezzo della tratta tra un aeroporto del paese e Los Angeles.

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E’ una campagna molto buona per diversi motivi, ma in sintesi perché posiziona la compagnia aerea come un’azienda dinamica, attenta, sveglia che vive in pieno il proprio tempo. Al di là dell’eventuale effetto tattico promozionale di vendere voli da e per Los Angeles, l’effetto più interessante di questa campagna è quello strategico sulla percezione della marca/azienda.

Come spesso (sempre) succede in comunicazione i messaggi indiretti sono più forti e profondi di quelli espliciti, quando arrivano. In questo caso sicuramente è arrivato ad ampie fasce di consumatori, anche grazie alla viralità ed all’eco che ha ricevuto da parte di tutti i media tradizionali e non (che senso abbia che i quotidiani parlino di un argomento solo perché è un argomento popolare, clickbaiting a parte è un argomento di cui magari parliamo un’altra volta).

Faccio però una domanda a tutti voi che avete visto l’immagine della campagna da qualche parte: qual è la compagnia aerea che l’ha fatta?

Se anche il 100% di voi ha risposto giusto, per le ragioni esposte sopra e per il corollario che descriverò a breve, io credo che con un leggero cambiamento la campagna sarebbe stata ancora più efficace: mettendo il logo della “norwegian” sotto al prezzo del volo ci sarebbe stata (maggiore) certezza che le persone esposte alla campagna lo vedessero e la forza elegante del messaggio sarebbe stata comunque tale da dare il medesimo contributo alla percezione della marca (brand equity).

E’ il concetto di “make the money work harder” e va perseguito sempre per quanto possibile per l’etica dell’efficienza (che porta alla massimizzazione dell’efficacia).

Il corollario che ha probabilmente contribuito alla diffusione della conoscenza della norwegian è stata la risposta di “Alitalia”. Dal punto di vista di Alitalia secondo me è stata una pessima mossa perché:

-          Posiziona Alitalia come follower.

-          Posiziona Alitalia come guascone / parassita.

-          Rischia di posizionare Alitalia come compagnia aerea non conveniente nel caso in cui il costo del volo sia superiore a quello di norwegian.

-          Diventa un megafono che amplifica la campagna (originaria e originale) di norwegian.

Lo so che mi direte che comunque è stata un’azione di social media marketing che ha dato visibilità ad Alitalia, ma ormai dovrebbero saperlo anche i sassi che le vanity metrics non portano a niente (nel migliore dei casi) e spesso portano alla perdizione (delle marche).

Aggiungo io un corollario per i massmediologi: com’è che a nessuno è venuto in mente che anche Angelina is single?

Il marketing del compleanno.

Oggi è il mio compleanno. Oltre ad aver ricevuto gli auguri di parenti, amici e conoscenti (grazie), li ho ricevuti anche da 3 società con cui ho (più o meno) rapporti. Solo 3.

Experteer, che non ho mai usato e a stento mi ricordo in cosa consista, mi regala 1 settimana di iscrizione premium. Ok è qualcosa, a caval donato non si guarda in bocca (mentre scrivo mi viene in mente che se mai possederò un cavallo lo chiamerò Donato).

Genertel fanno i simpatici mandandomi questa immagine.

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Ok, siete simpatici. Però tendenzialmente gli scherzi mi piacciono da parte delle persone, meglio se amici. Dai sistemi automatici di una compagni di assicurazioni anche no.

Lufthansa mi regala 1.000 punti miles & more se prenoto un albergo partner attraverso il sito miles & more. E qui direi che siamo nell’ambito del buon marketing, nel senso che mi avete leggermento disturbato mandandomi una mail, ma l’avete fatto per offrirmi qualcosa di “concreto” che mi può interessare e voi ci guadagnate il fatto che io imparo (o mi ricordate) la possibilità di prenotare gli alberghi dal sito Miles & More. cosa che non sapevo.

Ora io non è che voglio essere riempito di spam dall’office automation delle diverse aziende, però dov’è l’Alitalia con cui volo almeno 4 volte al mese da maggio scorso? dov’è Europcar con cui ho una convenzione e nel 2015 ho fatto tanti noleggi da passare da zero a Privilege Elite del programma fedeltà?

Dove siete tutti voi che sì, mi riempite di spam per segnalarmi le vostre promozioni?

E sì che basterebbe googolare “marketing del compleanno” per trovare spunti e soluzioni.

Non c’è niente da fare: per quanto diventi facile e potente la tecnologia la differenza sta sempre nelle idee, il resto sono solo tecnicismi.

Native advertising: gli esempi di “One” sul sito di “El Pais” e di “Ulisse” di Alitalia.

“Native advertising” è uno dei recenti termini di moda nell’ambito della comunicazione e quindi di (parte) del marketing.

Cos’è il native advertising? Copio e incollo da Wikipedia.

Native advertising è una forma di advertising online che assume l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata, cercando di generare interesse negli utenti. L’obiettivo è riprodurre l’esperienza utente del contesto in cui è posizionata, sia nell’aspetto che nel contenuto. Al contrario della pubblicità tradizionale che distrae il lettore dal contenuto per comunicare un messaggio di marketing, il native advertising cala completamente la pubblicità all’interno di un contesto senza interrompere l’attività degli utenti, poiché assume le medesime sembianze del contenuto, diventandone parte, amplificandone il significato e catturando l’attenzione del consumatore.

Nello specifico, il Native Advertising è un metodo pubblicitario contestuale che ibrida contenuti e annunci pubblicitari all’interno del contesto editoriale dove essi vengono posizionati (sia dal punto di vista grafico sia dal punto di vista della linea editoriale), indicando chiaramente chi è l’inserzionista che ‘sponsorizza’ tale contenuto. È distante dal Pubbliredazionale, che invece cerca di mascherare contenuti pubblicitari come articoli editoriali su prodotti o servizi.

In un articolo sulla prestigiosa Harvard Business Review, l’esperto di marketing Mitch Joelha definito la Native Advertising come “un formato pubblicitario creato specificatamente per un determinato media sia dal punto di vista del formato tecnico sia dal punto di vista del contenuto (la creatività)”. L’obiettivo finale è quello di rendere l’annuncio pubblicitario meno intrusivo in modo che non interrompa la fruizione del contenuto che l’utente sta guardando, così da aumentare la percentuale di click e interazioni sull’annuncio

I formati più noti di Native Advertising sono probabilmente i cosiddetti In-Feed Units quali i promoted tweets di Twitter o i promoted posts di Facebook.

Ora io non so se è la definizione di Wikipedia ad essere imprecisa oppure è solo un termine più smart (espressione che non sopporto per come è normalmente adottata nei discorsi in italiano) per indicare qualcosa che concettualmente è sostanzialmente identico ad un pubbliredazionale (le eventuali differenze pratiche sono solo tecnicismi di poca o nulla importanza strategica).

Pubbliredazionali che strutturalmente hanno la stessa scarsa efficacia dei promoted tweets di Twitter o dei promoted post di Facebook.

Qui la differenza tecnica permette di generare sui mezzi social un maggiore bombardamento di messaggi a costi più bassi rispetto ai vecchi pubbliredazionli, però secondo me impostare la propria strategia di comunicazione sull apressione dei messaggi i sembra una strategia sorpassata e che le persone (consumatori) stanno già eludendo attraverso i propri comportamenti cognitivi e/o strumenti informatici (un approfondimento di come vedo la questione lo trovate sul post dello scorso 31 gennaio “L’ANTIMARKETING: bloccare gli ad blockers”).

Ci sono invece delle attività che (alcune) aziende  stanno realizzando partendo dalla consapevolezza che qualsiasi attività economica oggi si muove nel campo dell’editoria e che l’interesse per un messaggio risiede dalla rilevanza dei contenuti e dalla credibilità della fonte rispetto all’audience a cui si rivolge.

Rilevanza e credibilità dei contenuti non sono mai stati appannaggio esclusivo dei mezzi di comunicazine istituzionali, ma oggi lo sono ancora meno (analizzare i motivi di questa tendenza sarebbe interessante, ma troppo lungo ed esula dall’obiettivo di questo post).

In un continuum che va dalle Pubbliche Relazioni alla marca che si fa editore tout-court si trovano quelle attività che io, sbagliando, chiamerei native advertising e che mi piacerebbe avessero un nome.

L’altro giorno ho trovato due esempi interessanti sul numero di maggio di “Ulisse”, la rivista di bordo dell’Alitalia.

Ulisse maggio 2016

Nelle interviste a Roberto Bolle e Jude Law si dava uno spazio rilevante alla loro attività di testimonial per due marche, rispettivamente Acqua di Parma per Bolle e Lexus per Law. Le domande relativa ai due marchi erano 2 o 3 e lo spazio era circa 1/5 di tutta l’intervista. Quindi non così lungo da trasformare l’intervista in un pubbliredazionale, ma nemmeno così piccolo da passare inosservato o poter essere saltato durante la lettura.

Anche perchè non era la marca a parlare direttamente per bocca del giornalista, ma la voce arrivava dal testimonial attraverso le domande del giornalista. Secondo me in questo modo le dichiarazioni del testimonial, che al di là del compenso ha scelto di collaborare con una marca piuttosto di un’altra per i valori che condivide, acquistavano più credibilità proprio perchè mediate.

Ai professionisti di comunicazione più smaliziati non sorprenderà che Acqua di Parma e Lexus fossero presenti sul quel numero di Ulisse anche con una pagina pubblicitaria (e presumo lo saranno anche nei prossimi).

Ancora più vicino al concetto di marca come editore che non parla direttamente di sè ma si fa creatore e/o curatore di contenuti affini alla propria immagine è la sezione di “One” sul sito della versione on line del quotidiano spagnolo “El Pais” (non non c’è la colonna di destra con gattini e freaks vari).

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Sbaglierò, ma nel futuro della comunicazione io vedo ancora la pubblicità classica come generatore della conoscenza della marca abbinata alla creazione (editoriale) dei contenuti per rafforzarne la reputazione.

Del native advertising come è inteso adesso, non saprei cosa farmene.

Alitalia: quando l’attenzione al cliente diventa persecuzione del cliente.

Premetto che quando devo prendre un aereo privilegio la comodità della tratta. Se c’è un volo diretto da Venezia o Lubiana prendo quello, viceversa la scelta spesso ricade su Air Dolomiti-Lufthansa visti i buoni collegamenti Trieste-Monaco di Baviera. Ho sia la tessera Millemiglia (Alitalia) che Miles & More (Lufthansa).

Non ce l’ho in modo particolare con Alitalia, anche se ero un sostenitore della vendita ad Air France prevista nel 2007 dal governo Prodi e l’ho utilizzata come esempio di azienda infedele nei confronti dei propri clienti in un post pubblicato nel febbraio 2012.

La dimostrazione di quanto sopra è che il mese scorso per andare in Brasile ho scelto nuovamente Alitalia per l’itinerario Trieste-Roma, Roma-Sao Paulo, Sao Paulo-Rio de Janiero, Rio de Janeiro-Roma, Roma-Trieste.

Visto che da Roma a Sao Paulo parliamo di più di 10 ore di volo ed io sono sempre alto 193 cm, al check in a Trieste ho chiesto se potevo avere l’uscita d’emergenza. mi hanno risposto che adesso le uscite d’emergenza le vendono (malvezzo cominciato, credo, con Air Canada, e diffusosi oramai a diverse compagnie aeree) al prezzo di 85€. Chiedo se posso fare l’upgrade utilizzando le mie miglia, mi mi dicono che a Trieste non è possibile, consigliandomi di farlo a Fiumicino.

Arrivo a Fiumicino, vado al banco assistenza clienti, chiedo di fare l’upgrade e la gentile signorina mi dice che non è possibile perchè nel mio conto ci sono solo le 1.000 miglia della tratta Trieste-Roma appena fatta. Io rimango un po’ stupito perchè la mia tessera “Ulisse” era scaduta a dicembre, ma le miglia non le avevo mai usate. “Le miglia scadevano al 31 marzo, Lei non è il primo a scoprirlo così”.

PRIMO CONSIGLIO AD ALITALIA”: attivate dei canali di comunicazione strutturati tra il personale a contatto con i clienti e chi sviluppa le strategie all’interno dell’azienda. Vi renderete conto di quante cose interessanti sapete (sapreste) già.

Me ne vado al gate con il trolley tra le gambe e scrivo questo tweet amareggiato, perchè non sono convinto che sia giusto vendere l’uscita d’emergenza, perchè potevano anche avvisarmi che le miglia scadevano, perchè anch’io potevo pensarci prima.

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Poi il volo è stato migliore del previsto, lo spazio tra i sedili era un po’ di più del solito e la cena era mangiabile, che pensavo quasi quasi di fare un tweet positivo su Alitalia.

Atterro a Sao Paulo, accendo il cellulare e mi trovo con questi tre tweet da parte di Alitalia:
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SECONDO CONSIGLIO AD ALITALIA:tutti i manuali insegnano che nel gestire le lamentele/reclami dei clienti si parte sempre dall’accogliere le loro ragioni. Confermo per esperienza personale che è vero e che funziona. Non si tratta di piaggeria o servilismo. E’ sincero dispiacere perchè la persona ha avuto un’esperienza deludente con il nostro prodotto/servizio/marca, indipendentemente dal fatto che la colpa sia stata nostra o meno. In realtà la colpa è sempre almeno un po’ nostra perchè potevamo spiegarci meglio per evitare si creassero aspettative sbagliate. E il dispiacere deriva dalla potenziale perdita di business, dall’accorgersi di aver fatto un errore e dall’aver creato un inconveniente a qualcuno.

Alitalia invece ha alzato il ditino e mi ha insegnato come si dovrebbe comportare un membro del Club Millemiglia. Come un qualsiasi impiegato a qualsiasi sportello che, dopo che abbiamo fatto mezz’ora di coda, ci spiega con condiscendenza che manca un timbro/una marca da bollo/un modulo/ecc…, che dobbiamo andare a procurarcelo e poi tornare (rifacendo la fila).

Con il mio tweet di risposta gli davo anche in parte ragione e consideravo chiusa la questione. Invece Alitalia non ci sta ad essere meno che perfetta e quindi mi ha replicato con 4 tweet dandomi educatamente dell’imbecille.
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Perchè racconto questa mia piccola disavventura della serie “biscomarketing storie e gite”? Perchè credo sia emblematica delle difficoltà che hanno alcune (molte) aziende ad entrare nell’era digitale (intendendo con questo termine l’intera società risultante dalla “rivoluzione digitale” e non solo gli aspetti prettamente on-line).

Diversamente dall’opinione comune di accademici ed operatori, sono abbastanza convinto (ci sto ancora pensando) che la rivoluzione digitale non abbia cambiato gli strumenti, ma non i fondamenti del marketing. D’altra parte l’unione dell’effetto combinato dell’involuzione del marketing durante gli ultimi vent’anni da una parte e della portata degli strumenti digitali, con la loro capacità di amplificare nel bene o nel male le attività aziendali, costringono molte aziende ad un cambiamento culturale (se vogliono sopravvivere).

Distinguere se la rivoluzione digitale ha portato o meno ad una modifica dei principi del marketing diventa quindi un discorso di lana caprina per tutte quelle aziende che opera(va)no con una logica di vendita più che di marketing. Nell’era digitale le bugie hanno le gambe cortissime e gli errori vengono al pettine immediatamente.

La situazione peggiore è l’unione di una (sorpassata) cultura di superiorità nei confronti del cliente (visto più come “utente” o, peggio ancora, “consumatore”) con le tecniche nuove, perchè l’adozione meccanicistica degli strumenti digitali porta inevitabilmente a fare “brutte figure” su larga scala.

Al di là del contenuto, è ovvio che non ha senso rispondere ad un cliente con 4 tweet collegati (se non ti bastano 140 caratteri, significa che lo strumento da usare è un’altro), eppure sono convinto che secondo gli standard Alitalia la gestione del mio tweet è stata eccellente.

E’ stato rilevato rapidamente, ha avuto una risposta in tempi brevi, con tutte le informazioni del caso.

Dal punto di vista aziendale (in una cultura aziendale autoreferenziale) ognuno ha svolto il suo compito.

Dal mio punto di vista non mi ha risolto il problema, ha evidenziato che Alitalia fornisce un servizio peggiore rispetto ad altre compagnie aeree che mi avvisano quando le miglia stanno per scadere e mi ha spammato la timeline.

Prima di fare della facile ironia su Alitalia, guardatevi intorno: sarebbe troppo bello se questi problemi riguardassero solo le aziende pubbliche decotte.

Visto che sono alla ricerca di un lavoro / consulenze, forse farei meglio a misurare di più l’argomento e contenuti dei miei post. Incorreggibile.

P.S. Il viaggio di ritorno da Rio de Janeiro a Roma è tornato sui soliti standard: servizio approssimativo, cena così-così, colazione fredda e cuffie che funzionavano solo tenendo lo spinotto con la mano nella posizione giusta.

P.P.S. Prima o poi imparerò come inserire le immagini nei post senza che ci sia testo intorno. Nel frattempo si accettano suggerimenti.

In coscienza come si può votare ancora la coalizione PDL-Lega?

Per questo post avevo in testa di ricordare come l’ultimo governo PDL-Lega presieduto da Berlusconi sia stato caratterizzato da un’azione politica ed amministrativa basata sull’occupazione partitica, ossia premiando la fedeltà di appartenenza rispetto alla corettezza della competenza, di tutti i possibili ambiti economici, sociali e della pubblica amministrazione e di come questa impostazione data dal vertice del Paese stimoli e legittimi il saccheggio di istituzioni ed azienda da parte di tutti.

Poi però ho fatto un minimo di approfondimento in rete e mi sono accorto che sarebbe stato un inutile arzigogolo perchè la questione è molto più semplice di così.

Leggo sulla voce Silvio Berlusconi di Wikipedia che ha ricoperto la carica di Presidente del Consiglio per un totale di 3.340 giorni, più di chiunque altro nella storia della Repubblica (per chi ama le statistiche segue Andreotti con 2.679, Prodi è 6° con 1.608) e terzo dall’unità d’Italia, dopo Mussolini e Giolitti.

Quindi semplicemente, al di fuori di ideologie, partigianerie e cori da stadio, che la coalizione PDL-Lega non è in grado di afforntare e risolvere i problemi del Paese, per mancanza di volonta o di capacità non importa, è un dato di fatto.

In coscienza, se uno è una persona onesta (non è un giudizio morale, è la consapevolezza che esiste una percentuale di cittadini che traggano vantaggio dal modo di fare politica della coalizione PDL-Lega. Che sò tipo l’onorevole Dell’Utri che indica al ministro della cultura Galan di nominare Marino Massimo De Caro a dirigere la biblioteca Girolamini e poi riceve in regalo alcuni dei volumi rari che erano lì conservati).

Se uno è una persona onesta dicevo, come si può in coscienza votare ancora la coalizione PDL-Lega? Non si tratta di turarsi il naso, si tratta di darsi le martellate sulle … gengive.

Ah, probabilmente ve ne sarete già accorti: il marketing con questo post non c’entra niente. Buon fine settimana.

L’infedeltà delle aziende: i due esempi, a caso, di Alitalia e Vodafone

Cercando di gestire il cambio di fuso, sfrutto la rete wireless della hall dell’albergo di Rio de Janeiro per scrivere questo post in modo da far passare il tempo negessario a digerire il chirrasco e poter andare a fare il bagno.
Ieri sono arrivato a Rio ed ho viaggiato Alitalia per sfruttare il diretto Roma -Rio. Anche se ai tempi sono inorridito sul concetto di salvataggio dell’Alitalia come atto di orgoglio nazionale perchè ha fatto pagare i debiti ai contribuenti invece che ad Air France ed ha ricreato il monopolio su numerose tratte, non ho mai avuto problemi a viaggiare Alitalia. Mi è sempre sembrata nella media come servizio e come puntualità, però l’esperienza di questo viaggio mi ha fatto riflettere sul concetto di fedeltà delle azinede ai loro clienti.
Lo so che di solito si parla sempre del contrario, però credo sia difficile per le aziende ottenere la fedeltà dai clienti se sono loro le prime a mettergli le corna.
Inoltre ho la sensazione che ampie fasce della popolazione abbiano sviluppato una tendenza alla fedeltà alle marche per non complicarsi una vita già molto compressa e complicata, fatte salve differenze molto nette di prezzo o servizio. Detto in altri termini credo che la percezione dei costi transazionali sia aumentata.
Dovrebbe quindi essere più facile per le aziende mantenere i propri clienti se si organizzasero di conseguenza.
Ma veniamo al caso di specie. Per vari motivi ho prenotato il viaggio in economy. Siccome essere alti 1,93 m e fare un volo di 12 ore in economy per essere poi pronti a lavorare il giorno dopo sono concetti che non stanno troppo bene insieme, ho pensato di fare l’upgrade utilizzando le miglia che ho accumulato nelgi anni.
Vado quindi sul sito Alitalia e scopro che questa operazione non si può fare on line, ma solo contattando il call center del servizio clienti. Evito di dilungarmi sulla frustrazione che genera nelle persone passare le decine di minuti al telefono seguendo le istruzione dei risponditori automatici, perchè esiste già un’ampia letteratura e tutti lo sappiamo per esperienza.
Quando riesco a aprlare con una gentile assistente, questa mi dice che non ci sono posti disponibili. Stupito penso che forse il nostro ex premier aveva ragione a dire che la crisi non è poi così grave e mi riprometto di riprovare l’operazione al momento dell’imbarco, sicuro che qualche posto si sarà liberato.
Quando arrivo al banco transiti di Fiumicino la gentile hostess di terra mi spiega che posti ce ne sono in assoluto, ma per prenotarli attraverso le miglia la disponibilità è limitata. Ad ogni modo lei non può farlo e mi dice di chiedere alla sua collega all’imbarco.
E qui incomincio a sentirmi trattato più da frequent mona che da frequent flyer. Capisco benissimo il concetto monetario cha sta alla basa di limitare la disponibilità dei biglietti premio, evitop il rischio di non poter vendere biglietti a prezzo pieno per esaurimento di posti, però in termini di rapporto con i propri clienti mi sembra un’ impostazione alquanto vampiresca. Alla fin fine le miglia me le sono guadagnate viaggiando con Alitalia secondo i termini che loro hanno stabilito, non è che mi stiano facendo un favore. Per di più a due ore dalla partenza del volo, con tutti i biglietti venduti, anche l’eventuale rischio di perdere un biglietto a prezzo pieno è oramai superato.
Vado quindi all’imbarco parto con l’ennesima gentile signorina che mi dice che è impossibile fare l’upgrade perchè loro non sono in grado di fare il conteggio delle miglia dal terminale che hanno al gate. Ma chi costruisce le piattaforme informatiche in Alitalia? E’ tanto complicato impostare una piattaforma web based che permetta operare da tutti i terminali con una connesione internet. Tra l’altro questo mi ricorda che quando ho parlato con il call center avevo chiesto di prenotarmi almeno l’uscita di emergenza e la signorina mi aveva risposto che non poteva perchè non riusciva a vedere a terminale la disposizione dell’aereo.
Quello che mi fa impazzire di tutto questo è che potevamo essere tutti contenti se solo ci fosse stato un diverso approccio culturale e organizzativo, nel senso che io sarei stato contento di spendere le mie miglia per avere il mio posto (posti liberi in business ce n’erano a iosa) e Alitalia sarebbe stata (avrebbe dovuto essere) contenta che io riducessi il mio saldo di miglia nonchè di aver soddisfatto una mia richiesta. Il tutto non avrebbe comportato alcun costo aggiuntivo.
Avrebbe forse anche evitato che il mio stato d’animo mi facesse notare un paio di cose:
- annunciano che l’aeromobile è dotata di telecamere esterne per seguire le fasi di rullaggioe di decollo. Peccato che attivino i sistemi di intrattenimento a bordo almeno 15 minuti dopo il decollo. Underdelivering la propria overpromise, delle serie stata zitti che fate più bella figura.
- io mi stavo tranquillamente ascoltando la radio quando mi hanno sparato 10 minuti di pubblicità+descrizione dei servizi di bordo (non sicurezza si noti bene) che non potevo nè spegnere nè abbassare il volume. Della serie benvenuti a bordo.
- alla fine della descrizione delle procedure di sicurezza è apparso il messaggio che le cinture di sicurezza in classe Magnifica sono dotate di un airbag automatico che si gonfia se necessario. Io ho guardato la mia normale cintura di sicurezza ed ho pensato che fin che si tratta di pagare di più per la comodità siamo nell’ambito delle libere scelte e/o possibilità, ma quando il prezzo del biglietto implica differenze sugli standard di sicurezza è un segnale che forse siamo andati troppo oltre con il turbo capitalismo.
La storia che relativa a Vodafone non riguarda me direttamente, mi è stata raccontata, ma è veramente incredibile. Il Natale scorso una persona che aveva già un abbonamento vodafone decide di passare ad un’altra tariffa, nel negozio vodafone le consigliano di disdire l’abbonamento e prendersi una prepagata di un’altro gestore per poter usufruire delle offerte dedicate ai nuovi clienti. Lei lo fa, ma l’organizzazione per attivare il nuovo abbonamento non è delle migliori ed il risultato è che sta ancora andando avanti con la prepagata dell’altro gestore. Il risultato è che l’utente è scontento perchè sta utilizzando una tariffa che non risponde alle sue asigenze e deve stare lì ogni momento a ricaricare e vodafone a perso fatturato. Tutto per una cultura che non dà la giusta importanza ai prorpi clienti e per cattiva organizzazione.
Tanti anni fa sono stato ad un seminario organizzato da Centromarco dove interveniva un professore americano che aveva appena pubblicato un libro “Loyalty” ed era rimasto stupito a scoprire che nessuno aveva ancora pubblicato un libro con questo titolo (un po’ come Leo Buscaglia con “Love”).
Nella sua ricerca aveva trovato che una delle cose che i clienti di una marca trovavano più odiose erano le offerte speciali rivolte esclusivamente ai clienti delle marche concorrenti. Loro che costituivano la base dell’esistenza della marca, trovavano ingiusto di essere trattati peggio degli “estranei”.
Alquanto logico, ma avete presente l’ultima campagna delle poste?
Domani torno domani – per quello li chiamano viaggio di lavoro – e prometto tornerò anche a a fare dei post più seri (ma un po’ di cazzeggio ogni tanto ci vuole).