Peculiarità del marketing politico.

Federico dice che dovrei smettere di parlare di (marketing) politica perchè non ho credibilità e perchè sbaglio le previsioni, come dimostra quelle che ho fatto lo scorso 23 febbraio nel mio post “L’importanza dell’analisi di scenario per la scelta della strategia migliore: il caso del governo Renzi” dello scorso 23 febbraio.

Io gli contesto almeno il secondo punto perchè nel mio post sostenevo che, in base all’aplicazione di uno strumento per l’analisi di scenario che utilizzavo normalmente in azienda, Renzi aveva scelto la strategia, inutilmente, più difficile per raggiungere il suo obiettivo di cambiare il Paese. Non avevo quindi nè detto che avrebbe perso alle europee, nè che non ci sarebbe riuscito. Oggi, con Renzi che è passato dall’annuncio di realizzare una riforma al mese all’annuncio del programma dei 1.000 giorni, forse è presto per dire che avevo ragione, ma mi sembra un azzardo dire che avevo torto.

Quindi continuo a parlare di marketing applicato alla politica. Che è come dire una parolaccia. La cosa non mi sorprende, considerando che l’espressione “è solo marketing” ha una connotazione sostanzialmente negativa per la maggioranza delle persone, anche riferita ad organizzazioni che perseguono principalmente un interesse particolare, come le aziende. Addirittura “è solo marketing” significa qualcosa di finto, artificiale, ingannatorio per un gran numero di persone anche all’INTERNO delle aziende.

Figuriamoci quando si tratta di politica, ossia (teoricamente) del bene comune.

Ovvio invece che per questo blog/per me tutto è marketing, intesa come la disciplina inintegra tutte le attività di un’organizzazione con coerenza rispetto agli obiettivi.

Che si tratti di aziende, terzo settore o politica molti degli aspetti fondamentali del marketing non cambiano.

Si tratta sempre di definire e realizzare un concetto di “bene” (per l’azienda e per terzo settore il prodotto/servizio, per la politica la proposta politica), comunicarlo ad un determinato gruppo di persone (che si tratti di una nicchia o di tutta la popolazione, i principi non cambiano) e distribuirlo.

Il fatto che la proposta nasca da un’idea propria dell’organizzazione, come normalmente nel caso della politica e del terzo settore, oppure da un’analisi delle esigenze e desideri insoddisfatti delle persone (il mercato) è, nuovamente, un tecnicismo che non modifica i principi. Inoltre è una differenza sempre meno marcata, dal momento che il successo delle marche aziendali si basa sempre di più sulla loro autenticità.

A dimostrazione che i principi del marketing valgono sostanzialmente immutati per i diversi tipi di organizzazione riporto qui un’analisi di concept test per la definizione di una nuova formazione politica realizzata nel 1992 da Giulia Ceriani e riportata nel suo libro (che consiglio vivamente) Marketing Moving: l’approccio semiotico, Franco Angeli.

Analisi semiotica partiti 1992 - 1

Analisi semiotica partiti 1992002

Analisi semiotica partiti 1992-3

In questa analisi si può vedere l’obiettivo di creare una nuova formazione politica per rispondere alle domande lasciate senza risposta dalle attuali (del 1992) proposte politiche oppure per individuare cosa questi vogliono sentirsi dire così da raccontargliela meglio. La seconda opzione in politica si chiama demagogia e nell’attività aziendale si chiama scorrettezza (se la patologia raggiunge livelli più elevati, diventa delinquenza in entrambi i casi). Ognuno valuti secondo la propria coscienza, perchè la questione morale è una questione individuale che riguarda tutti, non è istituzionale e non può essere imposta per legge.

Dove il marketing politico si differenzia da quello aziendale è nel ruolo del consenso e nella scansione temporale dell’attività.

Per i beni e servizi il consenso, espresso con l’acquisto è il FINE che realizza gli obiettivi dell’organizzazione, mentre per la politica il consenso, espresso con il voto, è il MEZZO attraverso cui l’organizzazione viene messa nelle condizioni di realizzare i propri obiettivi.

Tanto per l’organizzazione aziendale come per quella politica un prodotto, dal punto di vista logico, è composto dalla promessa che fa alle persone e da come e quanto questa promessa viene mantenuta nella fruizione.

Nel caso dell’azienda però la progettazione e realizzazione del prodotto avvengono entrambe PRIMA della verifica del consenso, espresso dalle persone con l’acquisto,

Nel caso della politica invece le due fasi avvengono in due momenti distinti. La realizzazione e “consegna” ai cittadini della proposta politica infatti avviene solamente dopo che questi hanno validato la promessa (o progettazione) attraverso il consenso espresso con il voto.

Ecco quindi che la scansione temporale diventa l’altro elemento differenziante tra  il marketing politico e quello dei beni e servizi

L’azienda è sottoposta quotidianamente e continuamente al voto delle persone attraverso le loro scelte d’acquisto, senza possibilità di sapere con precisione in anticipo chi e quanti prevedono di acquistare un determinato tipo di prodotto.

La proposta politica invece è sottoposta la voto delle persone con una periodicità ben precisa, prevista e conosciuta (d’accordo nel caso italiano un po’ meno precisa ed un po’ meno prevedibile).

Questo implica che, mentre per l’azienda la necessità di ottenere il consenso è continua nel tempo, per l’organizzazione politica l’importanza dell’ottenimento del consenso varia nel tempo: è massima prima delle elezioni, diventa minima dopo le elezioni per riprendere a crescere man mano che si avvicina la data delle elezioni seguenti.

La conseguenza operativa per l’organizzazione politica è che concentrarsi nelle attività volte a raccogliere il consenso durante la fase iniziale di esercizio del potere, rischia di distogliere risorse, energie, attenzione e competenze alla effettiva realizzazione delle promesse elettorali e quindi al peggioramento del “prodotto” politico effettivamente consegnato ai cittadini.

Questo rischio è particolarmente elevato nel situazioni di forte spostamento del voto da parte dell’elettorato, perché implica una forte richiesta di cambiamento/innovazione da parte dei cittadini. In altre parole riforme strutturali, che però necessitano di molte energie fisiche, mentali e psicologiche ed implicano la realizzazione di un eterodossia.

Tutte cose difficili e che richiedono tempo prima di dare i loro frutti, tanto più quanto più complesse sono le organizzazioni (non mi dilungo, chi volesse approfondire cosa intendo può leggere i miei vecchi post Viva Felipe Gonzalez ed Eterodossia e Innovazione

Anche partendo dal presupposto (patologico) che l’obiettivo dell’organizzazione politica sia il mantenimento del potere, la strategie migliore sarà quella di realizzare la parte più difficile del programma tempestivamente e rapidamente all’inizio della legislatura, in modo che i risultati raggiunti (le promesse mantenute) nella sua parte finale forniscano una base solida su cui creare nuovamente il consenso.

Questa scansione temporale ha un’implicazione anche sulla comunicazione politica, che dovrebbe seguire il medesimo flusso.

La comunicazione durante la realizzazione della promesse è per definizione scarsamente rilevante.

Inoltre porta facilmente alla dispersione dei messaggi, perché la politica (di governo) non può concentrare la comunicazione sui pochi punti chiave della promessa, principio basilare per l’efficacia della comunicazione delle marche. Contrariamente alle aziende che mettono continuamente le loro promesse (i prodotti) sul mercato a disposizione del cittadino-consumatore, la politica nella fase iniziale di governo non può ancora offrire molto di tangibile.

Comunicare qualcosa che è ancora incompiuto rischia di sottolineare una carenza, condannando ad ulteriore irrilevanzac. Comunicare cose sempre diverse, dispersione dei messaggi, rischia però di creare confusione e quindi un indebolimento nella percezione della proposta, che peggiora nella misura in cui si verificano inevitabili incoerenze nella comunicazione e tra questa e le promesse originali.

C’è un ultima differenza tra il marketing politico ed il marketing aziendale ed è che il primo è molto meno competitivo del secondo.

il numero di proposte politiche è di gran lunga inferiore a quello di proposte di prodotto nella maggior parte dei mercati ed, in un certo senso, gli elettori non possono astenersi dal “consumare” politica.

Il giorno che il numero di acquirenti di musicassette (il link è per i miei più giovani lettori) non è stato più sufficente per sostenere i costi di produzione, chi le produceva ha chiuso. La politica invece appare, per così dire, ineluttabile ed indipendentemente dalla percentuale di astensione, il “mercato” viene ripartito tra le formazioni concorrenti sulla base dei votanti.

Ecco perchè le formazioni politiche riescono a “rimanere in affari” (espressione che uso solamente per parallelismo con l’attività aziendale, nevvero) anche nel caso di grandi differenze tra promesse ed effettiva esperienza di fruizione.

Federico, la prossima volta torno al marketing aziendale. Promesso.

 

Perche’ Renzi ha ragione (e Berlusconi resta il fulcro della politica italiana)

Non e’ che io sia nessuno per dare patenti di ragione a chicchesia e meno che mai a Renzi. E chi sembrava un titolo intrigante e comunque calza con l’argomento di questo post che nasce da due dichiarazioni di Berlusconi che ho sentito ieri alla radio.
La prima e’ quella che l’unica conseguenza alle sue dimissioni possono essere solamente le elezioni anticipate, perche’, viceversa, andrebbero al governo quelli che hanno perso le elezioni. Il che sarebbe antidemocratico.
Dichiarazione tatticamente raffinatissima che in modo indiretto ed implicito (e quindi molto forte) sottolinea che:
- gli altri sono dei perdenti,
- sono dei perdenti perche’ non possegono vere capacita’ e quindi puntano a raggiungere i propri risultati non con il merito a con i “traffici” e le “raccomandazioni”.
- per questo fanno prevalere i propri interessi ai principi della democrazia.

Questa dichiarazione però ha un grosso difetto di credibilità perchè al governo ci sono gia’ persone che le elezioni le avevano perse e fuori dal governo ci sono persone che le avevano vinte a conseguenza delle tattiche politiche realizzate da Berlusconi. Il difetto è grosso, ma allo stesso tempo poco evidente. E purtroppo nessuno si è preso la briga di palesarlo.

L’altra dichiarazione riguarda i traditori che hanno abbandonato il pdl per passare all’opposizione. Anche qui c’è un significato implicito, anche se meno sottile: chi e’ passato a sostenere il governo era un responsabile mentre chi ha fatto il percorso inverso è un traditore. Non ci vorrebbe molto per far risaltare la contraddizione, ma nuovamente, nessuno dei dell’opposizione si è preso la briga di farlo.

Sofismi di marketing politico? Forse.

Però alle elezioni chi votereste tra dei traditori senza ideali nè onore, sono capaci solo di trafficare per raggiungere i propri scopi (che non sono capaci di perseguire onestamente) e dei responsabili tutti di un pezzo?

E se poi si votasse dopo un governo tecnico che dimostrerebbe in maniera ancora più palese l’esproprio della democrazia dai professionisti della politica?

Sembra incredibile l’insipienza dell’establishment del cosìdetto centro sinistra, argomento in realtà già affrontato più volte in questo blog qui per esempio , in modo forse piàù chiaro di oggi.

Allora a ragione Renzi quando dice che alle prossime elezioni il nuovo rappresentato da Alfano si confronterà con il vecchio rappresentato da Bersani ed ha ragione un’altra volta quando dice che chi c’è oggi deve andare a casa, perchè, escludendo la complicità, non si può essere così stupidi: e che sono persone di un altro tempo, un tempo che oramai è passato.

Verissimo che la carta d’identità non è da sola una garanzia al 100% da una parte ed un limite dall’altra, ma le probabilità sono tutte dalla parte di chi è nato almeno dopo il 1970 (quindi, con rammarico, mi escludo anche io).

Purtroppo spesso non c’è niente di peggio di aver ragione.