Concettualmente la distinzione tra comunicazione above the line e below the line è inutile e dannosa.

Benchè biscomarketing sia notoriamente un blog di argomenti freddi, quello di oggi rischia di essere addirittura gelido perchè la distinzione tra attività di comunicazione di above e below the line (un attimo e la spiego), viene data per morta.

Un paio di mesi fa però mi è capitato di parlare con due amici pubblicitari e sentire di nuovo questi termini con cui ho da sempre un rapporto particolare: mi provocano un’allergia cutanea all’epidermide del cervello.

La prima volto che li ho sentiti credo fosse nel 1995 in Levoni quando stavamo pianificando la prima campagna pubblicitaria televisiva, per bocca di un pubblicitario. Il mio stupore fu grande perchè lui li usava come fossero la cosa più ovvia del mondo ed io invece non sapevo nemmeno che esistessero (meno che meno cosa volessero dire). Eppure dopo la laurea avevo studiato in Italia, Canada e Spagna prendendo un diploma di specializzazione di economia del sistema agro-alimentare, uno di specializzazione in marketing dei prodotti agro-alimentari ed uno di dottorato in Zooeconomia. Conoscevo il Kotler quasi a memoria (ma l’avevo anche capito però) e lì questi termini non c’erano.

Andando ad indagare scoprii che la distinzione tra above the line e below the line era nata nel 1954 alla Proctor & Gamble per distinguere le diverse modalità di calcolo dei compensi e di pagamento applicate alle agenzie di pubblicità (above the line) rispetto alle agenzie promozionali (below the line).

Nella pratica promo pubblicitaria quindi si è affermata questa distinzione tra le strategie realizzate attraverso i mezzi di comunicazione di massa che giravano direttamente alle agenzie di pubblicità il compenso calcolato sul valore dell’investimento (tipicamente il 15%), e quelle realizzate con altre modalità per cui l’azienda pagava tipicamente un compenso fisso sulla base del lavoro previsto, indipendentemente dall’ammontare dell’investimento.

Nell’above the line (o ATL) rientra(vano) quindi TV, radio, giornali, cinema, affissione esterna.

Nel below the line (o BTL) rientra(vano) le sposnsorizzazioni, la stampa e distribuzione di pieghevoli/depliant, le promozioni nei punti vendita, le pubbliche relazioni/passaparola.

Recentemente nell’ATL è stata aggiunta la pubblicità su internet e nel BTL le attività realizzate sui social media, ma non serviva l’avvento del web per evidenziare che si trattava di una distinzione insensata dal punto di vista strategico. Basta vedere l’origine tecnico-contabile dei due termini per capire che non hanno alcun legame con il rapporto tra l’azienda ed il mercato. Un po’ di riferimenti bibliografici qui, qui e qui.

Quindi io personalmente sono passato oltre ed ho continuato ad impostare i miei piani dividendo, ed integrando, tra strategie che fornivano ragioni d’acquisto e strategie che fornivano incentivi all’acquisto.

Poi però sono passato ad aziende, ed agenzie pubblicitarie, più grandi ed la suddivsione tra ATL e BTL continuava ad inseguirmi. Le grandi aziende multinazionali che distribuivo in Italia mi mandavano schemi di pianificazione dove ATL e BTL erano in due colonne, quando non in due pagine, separate e le agenzie che realizzavano le campagne pubblicitarie TV, radio, giornali non facevano cataloghi, depliant, materiali punto vendita ecc..

Il risultato era che risultava molto difficile impostare, prima, e realizzare, poi, una strategia di marketing cesa nei messaggi e nei codici. E questo malgrado io abbia sempre evitato di dividere organizzativamente il consumer marketing dal trade marketing, come invece è prassi comune nelle aziende più grandi.

La cosa che mi ha sorpreso di più parlando con i due pubblicitari di cui sopra è che loro vedono la suddivisione dell attività in ATL e BTL come qualcosa di meramente operativo, per cui ci sono agenzie specializzate nell’ATL ed altre nel BTL, senza immaginare l’impatto che questa suddivisione tecnica ha sul pensiero strategico.

Spero che l’avvento del Marketing Totale, faccia sparire per sempre questo modo di dire, diventato col tempo un modo di pensare (le strategie) così da non dovermi più grattare il prurito che mi viene quando lo sento.

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