Pubblicità, Facebook vs. L’Internazionale: per me vince L’Internazionale.

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Lo scorso 12 dicembre ho pubblicato un post dove spiegavo le ragioni per cui avevo deciso di realizzare la campagna pubblicitaria del Prosecco DOC Spumante “Storie di Noir” che produco insieme alla cantina Bosco Levada di Ceggia, su facebook invece che su L’Internazionale.

Oggi, con un po’ di ritardo, espongo la valutazione dei risultati che mi porta a dire che sarebbe stato meglio farla su L’Internazionale. Anzi, probabilmente sarebbe stato meglio non farla per niente.

L’obiettivo principale della campagna era sostenere le vendite di Storie di Noir nel periodo natalizio, uno dei momenti di maggior consumo di prosecco, sui siti di e-commerce di vini Tannico ed Etilika (soprattutto sul primo, che è il principale e-commerce di vino italiano).

Le bottiglie vendute a chi proveniva dai link dei post su facebook sono state 25, quindi è evidente che l’obiettivo non è stato raggiunto (meno male che c’erano anche le vendite “organiche”).

Magari facendo una pagina di pubblicità su L’Internazionale (il budget di più non permetteva) ne avremmo vendute meno, ma evidentemente 25 bottiglia in più o in meno non spostano il risultato dell’anno.

Il bello di facebook è che uno può analizzare il comportamento delle persone riguardo alla campagna e capire meglio cosa non ha funzionato.

La copertura, ossia le persone che si sono trovate i vari post sponsorizzati nella loro bacheca, è stata di 269.590 utenti facebook.

Le impressions, ossia le volte in cui i post sponsorizzati sono stati visti, sono state 750.190. In pratica ogni utente facebook che ha visto i post, li ha visti 2,78 volte (frequenza). Poiché la visione di un post non è frazionabile si capisce che ci sono stati utenti che l’hanno visto 2 volte ed altri che l’hanno visto 4 (se non peggio). Evidentemente in termini di impatto della campagna non è la stessa cosa rispetto a che TUTTI gli utenti raggiunti vedano i post 3 volte.

In realtà le interazioni con i vari post pubblicati sono state in linea con gli obiettivi perché ci sono state 34.678 interazioni sui post (like, commenti, condivisioni, ecc…) di cui 5.886 click sui link che portavano alle pagine di Storie di Noir sui siti di Tannico e di Etilika (il peso della campagna è stato circa 90% Tannico e 10% Etilika).

Quindi quello che non ha funzionato è stata la conversione in acquisto da parte delle persone una volta arrivate sul sito di e-commerce. Io mi aspettavo intorno al 10%, ma mi sarei accontentato anche del 5%. Tassi di conversione abbastanza in linea con quelli realizzati in campagne simili, a quanto mi dicono.

Cosa è mancato. Sinceramente non lo so, ma provo a fare delle ipotesi.

 

La scelta del target.

Nelle mie aspettative uno dei vantaggi di facebook era la possibilità di mirare al target con precisione chirurgica, sogno di tutti gli investitori di pubblicità, ancora di più se sono del segno della Vergine come me.

Ho scoperto però che non è proprio così, perché restringendo il target in termini geografici, demografici e psicografici, l’investimento per ottenere la copertura voluta diventa molto più alto.

Non chiedetemi come mai, perché non l’ho ancora capito malgrado me lo sia fatto spiegare più di una volta. La sensazione che mi è rimasta è che a facebook interessa vendere agli investitori il maggior numero di utenti e quindi penalizza in termini di costo contatto le pianificazioni troppo ristrette. Un come quando Fininvest, ossia Canale 5, Rete 4 e Italia 1, nella pianificazione delle campagne pubblicitarie di Limoncè mi metteva i passaggi degli spot alle 2 di notte per “ottimizzare”.

Il problema non è banale perché grazie all’accesso ai dati che Tannico mette a disposizione dei propri fornitori, io dispongo di parecchie informazioni su profilo geografico e demografico di chi acquista Storie di Noir, quindi so con una buona precisione quanta comunicazione sto sprecando e dove.

Tra l’altro facebook permette di definire il target per comune o per regione, ma non per provincia.

 

La (scarsa) velocità del mezzo.

Sempre nelle mie aspettative facebook doveva essere un media molto veloce, con la possibilità di correggere in corsa la pianificazione, investendo di più sui post che mostravano i migliori risultati ed abbandonando i meno efficienti.

Questa era stata una delle ragioni per preferire facebook a L’Internazionale, prevedendo di concentrare la campagna dal 10 al 17 dicembre (l’uscita su L’Internazionale sarebbe stata sul numero dell’11 dicembre). massimo fino al 20. Oltre questa data infatti i siti di e-commerce non riescono più a garantire la consegna prima di Natale e qui dini i giochi degli acquisti di vino per le feste sono chiusi.

Nuovamente ho scoperto che le cose stanno diversamente da come credevo: i post sponsorizzati hanno bisogno almeno di qualche giorno per sviluppare i numeri di copertura e frequenza previsti. A meno di non aumentare significativamente l’investimento.

Questo riduce anche la possibilità sperimentare l’efficacia dei diversi post (learning by doing) per puntare su quelli che mostrano i migliori risultati, perché significa in un certo senso ripartire ogni volta.

Aggiungeteci poi che facebook ha sospeso il post con il link a Tannico venerdì 11 dicembre, giusto prima del cruciale fine settimana del 12-13 dicembre, perché si trattava di un vino, quindi un alcolico, e dovevano verificare che il target definito da noi non fosse in contrasto con la loro politiche aziendali. Stranamente il post con il link ad Etilika, esattamente uguale a parte il sito a cui portava, è rimasto tranquillamente on line.

 

Alla fine per raggiungere gli obiettivi di copertura e frequenza, abbiamo allargato la pianificazione a tutta l’Italia invece che solo alle regioni dove le persone avevano acquistato Storie di Noir in passato, e l’abbiamo allungata fino al 22 dicembre. Probabilmente questo ha contribuito alla bassa conversione tra click al sito e successivi acquisti.

 

In sintesi cosa ho imparato.

  • Il budget necessario per fare una campagna facebook nazionale (o almeno pluriregionale) è simile a quello per fare una campagna su “L’Internazionale” e, credo, per estensione su gran parte dei media classici vista la riduzione delle tariffe.
  • Facebook è impostato su delle logiche basate sulla quantità più che sulla qualità dell’audience. Cercare di uscire da queste regole è molto difficile o, quantomeno, molto costoso. Detto in altre parole facebook è impostato sui suoi interessi, non su quelli degli investitori. Anche qui mi ricorda tanto le logiche della televisione generalista di una volta.
  • Facebook vende agli investitori un grande mare di persone/teste/scalpi (scegliete voi il termine che preferite) su cui gettare le reti per poi fare la cernita una volta rientrati in posto. Fuor di metafora facebook è (può essere) una fonte di audience, che una volta agganciata, va “lavorata” con altri strumenti. Per questa ragione la comunicazione su facebook per essere efficace dovrebbe essere continua(tiva) e dovrebbe puntare a portare le persone in luoghi fisici, i supermercati Aldi ad esempio, o digitali, il sito aziendale, in cui fanno altri tipi di esperienze con la marca.
  • Credo che attraverso facebook si possa lavorare sulla conoscenza della marca (awareness) e sul “reclutamento” di potenziali consumatori (vedi sopra), ma non molto sul posizionamento / reputazione della marca (lo so è il contrario di quello che dicevo nel 2016, ma gli anni passano e le cose cambiano).
  • Facebook si presta poco ad operazioni spot.
  • Con piccoli budget facebook è un mezzo ideale per campagne a livello locale (comune) di attività radicate sul territorio che vendono beni o servizi, soprattutto se sono in grado di sviluppare attività di database marketing.

Col senno di poi, di cui notoriamente son piene le fosse, avrei fatto la pagina su “L’Internazionale”. Forse perché sono un boomer, però non sono il solo vista la quantità di cantine che da dicembre in avanti hanno fatto pubblicità sulla rivista.

Come nasce un vino (innovativo)? Bosco Levada “Storie di Noir” Prosecco DOC Spumante Brut – 4° episodio: la presentazione di vendita.

Avvertenza: Bosco Levada “Storie di Noir” Prosecco DOC spumante brut è un vino che ho realizzato insieme alla Società Agricola Bosco Levada di Ceggia (VE).

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La presentazione di vendita è uno strumento fondamentale per rivolgersi ai potenziali nuovi clienti, intesi come i clienti nuovi tout court oppure quei clienti che già acquistano dalla cantina ed a cui vogliamo presentare un nuovo vino.

Al primo contatto infatti TUTTI chiedono l’invio per e-mail di questo documento.

Documento che viene utile anche per la presentazione di persona utilizzando il portatile o il pad.

Perché le persone la leggano è però necessario che aprano la mail, poi aprano anche l’allegato ed infine arrivino in fondo alla presentazione.

Nessuna di queste cose è scontata.

Per renderle più probabili ci vuole:

-          Un “Oggetto” della mail che attiri l’attenzione.

-          Un testo della mail che faccia capire chiaramente di cosa si tratta senza dilungarsi troppo.

-          Una presentazione allegata sintetica, in cui vengano indicati tutti gli elementi salienti della proposta / vino. Il che vuol dire soprattutto i benefits / vantaggi che la proposta/vino porta al cliente e non le semplici caratteristiche del vino.

L’idea non è che dopo aver ricevuto la mail e visto la presentazione i potenziali clienti vi chiamino per fare l’ordine, ma che vi chiamino per approfondire la questione (ovviamente qui non mi sto riferendo all’ e-commerce rivolto al consumatore finale).

Seguendo questo principio io anni fa ho teorizzato il “marketing all’osso” o “bare bone marketing”, che prevedeva l’eliminazione di tutto il superfluo. Quindi per contattare i potenziali clienti ho sviluppato una presentazione che consisteva in testo di una facciata, non troppo fitta.

Niente animazioni, niente immagini, niente video, niente hyperlink al web. Niente di niente.

Solamente un testo che cercava di dire chiaramente chi eravamo e cosa facevamo in modo che i potenziali clienti potessero capire se come fornitori eravamo in grado di portare più valore aggiunto al loro business rispetto a quelli che avevano già.

Tutto il lavoro si centrava su una bella carta intestata, anche per questo avevo da poco concluso il progetto del cambio del logo, un carattere tipografico piacevole da leggere e con una personalità propria (scelto tra quelli disponibili in word, ma cercandone uno meno comune del solito) ed un testo chiaro e saliente.

La salienza derivava da un’analisi della nostra personalità e competenze, incrociata con le tendenze e le richieste del mercato. Ossia far capire a chi leggeva che sapevamo di cosa stavamo parlando.

La cosa ha funzionato e sono riuscito così ad attivare 3 clienti. Forse vi sembreranno pochi, ma il mio target erano i buyers delle catene della GDO europea per fare contratti dalle 400.000 al milione di bottiglie ed oltre.

Sottolineo che il testo non conteneva alcuna indicazione di prezzo, anche perché con questo tipo di clienti i prezzi vanno fatti ad hoc sulla base delle specifiche del contratto di fornitura. Credo sia giusto segnalare anche che in diversi casi il nostro prezzo era qualche centesimo superiore a quello degli altri fornitori per vini simili o equivalenti.

Secondo me ha funzionato anche per il modo oltre che la sostanza, ovvero la modalità di presentazione si differenziava dalla solita presentazione in powerpoint. Quindi si differenziava dal resto e dimostrava anche che noi eravamo in grado di formulare un pensiero / strategia originale.

Per Bosco Levada “Storie di Noir” Prosecco DOC spumante brut però il target dei potenziali clienti è completamente diverso. Qui parliamo dei grossisti da un pallet alla volte, delle enoteche/ristoranti da qualche cartone ad ordine, dei piccoli importatori rivolti al canale specializzato.

Anche il posizionamento e la personalità del vino sono completamente diverse e più complesse rispetto ai vini a marchio della catena.

Un approccio all’osso non sarebbe visto come efficiente, ma come povero.

Quindi sono stato più classico ed ho preparato la presentazione powerpoint di 5 diapositive che apre questo post.

Questa è la quarta o quinta versione (dovrebbe essere l’ultima, ma mai dire mai).

La prima versione aveva due diapositive in meno, poi ho cominciato a mandarla in giro.

Un amico e potenziale cliente a mi ha detto che era perplesso perché vedeva “Storie di Noir” come un vino senza storia, frutto della mia fantasia e prodotto dal primo terzista che capitava.

Allora ho inserito le dichiarazioni di Maurizio Facchin e mie nella diapositiva di apertura ed aggiunto la diapositiva che descrive la Società Agricola Bosco Levada. Questo non per raccontare lee fiabe, ma per comunicare le cose come effettivamente stanno. Altrimenti sulla bottiglia non ci sarebbe il collarino con il logo “Bosco Levada”.

Un altro che l’ha vista, e che non c’entra niente con il settore del vino, mi ha detto che la trovava confusa/affollata. Mi sono ricordato della mia insegnante di comunicazione nel corso di Marketing Management all’Università di Guelph in Canada che diceva che in una diapositiva non dovevano esserci più di 4 righe, e scritte con un carattere bello grande.

Allora ho lavorato sui testi ed ho aggiunto una diapositiva sdoppiando i contenuti che riguardano le caratteristiche di posizionamento ed organolettiche del vino. In pratica le due diapositive con la bottiglia all’inizio erano una sola.

Quando si pensa alla sintesi bisogna sempre stare attenti che questa non dipende dal numero di diapositive, pagine, ecc… ma dalla quantità di contenuti. Come dico spesso quando parlo di comunicazione, bisogna evitare l’ansia di voler dire tutto e così di far la fine delle tute dei piloti di Formula 1 dove ci sono talmente tanti loghi, ovvero messaggi, che alla fine non se ne vede nessuno.

Nel mio caso dividere gli stessi contenuti in due diapositive non riduceva la sintesi, però aumentava la facilità di lettura e di comprensione.

Poi confrontandoci in cantina una persona ha detto che la presentazione era complessivamente buona, però non centrava al 100% le peculiarità del vino. Così mi sono messo a rivedere tutti i testi, accorciandoli.

Concludo con alcuni suggerimenti per migliorare l’efficacia delle presentazioni, derivati dagli esempi qui sopra.

1)      Focalizzatevi sugli elementi essenziali.

2)      Sottolineate quelli differenzianti.

3)      Cercate di farlo con modalità originali (ma evitate lo strano a tutti costi, se strani non siete)

4)      Ricordatevi del proverbio spagnolo “Lo bueno y breve, dos veces bueno”, ossia “Il buono breve/sintetico è buono due volte”. La buona comunicazione, come il buon design, funziona quasi sempre per sottrazione.

5)      Fate vedere la presentazione ad un numero ristretto di persone e correggetela in base alle loro indicazioni prima di usarla in lungo e in largo.

6)      Ricordatevi che purtroppo, o per fortuna, non viviamo nel mondo ideale ed il tempo comanda su tutto. Quindi a volte bisogna scendere a compromessi con le scadenze.

Nell’attuale presentazione di Bosco Levada “Storie di Noir” Prosecco DOC la bottiglia è una riproduzione grafica, perché non avevamo ancora imbottigliato e quindi non potevamo avere la foto della bottiglia vera. Però io dovevo contattare i potenziali clienti che contavo di incontrare al Prowein e quindi l’ho mandata lo stesso.

Poi il Prowein l’hanno rimandato, ma questa è un’altra storia.

Come nasce un vino (innovativo)? Bosco Levada “Storie di Noir” Prosecco DOC Spumante Brut – 3° episodio: l’assaggio del prodotto.

Avvertenza: Bosco Levada “Storie di Noir” Prosecco DOC spumante brut è un vino che ho realizzato insieme alla Società Agricola Bosco Levada di Ceggia (VE).

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Il primo progetto di sviluppo prodotto che ho seguito in una cantina era proprio un Prosecco, ai tempi DOC Conegliano-Valdobbiadene, oggi DOCG.

Fatta la nostra bella definizione di concetto di prodotto e definito il ruolo che il nuovo prodotto avrebbe avuto nell’architettura assortimentale (perché di Prosecchi in gamma ne avevamo già), come descritto nella prima puntata di questa serie, e definito il brief per l’immagine della bottiglia (la sessione creativa con gli enologi, vendite e marketing che girano intorno al tavolo della sala di degustazione è entrata a far parte delle leggende che si raccontano in Santa Margherita; non è colpa mia se le pareti erano di vetro), un bel giorno siamo finalmente arrivati a degustare il vino.

Sono sceso in cantina ed il mio amico Loris mi ha fatto assaggiare i 5 campioni. Ne abbiamo discusso un po’ ed alla fine io ho detto una cosa tipo “Seconde me i più interessanti sono il 2 ed il 5. A questo punto facciamo un test sul consumatore, vediamo qual è il preferito e partiamo con la produzione”. Loris mi ha guardato un po’ stranito e mi ha spiegato che nel vino non funziona così perché comunque la prossima autoclave non sarebbe mai stata al 100% uguale a quella di prova e che l’ulteriore fase di ricerca sul consumatore avrebbe allungato i tempi, impedendoci di essere pronti per presentare il nuovo spumante al Vinitaly (che ai tempi iniziava al giovedì e finiva il lunedì successivo).

E’ così che ho imparato l’unica vera differenza tra il vino e quasi tutti gli altri prodotti alimentari: il vino non si fa con una ricetta. Nemmeno lo spumante che è un vino tecnico per definizione.

Questo determina due corollari:

-          Se si vuole/deve fare un vino che abbia un profilo organolettico costante nelle varie annate, dovrà essere necessariamente un assemblaggio di uve/vini provenienti da vigneti diversi e/o un uvaggio di vitigni diversi. Detto in altro modo: il profilo sensoriale di un vino ottenuto da un singolo cru mostrerà sempre una certa variabilità in base all’andamento climatico dell’annata.

-          Se si vuole/deve fare un vino che abbia un profilo organolettico costante nelle varie annate, bisognerà farlo diverso ogni anno. Ovvero le proporzioni tra i vini dei vari vigneti/vitigni cambieranno per il diverso profilo che presentano i vini “base” conseguentemente all’andamento climatico dell’annata.

Detto in altre parole, una volta definito concettualmente il profilo sensoriale che deve avere un vino, per avere effettivamente quel profilo bisogna affidarsi all’abilità dell’enologo (e per me è in questo che risiede l’aura quasi magica che circonda questa professione).

La scorsa settimana abbiamo quindi assaggiato il Bosco Levada “Prosecco Noir” Prosecco DOC Spumante Brut con il titolare dell’azienda e con l’enologo.

Non che ci fosse molto da decidere, viste le riflessioni di cui sopra, però c’era la curiosità di se e come si sarebbe fatta sentire la presenza del pinot nero vinificato in bianco.

Queste le mie note di degustazione:

Colore: giallo paglierino carico.

Naso: delicato, elegante, complesso e lungo. La prima nota che si percepisce è quella di mela golden, poi appare un sottofondo di rosa canina e smalto che si mantiene costante mentre la mela evolve in pera matura e banana.

Palato: fresco, croccante ad ampio in bocca. Si ritrovano la mela e la pera su una base di frutti rossi (ribes) per concludere con un finale agrumato.

 

Noi siamo rimasti molto contenti del risultato perché il vino ha una sua personalità propria che gli deriva dalla presenza del pinot nero. Un Prosecco DOC unico, particolare che mantiene allo stesso tempo chiaramente l’impronta della denominazione.

Abbiamo anche ragionato se nella prossima produzione alzare leggermente la percentuale di Pinot Nero nella cuvée, ma ci siamo risposti che va bene così, anche per evitare il rischio che le commissioni di assaggio della DOC lo giudichino fuori dal profilo.

Ci siamo anche chiesti se sarebbe migliorato aumentando il dosaggio dello zucchero, visto che questo tende ad esaltare tutti i profumi e gli aromi (regola generale che vale anche per i liquori ed un po’ tutti i prodotti alimentari, se non si esagera).

Abbiamo quindi provato a portarlo da brut ad extra dry, ma siamo stati tutti concordi che rendendolo più dolce si coprivano le sfumature di profumi e sapori, rendendo Bosco Levada “Storie di Noir” Prosecco DOC più “piatto” e banale.

La settimana prossima si imbottiglia e poi arriva la prova più importante: quella del mercato. Prowein stiamo arrivando!

Come nasce un vino (innovativo)? Bosco Levada “Storie di Noir” Prosecco DOC Spumante Brut – 2° episodio: l’immagine della bottiglia.

Avvertenza: Bosco Levada “Storie di Noir” Prosecco DOC spumante brut è un vino che ho realizzato insieme alla Società Agricola Bosco Levada di Ceggia (VE).

Com’è fatta una bella etichetta?

Un’etichetta è bella nella misura in cui trasmette l’identità della marca. E’ perfetta se oltre a questo, fa anche allungare il braccio comprare la bottiglia.

Da questi assiomi derivano diversi corollari:

  1. Fare etichette, e più in generale fare identità di marca, NON è fare arti figurative. Un’etichetta non può essere giudicata bella o brutta in base al senso estetico, evidentemente soggettivo, di ognuno. Indifferentemente che si tratti di un campione di consumatori, del management/proprietà della cantina titolare della cantina o della zia, che ha tanto buon gusto.
  2. Per fare una bella etichetta è innanzitutto necessario definire l’identità / personalità /valori che dovrà trasmettere.
  3. Definita l’identità / personalità /valori che l’etichetta / bottiglia / confezione dovrà trasmettere, la valutazione dell’adeguatezza delle proposte non sarà più soggettiva, ma diventa oggettiva.
  4. Poi questa definizione va trasferita ad un’agenzia / designer / grafico-a professionista perché risolva creativamente il compito di trasferirli su un’etichetta / bottiglia / confezione. “Trasferirli” non significa mandare una mail e/o un documento, significa assicurarsi che chi deve fare l’etichetta abbia compreso qual è l’obiettivo di posizionamento / comunicazione.

Alcuni consigli per gestire con efficienza (senza perdite di tempo) ed efficacia (ottenendo i risultati attesi) questo processo.

Dopo un paio di decenni di esperienza nella realizzazione di identità di marca in aziende e settori diversi, mi sento di poter affermare che un processo creativo di successo passa attraverso queste, e solo queste fasi:

  1. Brief: il documento dove viene spiegato l’incarico al designer. E’ bene farlo anche a voce, di persona o per telefono/video/ ecc…, perché così si possono chiarire meglio le cose, ma non cadete nella tentazione di fare il brief solo a voce. Magari perché vi conoscete bene con il designer o valutate che il progetto sia semplice. Fate sempre un documento scritto, perché questo vi servirà da riferimento condiviso durante tutto il corso dello sviluppo del progetto.
  2. Il brief deve descrivere il contesto e gli obiettivi del progetto. Non fate un brief dove spiegate i dettagli dell’etichetta perché così sprecate le competenze del designer. Mettete però i paletti obbligatori per legge o per caratteristiche aziendali. Ad esempio il colore aziendale, oppure i vincoli tecnici: se il vostro impianto di imbottigliamento non è in grado di centrare collarino ed etichetta ditelo subito, eviterete di perdere, e far perdere, tempo dopo. Attenzione a non esagerare con i paletti, altrimenti ricadete nel problema di dire voi al designer come deve fare l’etichetta. Invece dovete spiegare al designer cosa deve dire l’etichetta, il come farglielo dire è il suo compito (e il suo mestiere).
  3. De-brief: è la spiegazione del brief che il designer fa al cliente. In questo modo si capisce effettivamente cosa è stato compreso dal designer e si possono correggere gli eventuali fraintendimenti. Come committente non siate rigidi, con il de-brief capita anche di rendersi conte che alcune cose sono confuse perché sono mal definite oppure perché sono semplicemente sbagliate. Ascoltate quello che vi dicono i professionisti di cui vi avvalete, d’altra parte li pagate per sfruttare le loro competenze. Nel brief stabilite una tempistica del progetto, partendo non da oggi, ma dal giorno in cui vi serve il progetto concluso ed andando a ritroso.
  4. Prime proposte del designer. Quanto tempo dopo il brief? Dipende dagli impegni di ognuno. Di base ne poco ne troppo. Se siete clienti, lasciate al designer il tempo necessario per ragionare sulla questione ed esplorare diverse strade. Se siete designer non chiedete troppo tempo solamente per sentirvi tranquilli perché ogni progetto aperto richiede attenzione, quindi meno dura e meglio è.
  5. Valutazione delle prime proposte. Se siete il cliente non fatevi mettere fretta dal designer. Lui ha avuto un mese per fare il lavoro, voi avete diritto ad una settimana per valutarlo.
  6. Scelta delle 2 proposte da sviluppare. Non 4 o 5, DUE. Dovete avere il coraggio di decidere, se non ce l’avete significa che qualcosa nella fase brief/de-brief è andato storto. E non lo risolverete facendo, e facendo fare, extra lavoro. Aumenterete solo la confusione.
  7. C’è una sola eccezione alla regola dello sviluppo delle 2 proposte. Tra le prime proposte presentate dall’agenzia ce ne può essere anche una fuori brief, totalmente o in parte. Secondo me una cosa positiva, che anzi stimolo chi lavora con me a fare perché dimostra che hanno interiorizzato la questione tanto da poter sviluppare una visione originale. Nel caso in cui questa proposta “fuori dal coro” sembri promettente, potete eccepire alla regola e proseguire con lo sviluppo di 3.
  8. Presentazione proposte sviluppate da parte del designer.
  9. Valutazione delle proposte sviluppate da parte del cliente e scelta della proposta da affinare. UNA proposta da affinare. Se a questo punto avete ancora dubbi su quale puntare, meglio che torniate indietro a vedere dov’è il problema.
  10. Affinamento proposta scelta da parte dell’agenzia.
  11. Verifica della proposta affinata da parte del cliente su aspetti legali ed ultimi dettagli.
  12. Correzioni da parte dell’agenzia, esecutivo, stampa.

 

Tre raccomandazioni a chi in cantina gestisce questi progetti:

-          Siate esigenti e non accontentatevi. Se non siete convinti delle proposte in qualsiasi fase del processo siate espliciti al riguardo ed esigete all’agenzia/designer di risolvere il problema.

L’inerzia, la pressione delle scadenze, il timore che creando tensione nel rapporto peggiorerà la qualità del lavoro (rischio reale) possono portare ad accettare soluzioni che non rispondono, o rispondono solo parzialmente, all’obiettivo di comunicazione posizionamento.

Non fatelo perché poi con quell’etichetta dovrete conviverci per i prossimi anni (il cambiamento / aggiustamento frequente dell’identità aziendale trasmette ai clienti un’immagine di confusione e rende più difficile il consolidamento della marca).

 

-          Siate sereni, soprattutto nelle fasi iniziali, perché normalmente il risultato finale è molto diverso dalle prime proposte, anche quelle scelte che al momento sembravano già belle così.

Non serve quindi disperarsi perché le prime proposte sembrano insoddisfacenti. Siate seri ed esigenti, ma sereni, nelle valutazioni e nelle indicazioni correttive. Partite da quanto di buono c’è nelle proposte, abbiate fiducia e lasciatevi sorprendere: un buon grafico trova soluzioni che voi non avreste nemmeno sognato.

 

-          Ho detto in apertura che fare identità di marca non è fare arti figurative, però non approvate proposte che vi sembrano istintivamente brutte, perché rischiate di essere i primi a non credere nella vostra proposta.

Per noi il frutto di tutti questi principi è stata la bottiglia che vedete qui sotto. Vi piace?

Moke up Prosecco DOC Storie di Noir

Come nasce un vino (innovativo)? Bosco Levada “Storie di Noir” Prosecco DOC Spumante Brut – 1 episodio.

autoclave Storie di Noir

In oltre dieci anni di attività nel mondo del vino ne ho fatte un po’ di tutti i colori, mi mancava però diventare (quasi) produttore. Nel 2020 proverò anche questa ebrezza.

E lo farò puntando sul NERO, perché insieme alla Società Agricola Bosco Levada di Ceggia abbiamo realizzato “Storie di Noir”, Prosecco DOC Spumante Brut che ha il Pinot Nero vinificato in bianco nella cuvée. Il “quasi produttore” significa che chi fa effettivamente il vino sono loro che sono bravi, però tutto il progetto l’abbiamo realizzato e lo gestiamo insieme (onori e oneri).

In questo post, ed in altri che seguiranno vi racconto il dietro le quinte di come nasce e cresce (speriamo) un nuovo vino.

BASTA QUESTO COME DISCLAIMER RIGUARDO ALLA MIA CO-INTERESSENZA SU TUTTO QUELLO CHE DIRO’?

Penso di sì e quindi proseguo serenamente.

Ogni prodotto, ed il vino non fa eccezione, nasce innanzitutto da un’idea. O, se preferite, da un concetto. O come dico io da un “perché”.

Nel caso del Prosecco DOC Spumante Brut “Storie di Noir” i “perché” sono diversi.

Il primo è viticolo ed enologico ed è quello di fare un Prosecco utilizzando il Pinot Nero nella cuvée. Il Pinot Nero vinificato in bianco è sempre stato tra i complementari ammessi nella produzione del Prosecco DOC, però non l’ha mai usato nessuno. Almeno dichiarandolo.
Probabilmente perché rispetto agli altri complementari ammessi, il Pinot Nero è più difficile da coltivare e da vinificare.

Quindi il Prosecco DOC con il Pinot Nero come complementare abbiamo dovuto immaginarlo, prima di farlo (tutte le cose che si fanno sono prima immaginate, a parte quelle che accadono per caso).

Come ce lo siamo immaginato, rispetto agli altri Prosecco DOC?
- Più avventuroso, d’altra parte già mettersi a fare una cosa sconosciuta è un’avventura.
- Più misterioso, vedi sopra.
- Più raffinato.
- Più ricco.
- Meno frivolo.

Definire bene l’idea fin dall’inizio è utile ed importante perchè così si crea una linea guida per tutte le scelte successive.

Brut o Extra Dry?
La maggior parte del Prosecco DOC Spumante che si beve oggi è Extra Dry, quindi dal punto di vista del mercato quindi questa sarebbe stata la scelta più logica.
Però sarebbe stata coerente con come ce lo siamo immaginato? A noi sembra di no, e quindi Bosco Levada “Storie di Noir” sarà Brut.

Quante settimane in autoclave?
La legge prevede per la spumantizzazione un periodo minimo di permanenza in autoclave di 4 settimane.
Secondo noi questo tempo però non era sufficienti per fare il vino che abbiamo immaginato e quindi il nostro minimo sarà di 8 settimane.
In più terremo le bottiglie ad affinarsi in cantina almeno un mese dopo l’imbottigliamento.

Arrivati a questo punto le domande sono due:
- Quanto somiglierà il vino che andremo ad imbottigliare a quello che ci siamo immaginati?

- Piacerà il Prosecco DOC Spumante Brut Bosco Levada “Storie di Noir” così come ce lo siamo immaginato?

Per rispondere alla prima domanda dobbiamo aspettare fino a metà febbraio.

Per rispondere alla seconda ci vorrà un po’ di più, ed un ruolo non secondario lo giocherà l’immagine della bottiglia, che sarà il tema della prossima puntata.