Miopia di marketing: la concorrenza tra Ferrero Grand Soleil e Fernet Branca.

I (numerosi) esempi di miopia di marketing sono sempre affascinanti. Questo potrebbe essere un caso da manuale, ma sinceramente mi sembrerebbe ingeneroso dire che i signori della Branca mancano di larghezza di veduta nel definire lo scenario competitivo.
Ma andiamo con ordine.
L’altro giorno trovo sul giornale questa pubblicità di Ferrero Grand Soleil
.
Perfetta, come al solito: chiaro il posizionamento, i benefit, le modalità ed i momenti di utilizzo. C’è sempre da togliersi il cappello davanti alle strategie di marketing della Ferrero e tutto il caso Grand Soleil meritebbe da solo alcuni post.
Ma non è questo il punto. Man mano che lo leggevo mi veniva in mente Fernet Branca: ingredienti naturali, elisir di erbe, ricetta esclusiva. Quando sono arrivato al “fine pasto ideale” il collegamento con il vecchio claim di Fernet Branca “digestimola” è stato inevitabile.
Ed ecco la miopia di marketing: il desiderio del consumatore di avere qualcosa per concludere il pasto con piacere e possibilmente favorendo la digestione non è cambiato, sono cambiati i prodotti con cui lo soddisfa.
Una volta era l’amaro, poi il limoncello adesso Grand Soleil (non a caso partito con il gusto al limone). Destrutturazione dei pasti e riduzione del tempo dedicato alla loro preparazione, infantilizzazione dei gusti, riduzione del numero dei componenti delle famiglie sono tutti elementi a favore del successo di Grand Soleil, ma il grande merito di Ferrero è di non aver sviluppato una forte innovazione di propodtto per fornire una soluzione nuova ad un bisogno esistente, senza velleitarie fughe in avanti per cercare la novità fine a se stessa.
E su questo aspetto finiscono le attenuanti per Branca, perchè se è evidente che sarebbe improponibile pensare ad una ditta di liquori e distillati che sviluppa un prodotto come Grand Soleil, l’abbandono del proprio territorio competitivo di elezione è un peccato quasi mortale.
Lo dico pensando all’ultimo spot di Branca Menta(lo so che diranno che sono due prodotti diversi, ma ci mi legge sa già che non credo al successo delle marche schizofreniche), che rincorre il mondo dei consumi giovanili e/o giovanilistici dei locali così detti di tendenza.
Mi ricordato il vecchio spot Keglevich con la goccia di vodka che risaliva il corpo della modella. Confesso che già per Keglevich si trattava di una comunicazione banale, poco posizionante e poco differenziante (solita situazione superalcolico, locale trendy, bella ragazza). Per Branca Menta mi sembra totalmente illusorio. Come mi ha detto una volta un art director di un’agenzia che non ho scelto: “Prendiamo la gente giusta, la mettiamo nella situazione giusta, con il look giusto e quindi facciamo lo spot giusto”.
Beh il marketing è semplice, ma non semplicistico e meno che meno tautologico.
Davvero non c’è spazio per sostenere il consumo casalingo (responsabile, off course), magari anche individuale legato ad un momento di piacere adulto di un amaro?

Voilà: la pubblicità col bignami

Da anni utilizzo l’espressione “pubblicità col bignami” per indicare quelle pubblicità che per essere comprese richiederebbero un breve trattato di quello che avevano in mente di comunicare il cliente e/o l’agenzia (richiedono appunto un bignami).
Si tratta di un rischio tipico dovuto alla naturale forma mentis degli uffici marketing e delle agenzie pubblicitarie che puntano sempre a ricercare l’originalità e tendono a non accorgersi della complessità o incomprensibilità dei messaggi a causa del frequente e continuo rapporto con le marche e la comunicazione. Detto in altre parole, il marketing dei clienti e le agenzie si stufano molto, ma molto prima delle campagne rispetto ai consumatori perchè non fanno altro tutto il giorno ed anche le acrobazie comunicative più ardite gli sembrano ovvie perchè conoscono tutta la storia che ci sta dietro.
Proprio per questa naturale tendenza, senza dover ricorerre per forza a focus groups con i consumatori, è buona norma far vedere le campagne a qualche collega di altri uffici che non hanno avuto niente a che fare con la campagna per capire cosa comunica veramente. E’ un metodo che può sembrare naif e sicuramente non è risolutivo, ma aiuta a far suonare qualche campanello d’allarme. Soprattutto è facilmente realizzabile e non costa niente, il che non è poco considerando che anche così l’urgenza nella consegna della campagna impedisce comunque di farlo.
Sarà anche per questo che pur avendo ovviamente cercato di evitare la realizzazione di pubblicità di questo tipo, temo di essere caduto in qualche caso in questa trappola della comunicazione (mi viene in mente una campagna per la grappa Julia in cui il messaggio non passava proprio chiaramente).
Quello che però non ho mai fatto, nè avevo mai visto, era effettivamente una pubblicità con la spiegazione compresa. Fino a quando su “Il Piccolo” di domenica 30 maggio non ho visto la pagina la nuova strategia pubblicitaria per il turismo della Regione Friuli Venezia Giulia:
Cito testualmente nel caso l’immagine non fosse chiara:
“Live comunica al tempo stesso un imperativo “vivi!” (pronuncia liv)e l’espressione “dal vivo” (pronuncia laiv), come esperienza da non perdere. FRIULI VENEZIA GIULIA un timbro indelebile nella mente del turista che unisce idealmente tutta la Regione in un unico messaggio: vivi il Friuli Venezia Giulia e il Friuli Venezia Giulia dal vivo.“.
Non hanno lasciato niente al caso, perfino la pronuncia dei due significati di live. E sì perchè per una volta non si tratta di dilettanti, di politici che solo per la posizione si arrogano competenze che non hanno.
Infatti l’Assessore Luca Ciriani ha un Master in Marketing e Comunicazione ed un trascorso come Responsabile Comunicazione ePubbliche Relazione di una multinazionale alimentare, mentre Andrea Di Giovanni, Direttore Generale di Turismo FVG, ha una ricco curriculum con responsabilità crescenti in agenzie pubblicitarie come JWT, Grey Worldwide, Al Village ed aziende come iBazar ed E-Bay (dove è stato Managing Director tanto per capirsi).
Finisco con una nota di populistica: il nuovo logo è costato alla Regione 25.000 € e la nuova campagna è stata presentata ad un evento che ne è costati altri 20.000.
Non sono ancora così demagogico da essere andato a cercare quanti soldi (delle mie tasse) servono per pagare gli stipendi del dott. Ciriani e del dott. Di Giovanni (che se non altro ha competenze che corrispondono ad un valore sul mercato del lavoro), ma nemmeno così mona da non preoccuparmi di quanti altri ne saranno spesi per la realizzazione e pianificazione della campagna.