Quello che l’incendio della cattedrale di Notre Dame di Parigi ci insegna sulla nostra percezione della tradizione.

Ponte della Carità a di Alfred Neville a Venezia

Credo di aver cominciato a riflettere coscientemente sul concetto di tradizione nel 1985, quando a Venezia si decise di demolire il Ponte dell’Accademia (per i non veneziani si tratta del ponte in legno che attraversa il Canal Grande in prossimità delle Gallerie dell’Accademia e da cui si il Canal Grande che sfocia in bacino San Marco, quindi la punta della Salute, l’isola di San Giorgio ed un lungo eccetera di meraviglie).

Il ponte esistente infatti era stato costruito in legno nel 1933 nel tempo record di 37 giorni (non ci sono più i costruttori di una volta, signora mia), come ponte provvisorio in sostituzione di quello in ferro costruito nel 1854 che si era oramai irrimediabilmente deteriorato (è quello che vedete nella foto che apre questo post).
Doveva quindi servire a svolgere temporaneamente la funzione di permettere alle persone di andare da una riva all’altra, in attesa che si costruisse quello in pietra previsto dal progetto che aveva vinto il concorso nazionale appositamente indetto.

Com’è come non è, il ponte provvisorio diventò di fatto definitivo nelle intenzioni degli uomini (certe cose non cambieranno mai, signora mia) ma non in quelle della natura, nel senso che dopo poco più di cinquantanni il legno si era deteriorato talmente da non garantire più la sicurezza della struttura (che comunque richiedeva una continua e costosa manutenzione) e quindi si decise di demolirlo per costruirne uno nuovo.

Io personalmente ero partitario della costruzione del ponte in vetro che, se ben ricordo, veniva dall’ambiente muranese (genius loci). Non so se sia stato fatto un progetto e ci sia fermati alla semplice idea.
Fattibilità a parte, il ponte di vetro venne escluso, come tutte le altre proposte di ricostruirlo diverso da com’era prima. Conservando qualcosa che risaliva a meno di una generazione prima e che è sinceramente brutto se lo si guarda appena spassionatamente, totalmente slegato dall’ambiente che lo circonda (che proprio con la sua bellezza maschera la bruttezza del ponte).

Per i più curiosi, qui trovate tutta la storia del Ponte dell’Accademia.

Ma l’incendio di Notre Dame direte voi? L’incendio di Notre Dame è stata l’occasione per scoprire che le chimere situate nella galleria sotto alle torri campanarie risalgono al restauro effettuato dal 1845 al 1864.
Quelle statue così gotiche e così tipiche della cattedrale da esserne uno dei simboli più conosciuti, sono state fatte poco più di 150 anni fa. Aggiunte 6 secoli dopo la sua costruzione.
Chimera della cattedrale di Notre Dame di Parigi

Dopo il 1985 mi sono occupato (a ancora mi occupo) scientificamente e per lavoro dei prodotti alimentari a denominazione d’origine e quindi del concetto di tradizione.

Come il Ponte dell’Accademia, le chimere di Notre Dame dimostrano quanto facilmente quello che esisteva prima della nostra nascita, o meglio prima della nascita dei nostri genitori (volendo mi spingo fino ai nonni), ci appaia eterno.
Dimostrano anche come la cultura (europea) del dopoguerra tenda a considerare la tradizione come conservazione pedissequa dell’esistente.

La tradizione invece è una cosa diversa: è cambiamento fedele ad un concetto. Diamo per scontato che le chimere di Notre Dame siano medievali perché seguono e rispettano quell’idea (magari) interpretandola con lo spirito del tempo, quindi appartengono alla tradizione. La piramide del Louvre di Ming Pei invece ci apparirà innovativa anche tra cent’anni, perché rivoluzionaria rispetto ai concetti che la circondano.

Astraetevi dall’architettura, che non è per niente il mio campo e su cui probabilmente oggi ho detto un sacco di castronerie, e troverete delle indicazioni utili per la gestione delle marche storiche (che abbiano denominazione d’origine o meno).