L’autenticità si fa, o meglio ancora si è, non si dichiara.

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Ho iniziato a fare un corso di teatro per principianti (no, non questa la ragione per cui i post sono stati così sporadici). Per il momento ho fatto due lezioni ed entrambe si sono basate interamente sull’improvvisazione, sarà la tradizione italiana della commedia dell’arte.

Nell’ultima l’insegnante ha fatto una considerazione che mi ha colpito: “Nel costruirvi un personaggio, fatelo con caratteristiche distanti da come siete voi. A teatro essere credibili essendo sé stessi richiede grande abilità/tecnica/esperienza/talento. Il personaggio è la vostra maschera che vi protegge e permette anche ai timidi di impersonare un personaggio estroverso, impossibile da fare se cercassero di essere sè stessi.”

Immediatamente è stata un’illuminazione per tutte quelle volte che leggendo/ vedendo interviste ad attori/attrici famosi/e, questi/e affermavano di essere fondamentalmente timidi. Adesso io, timido pentito o estroverso riservato a seconda di come vogliate guardarmi, ho capito che erano sinceri.

Poi ho cominciato a vedere il concetto in termini di marketing, perché una delle parole più abusate nel marketing in tutti i settori durante gli ultimi 5 anni è autenticità.

Non che il concetto, e quindi il termine, non sia importante. Anzi. Ricordo una interessantissima intervista su Marketing News di 6 anni alla responsabile dell’identità di marca che facebook aveva appena assunto, proveniente da Levis. Questa signora, il nome non me lo ricordo, diceva una cosa semplicissima e rivoluzionaria rispetto al paradigma del marketing classico: “conoscere chi siamo noi (come marca) è almeno tanto importante come conoscere chi sono i nostri clienti”.

Concetto che sottoscrivo e che applico almeno da vent’anni, basando qualsiasi strategia sulla definizione dell’identità della marca. Che non a caso è uno dei pilastri portanti della mia teoria del marketing totale.

Lo sottoscrivo e lo applico perché la capacità di informazione che le persone hanno nell’era digitale le porta a trovare, richiedere e premiare le proposte “vere” e “autentiche”.

Prima, nell’era analogica, l’approccio comune del marketing era cercare di capire/individuare le richieste e/o esigenze del mercato e sviluppare di conseguenza marche/prodotti in grado di soddisfarli. In pratica si creavano maschere o personaggi basati sui gusti del pubblico, modificandole oppure abbandonandole nel momento in cui cambiavano i gusti.

Un lavoro complicato (e costoso), ma, come a teatro, più facile rispetto a dover essere autentici.

Continuando con il parallelo con il teatro, le marche prima recitavano adesso devono essere.

Sarà un caso che la maggior parte delle mie consulenze riguardano la definizione della personalità/identità delle marche / aziende, fondamenta su cui basare poi tutte le attività?

Che si tratti di marche legate direttamente a persone, come Virgin ad esempio, oppure più impersonali, come la Coca Cola, se si vuole essere autentici bisogna innanzitutto fare un lavoro di introspezione per capire chi siamo (in essenza).

Poi bisogna rispettare sé stessi (intensi come marca), ovvero i propri principi ed i propri valori, in quello che facciamo, perché saremo percepiti credibili in base alla coerenza tra quello che diciamo e quello che facciamo.

Se si E’ autentici, non serve dirlo.

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