Vinophila, toh il Metaverso.

Vinophila - CS4

Un amico lettore dopo il post sul cambiamento dalla search culture alla browse culture mi ha scritto che quattro mesi tra un post e l’altro non è ammissibile.

Eccomi quindi qui a mantenere la promessa di scrivere un post sul Metaverso.

Il link al recente rapporto pubblicato sull’argomento da Wunderman Thompson Intelligence l’ho già messo l’altra volta, ma lo rimetto qui per comodità

Aggiungo quello all’articolo del Post dell’11 settembre scorso, che per me rimane il più chiaro e completo tra quelli in italiano.

In sintesi il Metaverso è l’ultima frontiera di internet, o la sua evoluzione se preferite, a cui stanno pensando/lavorando le grandi aziende digitali.

Il termine viene dalla fantascienza, quindi le sue caratteristiche reali non sono ancora ben definite e non è detto che quelle che pensiamo siano oggi saranno poi quelle effettive, quando si realizzerà (ma in realtà è già realizzato, spoiler di quanto dirò più avanti).

Quello che ci si aspetta sono:

-          Il Metaverso è “persistente” ovvero l’ambito reale e quello digitale saranno integrati in modo continuo e permanente (io 15 anni fa avevo usato il termine “pervasivo”);

-          Sarà sincrono e dal vivo, ovvero in tempo reale per tutti;

-          Avrà interoperabilità di dati, oggetti, oggetti e contenuti e così via.

Per fare un esempio, nel Metaverso il mio avatar (per usare un concetto che esiste oggi, ma magari tra poco sarà una cosa diversa) potrà comprarsi un abito digitale e con quello andare in giro sul web (siti, app, indifferente) senza doversi cambiare se passa da Amazon a Fortnite (per dire due cose che esistono).

Poi volendo quello stesso vestito lo posso comprare anche fisico per girarci nell’ambito fisico (cosa che personalmente non credo farei perché al momento i vestiti digitali che ho visto mi sembrano orribili).

Se vi sembra qualcosa di assurdo ed impensabile, immaginate a cosa sarebbe stato 15 anni spiegare a qualcuno whatsapp ed un futuro dove la gente inciampa perché va in giro guardando lo smartphone.

Forse i più attenti di voi avranno notato che uso i termini “ambito digitale” ed “ambito fisico” invece di “virtuale” e “reale”. Lo faccio perché gli ultimi due sono fuorvianti in quanto implicano una contrapposizione tra l’ambito virtuale (finto) e quello reale (vero), mentre digitale e fisico convivono e si uniscono per formare la realtà in cui viviamo. Innanzitutto nella nostra testa e nella nostra anima.

Concetto rivoluzionario e all’avanguardia? Dipende. Oltre 400 anni fa Giordano Bruno diceva qualcosa di molto simile scrivendo “Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia”.

Perché le cose succedono soprattutto dentro di noi ed un licenziamento comunicato con un messaggio whatsapp non è meno “vero” di quello comunicato in un colloquio di persona (per parlare anche delle cose brutte).

Quando ho scoperto il concetto di Metaverso un paio di mesi fa non mi ha stupito più di tanto perché era qualcosa su cui, senza saperlo, stavo ragionando e lavorando dal marzo di quest’anno per lo sviluppo del progetto Vinophila.

Non conoscendo la parola Metaverso io avevo coniato il termine “Trigital” per trasmettere l’unione tra ambito fisico, ambito digitale a 2 dimensioni ed ambito digitale a 3 dimensioni (per trasmettere un significato ci vuole un significante).

Poi ho imparato il termine “phygital”, unione tra “physical” e “digital”, ed infine è arrivato il Metaverso.

Al di là del termine l’essenza di tutti questi concetti è la convergenza di ambito fisico e digitale in una sola realtà.

Ma se questa è l’essenza ed il resto sono, in fondo, tecnicismi (per carità belli, utili, funzionali, ma tecnicismi alla fin fine), io dico che nel Metaverso ci stiamo già vivendo. Perché con i nostri smarthpone abbiamo il mondo (digitale) in mano.

E quindi fisico e digitale sono già integrati ovunque ci troviamo, in modo continuo e permanente.

Se siete dei lettori attenti di questo blog ed avete buona memoria, magari vi ricordate che è lo stesso principio alla base della mia elaborazione del concetto di marketing nel febbraio del 2014: “Il futuro del marketing spiegato da Katy Perry e Milla Jovovich, ovvero il Marketing Totale“. Per chi è interessato sul blog trova i successivi.

L’altro giorno ero a Vinitaly Special Edition e stavo presentando Vinophila al titolare di una cantina quando lui mi fa “Questo è il futuro”, “No” rispondo “Questo è il presente”.

From a search culture to a browse culture.

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Non so dove l’ho sentita o se l’ho pensata io, poco importa. Però questa frase / concetto / pensiero mi girava in testa da parecchi mesi, forse un anno, senza riuscissi a definirla o coglierne il senso.

Rimaneva lì come un’enunciazione che sentivo istintivamente interessante, ma senza riuscire a spiegarla.

Poi lavorando su un nuovo progetto che si chiama Vinophila, e di cui vi racconterò tra qualche giorno, quando sarà pronto, ho cominciato a capirla.

Per spiegarmi prova innanzitutto a tradurla. Non semplicissimo perché “browse” è un termine che esprime sfumature di significato piuttosto diversi.

Qui sotto la traduzione fatta da google degli esempi di uso del verbo “browse” riportati dal dizionario Collins:

I stopped in several bookstores to browse.

Mi sono fermato in diverse librerie a curiosare.

 

…sitting on the sofa browsing through the TV pages of the paper

…seduto sul divano a sfogliare le pagine tv del giornale

 

Try browsing around in the network bulletin boards.

Prova a navigare nelle bacheche della rete.

 

…the three red deer stags browsing 50 yards from my lodge on the fringes of the forest. 

…i tre cervi rossi che brucano a 50 metri dal mio lodge ai margini della foresta.

 

Browse = curiosare, sfogliare, navigare, nutrirsi.

Il Merriam-Webster, che è il dizionario di inglese che preferisco, come verbo transitivo riporta 3 significati che sostanzialmente riprendono gli esempi del Collins e come verbo intransitivo riporta un significato che aiutano a capire meglio il senso di “browse” contrapposto a “search”:

a: to skim through a book reading passages that catch the eye.

a: sfogliare un libro leggendo passaggi che saltano all’occhio

 

b: to look over or through an aggregate of things casually especially in search of something of interest. browsing through the store’s magazine section.

b: guardare un aggregato di cose casualmente soprattutto alla ricerca di qualcosa di interessante.

 

Quindi ai significati precedenti si aggiunge quello di vagare disposti a cogliere qualcosa di interessante.

In realtà c’è un modo più semplice per spiegare cosa intendo con l’espressione “passare da una cultura di ricerca ad una cultura del curiosare” ed è pensare a quello che facciamo (quasi) tutti (quasi) sempre quando guardiamo instagram.

 

Non cerchiamo una cosa specifica ma scorriamo, più o meno rapidamente a seconda dell’età, quello che troviamo nella nostra timeline oppure nella schermata “ricerca”.

Ancora più evidente per me quando uso Pinterest, il social che preferisco e che si apre direttamente nella schermata dei pin proposti in base ai miei salvataggi passati.

Siccome però viviamo già nel metaverso, ossia in una realtà ibrida dove la dimensione fisica e quella digitale si integrano in modo perpetuo, persistente e pervasivo (a questo argomento dedicherò un post specifico tra un po’, per adesso accontentatevi del link al rapporto di Wunderman Thompson Intelligence), questo atteggiamento di curiosare/gironzolare/sfogliare piuttosto che cercare si sta diffondendo in tutti gli ambiti.

Pensate a come fate le ricerche in un browser (scusate il gioco di parole) oggi rispetto a diciamo 5 anni fa.

Prima cercavamo di essere più precisi possibile per avere più probabilità di trovare esattamente quello che ci interessava. Adesso il testo che inseriamo nella barra di ricerca è più vago e generico proprio perché, grazie al miglioramento delle capacità di ricerca dei motori, in questo modo possiamo trovare qualcosa di interessante a cui non avevamo pensato.

O meglio, ci facciamo ispirare dai motori di ricerca riguardo ad un interesse generale di partenza.

E fin qui siamo rimasti nell’ambito del digitale.

Provate però a pensare al comportamento in ambito fisico.

Davvero non vedete il collegamento tra l’atteggiamento “esplorativo” che riduce la fedeltà alle marche delle fasce di consumatori più giovani e la browsing culture?

Davvero non cogliete il parallelo tra i social come “aggregatori di stimoli” che “saltano all’occhio”, Tik Tok in primis evidentemente, ed i negozi delle catene del fast fashion, Zara per fare un esempio?

Passando da una cultura di ricerca ed una di browsing il servizio al cliente non consiste più in fargli trovare quello che cerca, ma nel permettergli di imbattersi in quello che gli piace, che lo “nutre” in qualche modo, usando l’accezione animalesca del termine.

D’altra parte che l’uomo è una scimmia nuda l’ha detto nel 1967 Desmond Morris e ribadito Gabbani in eurovisione nel 2017.