From a search culture to a browse culture.

browsing-artwork-15524199

Non so dove l’ho sentita o se l’ho pensata io, poco importa. Però questa frase / concetto / pensiero mi girava in testa da parecchi mesi, forse un anno, senza riuscissi a definirla o coglierne il senso.

Rimaneva lì come un’enunciazione che sentivo istintivamente interessante, ma senza riuscire a spiegarla.

Poi lavorando su un nuovo progetto che si chiama Vinophila, e di cui vi racconterò tra qualche giorno, quando sarà pronto, ho cominciato a capirla.

Per spiegarmi prova innanzitutto a tradurla. Non semplicissimo perché “browse” è un termine che esprime sfumature di significato piuttosto diversi.

Qui sotto la traduzione fatta da google degli esempi di uso del verbo “browse” riportati dal dizionario Collins:

I stopped in several bookstores to browse.

Mi sono fermato in diverse librerie a curiosare.

 

…sitting on the sofa browsing through the TV pages of the paper

…seduto sul divano a sfogliare le pagine tv del giornale

 

Try browsing around in the network bulletin boards.

Prova a navigare nelle bacheche della rete.

 

…the three red deer stags browsing 50 yards from my lodge on the fringes of the forest. 

…i tre cervi rossi che brucano a 50 metri dal mio lodge ai margini della foresta.

 

Browse = curiosare, sfogliare, navigare, nutrirsi.

Il Merriam-Webster, che è il dizionario di inglese che preferisco, come verbo transitivo riporta 3 significati che sostanzialmente riprendono gli esempi del Collins e come verbo intransitivo riporta un significato che aiutano a capire meglio il senso di “browse” contrapposto a “search”:

a: to skim through a book reading passages that catch the eye.

a: sfogliare un libro leggendo passaggi che saltano all’occhio

 

b: to look over or through an aggregate of things casually especially in search of something of interest. browsing through the store’s magazine section.

b: guardare un aggregato di cose casualmente soprattutto alla ricerca di qualcosa di interessante.

 

Quindi ai significati precedenti si aggiunge quello di vagare disposti a cogliere qualcosa di interessante.

In realtà c’è un modo più semplice per spiegare cosa intendo con l’espressione “passare da una cultura di ricerca ad una cultura del curiosare” ed è pensare a quello che facciamo (quasi) tutti (quasi) sempre quando guardiamo instagram.

 

Non cerchiamo una cosa specifica ma scorriamo, più o meno rapidamente a seconda dell’età, quello che troviamo nella nostra timeline oppure nella schermata “ricerca”.

Ancora più evidente per me quando uso Pinterest, il social che preferisco e che si apre direttamente nella schermata dei pin proposti in base ai miei salvataggi passati.

Siccome però viviamo già nel metaverso, ossia in una realtà ibrida dove la dimensione fisica e quella digitale si integrano in modo perpetuo, persistente e pervasivo (a questo argomento dedicherò un post specifico tra un po’, per adesso accontentatevi del link al rapporto di Wunderman Thompson Intelligence), questo atteggiamento di curiosare/gironzolare/sfogliare piuttosto che cercare si sta diffondendo in tutti gli ambiti.

Pensate a come fate le ricerche in un browser (scusate il gioco di parole) oggi rispetto a diciamo 5 anni fa.

Prima cercavamo di essere più precisi possibile per avere più probabilità di trovare esattamente quello che ci interessava. Adesso il testo che inseriamo nella barra di ricerca è più vago e generico proprio perché, grazie al miglioramento delle capacità di ricerca dei motori, in questo modo possiamo trovare qualcosa di interessante a cui non avevamo pensato.

O meglio, ci facciamo ispirare dai motori di ricerca riguardo ad un interesse generale di partenza.

E fin qui siamo rimasti nell’ambito del digitale.

Provate però a pensare al comportamento in ambito fisico.

Davvero non vedete il collegamento tra l’atteggiamento “esplorativo” che riduce la fedeltà alle marche delle fasce di consumatori più giovani e la browsing culture?

Davvero non cogliete il parallelo tra i social come “aggregatori di stimoli” che “saltano all’occhio”, Tik Tok in primis evidentemente, ed i negozi delle catene del fast fashion, Zara per fare un esempio?

Passando da una cultura di ricerca ed una di browsing il servizio al cliente non consiste più in fargli trovare quello che cerca, ma nel permettergli di imbattersi in quello che gli piace, che lo “nutre” in qualche modo, usando l’accezione animalesca del termine.

D’altra parte che l’uomo è una scimmia nuda l’ha detto nel 1967 Desmond Morris e ribadito Gabbani in eurovisione nel 2017.