Le conseguenza della crisi economica: occupazione e disoccupazione in Italia – 1.

Confesso che questo post continuavo a rimandarlo perchè l’argomento contiene in sè una dose di tragedia che rende difficile e cinico trattarlo con la necessaria astrattezza.

Però mi è sembrata la naturale conclusione della serie di considerazioni sulle conseguenze della crisi economica, visto che il calo dei consumi in un economia consumistica non può che portare ad un calo dell’occupazione. Quindi, per una (strana) forma di onestà intellettuale mi sembrava scorretto sottrarmi a questo post.

C’è poi un altro motivo che mi ha portato a riflettere sull’argomento: se c’è una questione per cui si arriverà a cercare e formulare il nuovo paradigma economico di cui si parla del 2008, questa è quella del lavoro.

Riguardo alla vergogna di dire delle stupidaggini su un tema cruciale per la vita di tante persone, ho quanto meno la tranquillità che non potrò far peggio dei docenti di Harvard teorici della regola che un debito oltre al 90% del PIL frena la crescita delle nazioni: uno studente di dottorato ha dimostrato che il loro studio si basa su dati lacunosi e sbagliati per gli errori nel definire l’intervallo delle celle in alcune somme del foglio excel utilizzato nei calcoli (chiedo scusa se i riferimenti sono in spagnolo, ma ovviamente la stampa italiana era troppo occupata a tessere le lodi dell’abilità negoziatoria che ha permesso di formare il governo più golpista della storia repubblicana per occuparsi di notizie così marginali).

Comincio allora dai freddi numeri, cercando di fare attenzione.

Secondo quando riportato dallo studio dell’Istat sulle serie storiche di occupati e disoccupati in Italia dal 1977 al 2012 durante questi 35 anni:
- il numero medio degli occupati annui è cresciuto di oltre 3 milioni (da 19.551.000 a 22.899.000).
- il tasso di occupazione era del 54,6% nel 1977, ha raggiunto il minimo del 52,5% nel 1995, il massimo con il 58,7% nel 2008 ed era del 56,8% nel 2012.
- il numero dei disoccupati è cresciuto nel periodo di circa 1,5 milioni di persone (non è in contrasto con l’aumento degli occupati, perchè dipende dal numero di persone in cerca di lavoro) da 1.340.000 nel 1977 a 2.744.000 nel 2012.
- il tasso di disoccupazione (misurato sul totale della forza lavoro e non della popolazione) era del 6,4% nel 1977, ha raggiunto il massimo nel 1998 con 11,3%, il minimo nel 2007 con il 6,1% ed era del 10,7% nel 2012.
- il numero della popolazione inattiva tra i 15 ed i 64 anni è diminuito di circa 600.000 persone, passando da 15.000.000 a 14.386.000. Questo è il risultato di due tendenze contrapposte: aumento degli uomini inattivi e calo delle donne inattive.
- la % di lavoratori dipendenti è cresciuta dal 68,8% al 75,2%, fenomeno interamente riconducibile al lavoro dipendente femminile aumentato dal 66,9% all’81,7%, mentre per gli uomini l’aumento è inferiore all’1%.
- in termini territoriali il tasso di disoccupazione è cresciuto dal 5,8% al 7,4% al Nord, dal 5,5% al 9,5% al Centro e dall’8% al 17,2% al Sud (dato prevedibile ma non per questo meno grave).
- la disoccupazione giovanile a livello nazionale è cresciuta dal 21,7% al 35,3% (tra l’83 e l’87 oscillava comunque intorno al 32%-34%). Anche qui grandi le differenze territoriali con il dato 2012 che vede il 26,6% al Nord, 34,7% al Centro ed il 46,9% al Sud.

Questi quindi i trend di lungo periodo, quali quelli a breve?

Il dato più aggiornato disponibile è quello relativo al IV trimestre 2012, confrontato con lo stesso periodo dell’anno precedente.

Riporto integralmente dal dosumento dell’Istat

Il mercato del lavoro nel IV trimestre 2012 (dati grezzi)
- Nel quarto trimestre 2012 il numero degli occupati (dati grezzi) diminuisce di 148.000 unità rispetto a un anno prima. Il risultato sintetizza il nuovo andamento negativo dell’occupazione maschile (-196.000 unità), a fronte del moderato incremento di quella femminile (+48.000 unità). Peraltro, al persistente calo degli occupati più giovani e dei 35-49enni si contrappone l’aumento di quelli con almeno 50 anni.
- La riduzione tendenziale dell’occupazione italiana (-246.000 unità) si accompagna alla crescita di quella straniera (98.000 unità). In confronto al quarto trimestre 2011, tuttavia, il tasso di occupazione degli italiani segnala una riduzione di 0,3 punti percentuali e quello degli stranieri di 0,9 punti percentuali.
- Nell’industria in senso stretto si accentua la flessione avviatasi nel primo trimestre 2012, con un calo tendenziale del 2,5% (-117.000 unità), concentrato nelle imprese di media dimensione. Continua la riduzione degli occupati nelle costruzioni (-4,6%, pari a -81.000 unità). Il terziario continua a mostrare una crescita dell’occupazione (+0,5%, pari a +76.000 unità), dovuta all’aumento delle posizioni lavorative sia dipendenti sia autonome.
- L’occupazione a tempo pieno continua a diminuire (-2,3%, pari a -441.000 unità), soprattutto tra i dipendenti a carattere permanente. Gli occupati a tempo parziale aumentano ancora in misura sostenuta (+7,9%, pari a 293.000 unità), ma si tratta nella quasi totalità dei casi di part-time involontario.
- Si arresta la crescita dei dipendenti a termine, cui si accompagna la diminuzione dei collaboratori (-4,8%, pari a -20.000 unità rispetto a un anno prima).
- Il numero dei disoccupati manifesta un ulteriore forte aumento su base tendenziale (+23,0%, pari a 559.000 unità). L’incremento, diffuso su tutto il territorio nazionale, interessa entrambe le componenti di genere e in oltre la metà dei casi persone con almeno 35 anni. La crescita è dovuta in un caso su due a quanti hanno perso la precedente occupazione.
- Il tasso di disoccupazione trimestrale (dati grezzi) è pari all’11,6%, in crescita di 2,0 punti percentuali rispetto a un anno prima; per gli uomini l’indicatore passa dall’8,7% del quarto trimestre 2011 all’attuale 10,7% e per le donne dal 10,8% al 12,8%. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale al 39,0% (6,4 punti percentuali in più nel raffronto tendenziale), con un picco del 56,1% per le giovani donne del Mezzogiorno.
- Si riduce la popolazione inattiva (-3,2%, pari a -465.000 unità), principalmente a motivo della discesa di quanti non cercano e non sono disponibili a lavorare. All’aumentata partecipazione delle donne e dei giovani si accompagna la riduzione degli inattivi tra 55 e 64 anni, presumibilmente rimasti nell’occupazione a seguito dei maggiori vincoli introdotti per l’accesso alla pensione.

Integro il “cibo per la mente” con alcune citazioni:
da “L’Internazionale” del 22 marzo 2013 l’estratto di un discorso di Enrico Berlinguer (il fatto che fosse per storia e cultura uomo di apparato e lo ritenga il legittimatore della partitocrazia, non significa che tutto quello che ha detto fosse sbagliato)
“L’austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l’austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici. Ma non è così per noi.

Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata. (…)

L’austerità, a seconda dei contenuti che ha e delle forze che ne governano l’attuazione, può essere adoperata o come strumento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle ingiustizie sociali, oppure come occasione per uno sviluppo economico e sociale nuovo, per un rigoroso risanamento dello stato, per una profonda trasformazione dell’assetto della società, per la difesa ed espansione della democrazia: in una parola, come mezzo di giustizia e di liberazione dell’uomo e di tutte le sue energie oggi mortificate, disperse, sprecate”.

Enrico Berlinguer, 15 gennaio 1977. Conclusioni al convegno degli intellettuali, teatro Eliseo di Roma.

Gianroberto Casaleggio: “La vita non è lavorare 40 ore alla settimana in un ufficio per 45 anni. Stavano meglio gli irochesi e i boscimani che dovevano lavorare un’ora al giorno per nutrirsi.”

Elsa Fornero, quando era Ministro del lavoro e delle politiche sociali: «Stiamo cercando di proteggere le persone, non i loro lavori. L’attitudine della gente deve cambiare. Il lavoro non è un diritto; dev’essere guadagnato, anche con il sacrificio»

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