Ovviamente non intendo dal punto di vista sanitario ma dal punto di vista economico-sociale.
Lo spunto nasce nuovamente dal corso di teatro che sto facendo.
L’altro giorno abbiamo fatto un interessante esercizio di improvvisazione:
- una persona saliva sul palco e mimava un’azione,
- gli altri guardavano e dovevano pensare ad una situazione legata a quell’azione, che però ne stravolgesse il senso. Il primo che aveva un’idea saliva sul palco e continuava la scena con la situazione che aveva pensato.
- Gli altri guardavano e dovevano pensare una chiusura della scena che fosse legata alla situazione 2, stravolgendola nuovamente.
Come sempre un esempio rende tutto più chiaro.
Una donna è salita sul palco ed ha cominciato a mimare di fare zapping sul televisore.
Dopo un po’ un’altra è entrata in scena dicendo “Stop! Devi essere più nervosa, il copione prevede che tu adesso sia agitata”. Da lì hanno cominciato ad interagire come regista ed attrice di una scena che si stava girando.
Dopo un po’ sono entrato in scena io dicendo “Infermieri, le ho trovate sono qui.” e le ho prese entrambe sottobraccio dicendo cose tipo “ Adesso vi riportiamo nelle vostre stanze e vi diamo le pilloline che vi fanno stare tanto bene …”
All’inizio della pandemia tutti ci siamo detti che le cose non sarebbero state più come prima. Anzi abbiamo auspicato che le cose non fossero più come prima.
Poi il lockdown ha funzionato dal punto di vista sanitario e siamo tornati a fare le cose come prima.
I fatti ci stanno dimostrando che avevamo ragione in primavera: le cose non saranno mai più come prima (non solo dal punto sanitario).
Un dato per capire: a giugno 2020, quindi con la prima ondata pandemica già in parte passata, le vendite di abbigliamento on-line a livello mondiale erano il 16% del totale. Dopo due mesi la quota era diventata del 29%, una crescita che senza la pandemia si prevedeva sarebbe avvenuta in circa 6 anni (Fonte: Il Post del 11-11-2020; “Primark resiste al coronavirus senza vendere on line”).
E’ abbastanza chiaro e prevedibile che molte delle modifiche ai comportamenti delle persone si consolideranno anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Tra l’altro perché in molti casi si tratta “solo” dell’accelerazione di tendenze già in corso.
Per rispondere a questa situazione, o almeno sopravviverne, l’unica possibilità è sparigliare le carte e cambiare il proprio gioco.
O come dice il mio positioning statement “Il (marketing di) successo è fatto di strategie nate dall’immaginazione più sfrenata, realizzate con disciplina maniacale.”
Adesso è il momento di lavorare sull’immaginazione.
Il tema delle cure palliative ha acquisito sempre maggiore centralita e urgenza, non solo in ambito sociosanitario, ma anche filosofico e bioetico: la necessita di un modello di palliazione simultanea (e non piu solo terminale), come pure la riattualizzazione della nozione di “dolore totale”, hanno riportato l’attenzione sul significato della molteplicita di sintomi secondari di una patologia. Fra essi, oltre al dolore fisico, c’e il dramma del dolore esistenziale, che puo intaccare le emozioni, le relazioni, i pensieri. A partire da cio, il volume mostra l’esigenza di un ripensamento profondo della filosofia della palliazione, che possa intercettare realmente il fenomeno della sofferenza umana, e grazie a cio elaborare proposte applicative adeguate. La scuola delle virtu si rivela, in questo senso, un’opportunita interessante per elaborare “dal di dentro” il dolore, accogliendo la sfida insita nella domanda: “puo la vita sofferente essere buona?”, ovvero, “puo diventare anch’essa luogo di fioritura dell’umano?”. Attraverso il confronto serrato fra i modelli di virtu applicati alla palliazione, e sottolineando in particolare il ruolo della