Esci da quel corpo!

Dal giuramento di Ippocrate ” …di prestare la mia opera con diligenza, perizia, e prudenza secondo scienza e coscienza ….”

E come diceva il mio professore di Igiene Veterinaria (un veterinario, quindi un medico) con tono serio ed un po’: “se la scienza si coltiva di giorno, la coscienza si interroga di notte”.

Se a scienza e coscienza aggiungete l’esperienza, il risultato che ottenete è la competenza. Volendo si potrebbe inserire anche l’allenamento, ma, oltre a non finire per -enza, in realtà è un misto di scienza ed esperienza. Quello dell’allenamento è però un concetto interessante che mi mi frulla nella testa da un po’ e magari ci torno sopra in uno dei prossimi post.

Quanta consapevolezza c’è nella competenza? Credo che sia da militare che ho sentito definire la cultura come quello che rimane dopo che ci siamo dimenticati tutte le nozioni.

In modo un po’ vago e raccogliticcio queste cose mi sono tornate alla mente quando l’altro giorno sull’ultimo numero dell’Internazionale ho letto l’articolo “La mente in stato di grazia”, sottotitolo “Per ottenere grandi prestazioni, serve un alto livello di calma e concentrazione, che si raggiunge dopo anni di esercizio (ecco l’allenamento N.d.A.). Alcuni ricercatori cercano di capire come arrivarci più rapidamente”.

In sintesi si è osservato che quando le persone realizzano prestazioni eccezzionali nei diversi campi hanno in comune uno stato rilassatezza, calma e concentrazione deifinito empiricamente (e vagamente) come flusso. Gli studi hanno identificato 4 caratterisctiche fondamentali del flusso:
- una concentrazione totale che fa perdere il senso del tempo (faccio notare che è un concetto contrario al multitasking così elogiato oggigiorno).
- l’autotelicità, ossia la sensazione che l’attività in cui siamo impegnati sia gratificante in sé.
- la sicurezza che le nostre capacità sono perfettamente adeguate
al compito e quindi non proviamo né frustrazione né noia.
- infine, quello che caratterizza più di tutto il flusso è l’automaticità, per esempio la sensazione che il pianoforte stia “suonando da solo”.
Dal punto di vista della fisiologia cerebrale (credo si possa dire così) nello stato di flusso si rileva una minore attività nella corteccia prefrontale, di solito associata a
processi cognitivi superiori come la memoria di lavoro e l’espressione verbale. Può
sembrare controintuitivo, ma mettendo a tacere l’autocritica forse si lascia più spazio ai processi automatici, che a loro volta producono la sensazione di naturalezza del flusso. A me ricorda un po’ anche il concetto di serendipity.
Osservando gli atleti (l’allenamento torna fuori ogni due per tre) si è osservato che si può facilitare lo stato di flusso concentrando l’attenzione su un punto esterno al proprio corpo (che è poi una delle tecniche per la meditazione).
Per completezza, ma è la parte in un certo senso per me meno interessante, si stanno sviluppando tecniche di accellerazione all’apprendimento (e quindi raggiungimento dello stato di flusso) tramite la stimolazione elettrica transcranica stimolando con degli elettrodi determinate zone del cervello.

Al di là di essere un argomento affascinante in sè, mi è piaciuto trovare conferme scentifiche alla mia percezione empirica che le persone lavorano meglio quando si sentono serene. Una volta alla domanda “Quale deve essere la principale caratteristica di un leader?” ho risposto “Dare serenità alle persone che dipendono da lui.”

L’altra cosa apparentemente ovvia, perchè tutti l’abbiamo provata prima o poi, ma in realtà estremamente curiosa, è la sensazione di automatismo.
E’ curiosa perchè altri studi basati sulla risonanza magnetica cerebrale (o forse qualche altra nuova tecnica) letti recentemente da qualche altra parte (credo su “TTL” della Stampa) hanno dimostrato che l’attivazione dell’ area deputata al movimento della mano avviene prima (tempo infinitesimale, ma prima) dell’attivazione dell’area deputata alla decisione di muovere la mano.

Un filone che potrebbe mettere in dubbio gli studi sui meccanismi motivazionali, basati fino ad oggi su osservazioni empiriche del tipo azione-reazione (e quindi vere di per se stesse) perchè pone un punto di domanda su cosa ci fa fare una determinata azione.
In realtà a pensarci bene, se l’impulso di muovere la mano parte prima della decisione di farlo, la domanda non è tanto cosa ci fa faare una certa azione, ma CHI ce la fa fare.

E siamo tornati alla (in)coscienza del giuramento di Ippocrate.

Concludo con un collegamento con un altro concetto, che forse non alcun merito a parte quello di sembrare elegante: osservando la cosa da una prospettiva diversa, il DNA è un parassita e l’organismo non è altro che l’ospite di cui si serve per riprodursi e perpetuarsi.

So che è di moda un approccio olistico, new age ed antiscientifico (che in buona parte mi appartiene), però le scoperte sul funzionamento del cervello che si stanno facendo grazie alle nuove tecniche mi fanno venir voglia di cambiare mestiere.

O sarebbe forse solo un cambio di specializzazione?

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>