La marginalizzazione del marketing e la crisi economica mondiale

BUUUUMM! E’ il mio ego che è esploso, sarà l’effetto Al Bano. Però questo post mi è venuto in mente mentre scrivevo la serie sulle terapie e quindi non scriverlo sarebbe stato un po’ (sana) modestia ed un po’ disonestà intellettuale. alla fine la vanità ha prevalso e quindi eccolo qui.
Senza avere la pretesa di affrontare l’argomento delle cause e soluzioni dell’attuale crisi economica mondiale (un minimo di sanità mentale mi è rimasta), ho l’impressione che se la funzione marketing nelle aziende avesse mantenuto almeno il peso che aveva una decina di anni fa, FORSE la crisi non avrebbe raggiunto la gravità che stiamo vivendo.
Al di là delle cause tecniche (come le precondizioni di rischio create dalla riforma del sistema finaziario dei tempi di Reagan, la velocità degli scambi finanziari, i mancati controlli, la politica sui tassi di cambio ecc…), la mega bolla è stata gonfiata da un atteggiamento del sistema, finanziario innanzitutto, concentrato esclusivamente sul COME, tralasciando completamente il cosa e meno che meno il perchè.
Una visione legata al portato culturale delle funzioni che attualmente giocano il peso maggiore nelle aziende: finanza e vendite.
E’ fisiologico che la finanza sia favorevole ad elevati ritorni a breve sugli investimenti e che supporti quindi l’altrettanto naturale orientamento delle vendite di dare al mercato quello che si vende meglio.
D’altra parte la misura dei risultati della funzione finanziaria è il ritorno (scegliete voi se preferite ROI, ROE o EBIT) e quello della funzione vendite è il numero di contratti chiusi/di ordini consegnati.
Questo modus operandi rischia però di diventare patologico (come in realtà è stato), se non è bilanciato da una visione del business anche nel periodo medio-lungo, di fidelizzazione del cliente, di soddisfazione articolata dei suoi desideri nell’intero processo di fruizione del prodotto (mutuo, salame, o bicicletta che sia), al di là della semplice vendita.
Tutti elementi tipici della cultura di marketing strategico, o almeno di quella che dovrebbe essere il contributo culturale che il marketing strategico porta in azienda.
Allora, forse, una delle terapie contro la marginalizzazione del marketing (poi giuro che chiudo l’argomento) potrebbe essere anche la necessità di un rinnovamento della cultura aziendale, dove le esigenze e richieste degli stakeholders trovano maggiore considerazione rispetto ad oggi, al di là delle dichiarazioni che si scrivono nelle relazioni di bilancio e sui siti aziendali.

6 thoughts on “La marginalizzazione del marketing e la crisi economica mondiale

  1. D’ACCORDO, D’ACCORDO, ASSOLUTAMENTE D’ACCORDO SU TUTTI I FRONTI!
    Il problema secondo me è come farci ascoltare da chi decide in azienda, che se da una parte attribuisce grande importanza al marketing, dall’altra dimostra esattamente l’opposto.
    Un po’ – forse più di un po’ – è colpa nostra, perché, paradossalmente, non sono così sicuro della nostra capacità di comunicare all’interno dell’organizzazione il nostro ruolo ed il nostro contributo.
    Cosa che non si risolve con tre convegni e una tavola rotonda. Chissà, potrebbe essere un tema da affrontare nei prossimi post.

  2. Nella mia esperienza ho notato che si, ci sono molti che ragionano così, ma è anche vero che se perdi di vista la concretezza (finanza e vendite) resta poco spazio per pensare (marketing strategico), o fai aumenti di capitale o chiudi, mentre pensi. Questo è quello che hanno davanti tutti quelli che per mille motivi non sono ancora un brand forte. Credo che in questa rivoluzione [quela che viviamo oggi], al di la della contingenza, dove è lecito, ma non corretto, lavorare sulla tattica e sulla concretezza per sopravvivere, si debba pensare parecchio (marketing) su cosa e perchè sperimentando quello che serve per il dopo e cioè R&D. Non sene parla mai abbastanza, ma alla fine questa crisi è figlia di fattori che pochi marketeers avrebbero saputo prevedere, in quanto i fondamentali sono stati minati da frodi di grandi corporation e mancati controlli su strumenti che sono stati opportunisticamente fatti crescere troppo (derivati e altri strumenti finanziari). Ma sinceramente il problema nasce nel 2001, vi ricordate AOL e Enron? Certo, poi, in un trend costante di esplosioni arriva anche Lehman (passando per i problemi nell’immobiliare americano), nella politica di finanziamento delle banche, vedi black rock, poi la crisi immobiliare spagnola e mi fermo, ma cene sarebbe da dire. Non mi verrete a dire che ci sono delle persone di marketing che avrebbero capacità di anticipare questi eventi….
    E il brutto è che l’europa è imbrigliata anche da una aggregazione tra paesi che è lontana dal funzionare, l’america soffre e sta ancora vivendo una transizione mentre l’asia oggi non è come l’america degli anni 50 ….quindi da pensare per il marketing c’è n’è parecchio.
    Chiudo dicendo, concordo: i numeri sono uno strumento, non bisogna enfatizzarli troppo ne perderci troppo tempo. L’importante è che non finiscano nelle mani sbagliate, altrimenti sono una scusa….
    my two cents
    Tomaso

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