Sul web del vino ci sono statim ultimamente un paio di post (Ziliani, Peretti) sull’affermazione di Fabio Piccoli sulla strategia di trentinizzazione del Pinot Grigio. come si sa questo blog non (dovrebbe) parlare di vino. Il fatto è che il commento che avevo scritto al post di Angelo Peretti sul suo blog Internet Gourmet era troppo lungo ed io non avevo il tempo di sintetizzarlo. Così ho pensato di pubblicarlo qui.
Non va visto quindi come un post di biscomarketing, ma come un commento di Lorenzo Biscontin al post di Peretti. Ecco di seguito quello che avevo scritto:
Caro Angelo, confesso che provo una certa soddisfazione personale a seguire le discussioni che stanno sorgendo intorno al pinot grigio, perchè da quando sono arrivato nel mondo del vino ho avuto subito l’impressione che fosse una vino bistrattato. Il mondo della promozione in primis lo considerava un vino sorpassato, quasi una boccia persa. E questo malgrado tutti nel nord-est siano assolutamente cosciente che si tratta di un vino che porta a casa la pagnotta per tanti viticoltori e tante cantine. E’ un atteggiamento che non ho mai nè condiviso nè accettato, sia perchè credo sia doveroso accudire i prodotti che sono alla base della sopravvivenza/prosperità dell’azienda/settore in cui lavoro e sia perchè credo che il pinot grigio abbia un profilo sensoriale che risponde di una vasta gamma di momenti di consumo per un’ampia fascia di consumatori.
Per questo, quando a giugno 2010 ho cominciato a sviluppare le attività per la celebrazione dei 50 anni del Pinot Grigio Santa Margherita uno dei principali obiettivi che mi sono dato è stato quello di riportare il pinot grigio all’attenzione del mondo enologico italiano. Ecco perchè non ci siamo limitati solo a far festa, ma abbiamo voluto portare gli opinion leaders in vendemmia (settembre 2010), a fargli vedere le chimere sui grappoli. Lì abbiamo scoperto che molti il pinot grigio di stile trentino-alto adige (poi ci torno) non lo assaggiavano da mesi se non da anni. Quindi ci siamo convinti ancora di più dell’utilità degli appuntamenti già programmati per il vinitaly di quest’anno: un convegno sulla situazione vitivinicola, competitiva e di gestione aziendale del pinot grigio ed una degustazione di pinot grigio da tutto il mondo, proprio a dimostrare che i diversi territori esprimono diversi stili. In quell’intenso, ai limiti del campale, venerdì di Vinitaly ho scoperto che il “disinteresse” (vendite a parte) che circonda questo varietale non riguarda solo l’Italia, ma tutto il mondo. A fine giornata l’entusiasmo dei produttori dall’Oregon, dall’Australia, dall’Alsazia, dall’Ungheria e dal Baden per aver vissuto finalmente una giornata di approfondimento su questo vino era sfociato nella proposta di fondare l’associazione mondiale dei produttori di Pinot Grigio. Magari Fabio Piccoli (che, forse non a caso, era il moderatore del convengo) può cogliere la proposta e mondializzare la trentinizzazione del pinot grigio.
Concetto che, come ha detto Ziliani, è vago, am che mi sento di condividere nel suo significato di rivalutare l’identità atesina (lasciami con questo termine accumunare le due province, è una forzatura che mi concedo ricordando la cena dello scorso marzo in cui abbiamo messo allo stesso tavolo i produttori dell’Alto Adige e quelli del Trentino) di questo vino. Attualmente infatti il pinot grigio in Italia identifica più il Collio, dove si è sviluppato con un profilo, giustamente, molto diverso da quello che aveva nel suo territorio d’origine.
Come mi sono trovato più volte a ripetere quest’anno la qualità del vino è soprattutto una questione di identità più che di caratteristiche organolettiche tout-court (che sono quasi la conditio sine qua non).
Per questo credo che il trentino (cooperativo) ci riuscirà innanzitutto se recupererà a volta la propria identità sociale. Mi spiego meglio ricordando una cosa ovvia: scopo della cooperazione è la valorizzazione del lavoro dei soci, senza finalità speculative. Questo non significa che le cooperative non debbano in assoluto partecipare a società di capitale, però va mantenuto un equilibrio per cui queste partecipazioni siano funzionali alla finalità mutualistica della cooperativa, viceversa lo scopo diventa la ricerca della miglior remunerazione del capitale rappresentato dal lavoro del socio e non del lavoro stesso (i soci cooperatori sono di fatto gli imprenditori in quanto apportatori del capitale di rischio sotto forma dei conferimenti, di conseguenza la cooperativa si basa su un capitale di rischio circolante, da cui la strutturale sottocapitalizzaizone di questa forma di impresa).
Forse nel sistema cooperativo trentino questo equilibrio si rotto, o quantomeno incrinato, e secondo me va recuperato perchè, riprendendo una massima della medicina antica, il veleno non sta nella sostanza ma nella dose.
Mi scuso se ho approfittato di tanto spazio nel tuo blog, ma, come puoi immaginare, il pinot grigio è un argomento che mi sta comunque a cuore, sia personalmente che professionalmente perchè credo che un leader abbia anche degli obblighi nei confronti del settore in cui opera (non mi riferisco ovviamente alla mia azienda attuale).
Anche se non è su InternetGourmet, ti ringrazio del lungo ed articolato commento, che condivido. Il recupero del ruolo originario della cooperazione è – ne sono convinto – l’elemento essenziale per puntare anche al recupero identitario della produzione. Altrimenti è maquillage, che svanisce inevitabilmente.