Ho in testa due post: uno sulla visione di Farinetti per il futuro del paese ed uno su etorodossia ed innovazione.
Due begli argomenti generici, o come dice Federico, chiacchere di poco interesse su cui non ho una competenza riconosciuta che indeboliscono il blog.
Il drastico calo di visite rilevato dagli analytics gli dà ragione, però trovare sull’Internazionale del 22 novembre un articolo uscito sul New Yorker relativo al fatto che il valore generato per le persone dall’economia digitale dai prodotti e servizi gratuiti non viene misurato dai classici indici utilizzati per valutare l’andamento dell’economia (pil in primis), mi fanno venire la tentazione di proseguire nell’affrontare temi generali, visto che la questione l’avevo sollevata en passant in un post del 2008.
Però resisto alla tentazione e parlo invece di un grandissimo esempio di marketing strategico/tattico.
Nell’ottobre 2012 ero in viaggio a Pechino con altri produttori di vino del Veneto Orientale e visitando alcuni locali notturni (musica dal vivo, karaoke, ecc…) mi ha colpito il fatto che c’erano tutti i marchi mondiali di superalcolici, presenti con gli stessi stumenti di promozione e visibilità che usano in tutto il resto del mondo (a pensarci bene niente di sorprendente trattandosi di marchi globali).
Tenuto conto dell’aumento anche nelle metropoli cinesi della clientela femminile ho/mi sono detto “Qui c’è un bel potenziale per fare diventare il Prosecco la bollicina/spumante di moda nel mondo della notte, però bisogna trovare un rituale”. La reazione degli altri produttori è andta dall’indignazione, perchè il vino è (solo) una cosa seria, alla perplessità, per la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un mercato che funziona secondo logiche che non conoscono.
In realtà non avevo detto niente di particolarmente soprendente, semplicemente vedevo (vedo) l’opportunità di utilizzare anche per il vino le medesime logiche che utilizzavo negli spirits quando ci si rivolge agli stessi consumatori, all’interno degli stessi locali. Esperienza che ho già fatto direttamente ai tempi della Stock con successo con il Cava Freixenet.
Evidentemente ed ovviamente non ero l’unico che lo stava pensando visto che l’altra sera in un locale a Montreal ho trovato il Moet & chandon Golden Ritual Service. Ecco le foto:
Innanzitutto il “menu’” perche un rituale per essere condiviso deve essere codificato (i prezzi sono in dollari canadesi: 1 euro=1,2 $ canadesi)
Poi l’allestimento, ossia i “simboli” che rendono il rituale visibile e ne sostanziano la diversità e l’importanza.
La mega bottiglia nella vasca da bagno con sfondo “brandizzato” (quante foto condivise in facebook in una sera?)
La gabbia dorata che sottolinea la preziosità del prodotto (dalla foto non si vede, ma sopra alla gabbia c’è una corona con le luci che girano e brillano)
La magnum dorata diversa dal prodotto “standard”, perchè il rito è qualcosa di speciale,ed il bicchiere “d’oro” perchè è la coerenza che rende le tattiche strategiche (o dalle strategie nascono le tattiche coerenti). .
Ogni rituale però ha bisogno di officianti quindi aggiungeteci il servizio al tavolo veniva fatto da cameriere vestite di lamè (i camerieri in nero, come sempre l’abbigliamento da sera degli uomini è noioso) che attraversavano il locale tenendo in alto i bicchieri, le bottiglie e le spumantiere (ovviamente dorate) con in mano “stelle di Natale” accese ed avrete il quadro completo della festa che si creava quando qualcuno ordinava un “rituale”. Ossia della festa continua che animava il locale, rito a cui si sentivano di appartnere anche quelli che “semplicemente” si bevevano un bicchiere dorato di champagne versato da una magnum (piccola annotazione tecnica: grazie al rituale lo champagne veniva servito nei bei bicchieri capienti invece che nelle magrissime flute di ordinanza utilizzate in tutto il Nord America, permettendo quindi al vino di sprigionare meglio tutti i suoi aromi e quindi oggettivamente migliorando anche l’esperienza sensoriale)
Siccome non ho voluto esagerare non ho fatto la foto del logo Moet proiettato sulla parete di fondo del locale e sugli schermi sopra il bar. Invece come corollario aggiungo due foto di come si presentavano le bottiglie normali nello stesso locale:
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Anche questa volta ero con altri produttori di vino ed anche questa volta qualcuno, incurante delle magnum di champagne che andavano via come aranciata (o forse scandalizzati proprio da questo) ha detto “Qui può funzionare perchè la gente non ha cultura del vino e quindi gli serve tutto questo marketing, ma da noi una cosa così (pacchiana) non avrebbe successo”.
E già, Campari ha portato in tutta Italia l’abitudine dello spritz parlando dei tioli, mica creando (appropriandosi) del rito.
Ecco che forse l’argomento eterodossia ed innovazione non sembra più così tanto generico.
P.S. Io ho bevuto un gin tonic, sarà che sto diventando iconoclasta.