ATTENZIONE QUESTO E’ UN POST DELL’ANNO SCORSO: Il boom del Prosecco è la (più probabile) ragione del calo del Pinot Grigio nel Regno Unito.

Stesso target di consumatore, stesse occasioni di consumo: come il Prosesso sta cannibalizzando il Pinot Grigio nel Regio Unito

56 visite 29 Luglio 2014 – Vino per piacere.biscomarketing

Lo scorso giugno al London Wine Fair l’argomento caldo riguardo al vino italiano era il pauroso calo delle vendite del Pinot Grigio nei supermercati inglesi. Al di là dei numeri nè ufficiali nè certi che giravano in fiera sulla riduzione delle vendite rispetto all’anno scorso (chi diceva -40%, chi -20%) per rendersi conto del crollo dei consumi del più popolare vino bianco italiano sul mercato inglese bastava una visita ad un qualsiasi supermercati: tutti i Pinot Grigio sullo scaffale erano ancora dell’annata 2012.

Preso atto del problema, ne ho discusso con diversi operatori presenti in Fiera per individuarne le cause. La prima ragione citata, come sempre quando ci sono cali di vendite, è stato il prezzo. Per diverse ragioni le catene della GDO inglese nel 2014 hanno ridotto il numero di promozioni in termini di durata e di taglio prezzo. Come conseguenza della diminuita intensità promozionale ci sono stati meno referenze Pinot Grigio in offerta a 4,99 sterline a bottiglia e/o le offerte sono durate meno tempo. Una spiegazione che non spiega il crollo delle rotazioni a scaffale, perchè questa situazione avrebbe dovuto portare caso mai ad una maggiore concentrazione delle vendite sui Pinot Grigio promozionati. La seconda ragione menzionata è stato un problema qualitativo, altro grando classico. A fronte di un aumento dei costi, le catene della GDO inglese per offrire Pinot Grigio a basso prezzo in modo e contemporaneamente mantenere, o migliorare, la propria marginalità, hanno inserito vini provenienti da zone d’Italia diverse rispetto a quelle tradizionali del nord-est. Il diverso livello qualitativo di questi Pinot Grigio venduti stabilmente tra le 3,99 e 4,99 sterline a bottiglia viene valutato insoddisfacente dal consumatore, che quindi non lo acquista. L’analisi che appare corretta e condivisbile, con buona pace di chi crede che nel Regno Unito basta avere “Pinot Grigio” sull’etichetta e un prezzo basso per vendere milioni di bottiglie, ma nuovamente non basta a spiegare l’entità della riduzione delle vendite a cui stiamo assistendo. Sia perchè il fenomeno dell’introduzione di Pinot Grigio da zone italiane “nuove” per questo varietale risale almeno a 2-3 anni fa, sia perchè comunque il consumatore poteva tornare all’acquisto dei marchi affidabili e conosciuti. La terza ragione a cui veniva ricondotto il calo del Pinot Grigio era la crescita delle vendite dei vini provenienti da Cile, Spagna e Sud Africa. Il problema in questo caso è che nessuno di questi paesi produttori ha dei vini con un profilo che si avvicina a quello del Pinot Grigio italiano e le preferenze alimentari delle persone sono comportamenti profondi che non cambiano radicalmente nell’arco di un anno.

Doveva esserci qualcos’altro.

Una sostituzione con un’altra bevanda. Probabilmente, ma non necessariamente, un altro vino era l’unica spiegazione per una variazione così forte e così rapida delle vendite. Sicuramente però non era nè un vino cileno, nè spagnolo nè sudafricano. La soluzione me l’ha suggerita qualche settimana fa un importatore inglese quando mi ha detto: “Il calo del Pinot Grigio è dovuto alla crescita del Prosecco”. Immediatamente tutto torna. Un tipico caso di miopia di marketing: i processi produttivi di Pinot Grigio e Prosecco spumante sono troppo diversi perchè le cantine li considerino concorrenti, ma per il consumatore si tratta di due vini molto simili. Sono due vini bianchi freschi, piacevoli, facili (ma non banali), informali e non impegnativi, con cui non si sbaglia mai. Non può essere un caso che siano bevuti dallo stesso profilo di consumatore giovane, prevalentemente donna, residente nelle grandi città e negli stessi momenti di consumo slegati dai pasti (pomeriggi estivi, aperitivo, dopo cena). Si può dire che per il consumatore inglese il Prosecco spumante è un Pinot Grigio con le bolle, quindi più cool, come dimostrato dalla sua diffusione nei locali di tendenza. un circolo virtuoso che si autoalimenta. Una prima conferma è arrivata con i dati delle dogane inglesi che riportano un aumento del 99,6% per le importazioni di vini spumanti italiani nel primo trimestre del 2014 rispetto al 2013. La conferma definitiva viene dai dati delle vendite di prosecco nelle principali catene inglesi pubblicati la scorsa settimana dalla rivista specializzata The Drinks Business: – Waitrose and Sainsbury’s dichiarano un incremento del 70% nelle vendite di Prosecco dall’inizio dell’anno. – Tesco ha venduto 4.000.000 di bottiglie di Prosecco da marzo in avanti. – Morrison nell’ultima settimana ha venduto 20.000 bottiglie di prosecco in più rispetto alla media.

Numeri che dimostrano, tra l’altro, come le scelte del consumatore inglese siano basate sul valore più che sul prezzo in assoluto, considerando che il  Prosecco in promozione costa 1,5-2 sterline a bottiglia di più del Pinot Grigio.

La nuova DOC del Pinot Grigio Delle Venezie: una partita perdente?

“Winner take nothing” è il titolo di dell’ultima raccolta di racconti pubblicata da Ernest Hemingway. Contiene alcuni dei racconti più cupi ed amari di Hemingway, nonché due tra i miei preferiti (“Mutamento al mare” e “Un posto pulito, illuminato bene”). Quindi forse non è un caso che sarebbe stato il titolo perfetto per questo post.

Breve premessa per mettere tutti in pari sui fatti che stanno alla base di questo post, soprattutto i lettori che non si occupano di questioni viti-vinicole.

Il pinot grigio è il vitigno di gran lunga più coltivato nel triveneto: oltre 10.100 ha di vigneto in Veneto (12% del totale), oltre 5.700 ha in Friuli Venezia Giulia (circa 25% del totale) e 3.000 ha in Trentino (circa il 30% del totale). La grandissima parte del Pinot Grigio Veneto è ad Indicazione Geografica Tipica (lo standard qualitativo LEGALE che sta al di sotto della Denominazione d’Origine), mentre in Friuli Venezia Giulia e Trentino prevale la DOC (chiedo venia, i dati precisi non li ho).

In buona sostanza il Pinot Grigio IGT è il vitigno che tiene in piedi (dà da mangiare) buona parte della viticoltura del Veneto, insieme al Prosecco (soprattutto nel Veneto Orientale) ed al sistema Valpolicella-Amarone nel Veneto Occidentale.

E lo fa dagli anni ’70 quando, grazie soprattutto a Santa Margherita (che si trova in Veneto, ma produce principalmente Pinot Grigio DOC Alto Adige e Valdadige), ha cominciato a diffondersi soprattutto nei paesi anglosassoni (USA, Canada e UK), tanto da diventare l’emblema del vino bianco italiano nel mondo.

Lo fa malgrado il sistema nella sua globalità abbia lasciato il Pinot Grigio abbastanza a se stesso, convinto già 10 anni fa che trattasse di una moda destinata ad esaurirsi. Dopo 25 anni, ci stava anche, ma il Pinot Grigio, testardo lui, invece ha continuato a crescere.

Lo fa bene, gratificando i viticoltori con fatturati per ettaro che non hanno eguali al mondo, soprattutto per una viticoltura di pianura che permette un’elevata meccanizzazione e quindi un considerevole contenimento dei costi rispetto alla viticoltura di collina. Non fatevi prendere dal romanticismo e non scandalizzatevi: la vendemmia meccanica è una necessità perché, anche volendo, oramai la manodopera per vendemmiare a mano non si trova più.

Qualche mese fa il sistema del vino triveneto a cominciato a discutere sulla necessità di gestire il marchio Pinot Grigio e questa discussione sta sfociando nella creazione di una nuova DOC del Pinot Grigio delle Venezie, i cui contenuti sono ancora in fase di discussione, che dovrebbe andare ad affiancare le attuali DOC trentine, venete e friulano-giuliane, che rimangono, ed a SOSTITUIRE le attuali IGT, che spariscono per il Pinot Grigio.

FINE DELLA PREMESSA

Non sapendo quali saranno i contenuti della nuova DOC farei meglio a starmene zitto, eppure io sostengo che anche chi sarà convinto di vincere in questa operazione non prenderà niente. Perché (oltre al fatto che sono un presuntuoso rompiscatole)?

Perché nella creazione della nuova doc ci sono solo due possibili alternative:

1)      si riducono le rese di produzione di uva / ha ad un livello di 150 q.li/ha (come l’attuale DOC Venezia)

2)      si mantengono rese vicine a quelle dell’attuale IGT (diciamo 180 q.li/ha rispetto ai 190 q.li/ha previsti dal disciplinare dell’IGT).

La prima opzione implica un significativo aumento del prezzo del prodotto che ho stimato in circa 0,25 euro a bottiglia alla cantina, pari ad aumento del 15%-20%. Il conteggio non ve lo esplicito per non annoiarvi, comunque tiene conto dei prezzi della borsa merci della CCIAA di Treviso per il Pinot Grigio IGT e Doc Venezia, considerando che con l’eliminazione dell’IGT si viene a perdere il recupero del supero di produzione di Pinot Grigio DOC come IGT (questa è una cosa da addetti ai lavori che spiego su richiesta).

Come si ripercuote questo aumento sul prezzo a scaffale dipende dalle caratteristiche della filiera nei diversi mercati. Diciamo che a spanne potrebbe causare un aumento di circa 0,50 euro a bottiglia sullo scaffale. Sicuramente porterà il prezzo minimo a scaffale oltre la soglia psicologica delle 4,99 sterline nei supermercati del Regno Unito e dei 6,99 $ negli USA.

Non credo che esista azienda al mondo che pianificherebbe un riposizionamento verso l’alto di questa entità di uno dei suoi marchi principali, a meno che non ci fosse costretta da cause di forza maggiore.

Considerando anche la quantità di vini alternativi, è presumibile una perdita di vendite a seguito dell’aumento di prezzo. Quanto?

Per dirlo con precisione bisognerebbe fare una ricerca che misuri la sensibilità al prezzo del Pinot Grigio delle Venezia da parte dei consumatori. Basterebbe farlo in USA ed UK, visto quanto pesano questi due mercati sul consumo totale di Pinot Grigio IGT e quindi non costerebbe nemmeno molto.

Io mi metto a disposizione per selezionare l’istituto, definire il piano di ricerca e seguirne la realizzazione.

Intanto butto lì una cifra spannometrica dicendo che vedo a forte rischio circa 25.000.000 di bottiglie, quello vendute con marchio dell’insegna di supermercato o comunque con etichetta esclusiva che competono a scaffale solamente sul prezzo e su cui nessuno ha interesse e risorse per investire in comunicazione.

La seconda opzione, quella di mantenere rese simili alle attuali, riduce l’aumento del prezzo a scaffale (attenzione però che se l’elasticità del consumatore al prezzo è elevata, anche una variazione minima del prezzo può avere effetti rilevanti sulle vendite), ma crea una DOC svilita e svilente.

I nostri interlocutori sui mercati esteri non sono degli sprovveduti e vedrebbero la nuova doc come un mero strumento per avere un controllo (cogente) sulla superfice piantata a Pinot Grigio, quindi in un certo senso per alterare il mercato a loro sfavore.

Inoltre una DOC con rese da 180 q.li/ha da un lato determinerebbe uno scadimento per l’istituto stesso della Denominazione d’Origine Controllata in generale e dall’altro metterebbe una ingiustificata pressione sui prezzi delle altre DOC trivenete del Pinot Grigio che, con produzioni ad ettaro inferiori, si vedrebbero messe sullo stesso piano, almeno formalmente.

Anche il consumatore, che non dimentichiamo sta premiando l’attuale profilo e livello qualitativo del vino, si troverà come minimo confuso davanti ad un nuovo vino doc che avrà sostanzialmente le caratteristiche organolettiche del vecchio IGT. Probabilmente si sentirà anche defraudato di fronte alla promessa di miglior qualità implicita nella DOC e scarsamente mantenuta

Se poi la nuova DOC dovesse riguardare solamente il Pinot Grigio, come pare probabile, ecco che il senso della DOC come zona di origine specificatamente vocata e caratterizzante perde totalmente di senso (per amor di brevità e focalizzazione non voglio qui entrare nel tema per cui una DOC si giustifica solamente per l’esigenza di tutela del consumatore, altrimenti stiamo parlando di strategie di valorizzazione che dovrebbero essere perseguite con altri strumenti).

Tertium non datur?

Secondo me anche no. Però serviva un approccio e strumenti nuovi, diversi dal solito, eterodossi che sparigliassero partendo dal mercato e non dalla logica monopolista di controllo dell’offerta.

Rispettando gli i consumatori che ci hanno voluto (e fatto) del bene fino ad oggi.

Difendendo e sviluppando la domanda, anche approfittando della ciclo mondiale che vede da qualche anno il ritorno dei vini bianchi rispetto ai rossi.

Sviluppando azioni promo-pubblicitarie sul marchio “collettivo” e “generico” (nel senso buono) Pinot Grigio IGT delle Venezie.

Tutte cose che avevo già scritto lo scorso agosto, ma che oramai probabilmente non servono a niente, superate dalle scelte che sembrano già fatte.

Pare infatti che abbia prevalso l’approccio dirigistico, nell’illusione che i sistemi economici (mercati) obbediscano linearmente agli interventi di politica economica di chi spera (crede) di governarli.

Si governano (forse) le aziende, non le marche (che invece si gestiscono).

Aspetto di vedere la proposta del nuovo disciplinare (per essere smentito).

Intanto se avessi due euro di diritti di impianto, correrei in Sicilia a piantare un vigneto di Pinot Grigio IGT.

 

Trentinizzare il Pinot Grigio: commento al post di Angelo Peretti

Sul web del vino ci sono statim ultimamente un paio di post (Ziliani, Peretti) sull’affermazione di Fabio Piccoli sulla strategia di trentinizzazione del Pinot Grigio. come si sa questo blog non (dovrebbe) parlare di vino. Il fatto è che il commento che avevo scritto al post di Angelo Peretti sul suo blog Internet Gourmet era troppo lungo ed io non avevo il tempo di sintetizzarlo. Così ho pensato di pubblicarlo qui.
Non va visto quindi come un post di biscomarketing, ma come un commento di Lorenzo Biscontin al post di Peretti. Ecco di seguito quello che avevo scritto:
Caro Angelo, confesso che provo una certa soddisfazione personale a seguire le discussioni che stanno sorgendo intorno al pinot grigio, perchè da quando sono arrivato nel mondo del vino ho avuto subito l’impressione che fosse una vino bistrattato. Il mondo della promozione in primis lo considerava un vino sorpassato, quasi una boccia persa. E questo malgrado tutti nel nord-est siano assolutamente cosciente che si tratta di un vino che porta a casa la pagnotta per tanti viticoltori e tante cantine. E’ un atteggiamento che non ho mai nè condiviso nè accettato, sia perchè credo sia doveroso accudire i prodotti che sono alla base della sopravvivenza/prosperità dell’azienda/settore in cui lavoro e sia perchè credo che il pinot grigio abbia un profilo sensoriale che risponde di una vasta gamma di momenti di consumo per un’ampia fascia di consumatori.
Per questo, quando a giugno 2010 ho cominciato a sviluppare le attività per la celebrazione dei 50 anni del Pinot Grigio Santa Margherita uno dei principali obiettivi che mi sono dato è stato quello di riportare il pinot grigio all’attenzione del mondo enologico italiano. Ecco perchè non ci siamo limitati solo a far festa, ma abbiamo voluto portare gli opinion leaders in vendemmia (settembre 2010), a fargli vedere le chimere sui grappoli. Lì abbiamo scoperto che molti il pinot grigio di stile trentino-alto adige (poi ci torno) non lo assaggiavano da mesi se non da anni. Quindi ci siamo convinti ancora di più dell’utilità degli appuntamenti già programmati per il vinitaly di quest’anno: un convegno sulla situazione vitivinicola, competitiva e di gestione aziendale del pinot grigio ed una degustazione di pinot grigio da tutto il mondo, proprio a dimostrare che i diversi territori esprimono diversi stili. In quell’intenso, ai limiti del campale, venerdì di Vinitaly ho scoperto che il “disinteresse” (vendite a parte) che circonda questo varietale non riguarda solo l’Italia, ma tutto il mondo. A fine giornata l’entusiasmo dei produttori dall’Oregon, dall’Australia, dall’Alsazia, dall’Ungheria e dal Baden per aver vissuto finalmente una giornata di approfondimento su questo vino era sfociato nella proposta di fondare l’associazione mondiale dei produttori di Pinot Grigio. Magari Fabio Piccoli (che, forse non a caso, era il moderatore del convengo) può cogliere la proposta e mondializzare la trentinizzazione del pinot grigio.
Concetto che, come ha detto Ziliani, è vago, am che mi sento di condividere nel suo significato di rivalutare l’identità atesina (lasciami con questo termine accumunare le due province, è una forzatura che mi concedo ricordando la cena dello scorso marzo in cui abbiamo messo allo stesso tavolo i produttori dell’Alto Adige e quelli del Trentino) di questo vino. Attualmente infatti il pinot grigio in Italia identifica più il Collio, dove si è sviluppato con un profilo, giustamente, molto diverso da quello che aveva nel suo territorio d’origine.
Come mi sono trovato più volte a ripetere quest’anno la qualità del vino è soprattutto una questione di identità più che di caratteristiche organolettiche tout-court (che sono quasi la conditio sine qua non).
Per questo credo che il trentino (cooperativo) ci riuscirà innanzitutto se recupererà a volta la propria identità sociale. Mi spiego meglio ricordando una cosa ovvia: scopo della cooperazione è la valorizzazione del lavoro dei soci, senza finalità speculative. Questo non significa che le cooperative non debbano in assoluto partecipare a società di capitale, però va mantenuto un equilibrio per cui queste partecipazioni siano funzionali alla finalità mutualistica della cooperativa, viceversa lo scopo diventa la ricerca della miglior remunerazione del capitale rappresentato dal lavoro del socio e non del lavoro stesso (i soci cooperatori sono di fatto gli imprenditori in quanto apportatori del capitale di rischio sotto forma dei conferimenti, di conseguenza la cooperativa si basa su un capitale di rischio circolante, da cui la strutturale sottocapitalizzaizone di questa forma di impresa).
Forse nel sistema cooperativo trentino questo equilibrio si rotto, o quantomeno incrinato, e secondo me va recuperato perchè, riprendendo una massima della medicina antica, il veleno non sta nella sostanza ma nella dose.
Mi scuso se ho approfittato di tanto spazio nel tuo blog, ma, come puoi immaginare, il pinot grigio è un argomento che mi sta comunque a cuore, sia personalmente che professionalmente perchè credo che un leader abbia anche degli obblighi nei confronti del settore in cui opera (non mi riferisco ovviamente alla mia azienda attuale).