Marketing all’osso

Barebone marketing suonava francamente meglio, ma tanti anni fa mi sono dato la regola di non utilizzare terminologia inglese, a meno che non esistesse un’espressione equivalente in italiano.
Questo post volevo scriverlo per motivi di pura opportunità e cortesia, nel senso che mi rendo conto che, a furia di tenerlo a metabolismo basale con le frasi dell’AMA, il blog rischia di morire e poi c’era qualche richiesta di cortesi lettori.
D’altra parte non mi sembrava di avere niente di interesante da dire, che è la situazione peggiore ed è anche un po’ sorprendente, visto che da Natale ho scritto solo un post.
Anche perchè durante le vacanze ho letto un po’ di cose interessanti di gestione di marketing e di economia aziendale, ho visto quello che succede in Spagna, insomma in teoria ho avuto un po’ di stimoli. Eppure tutto mi sembra già visto, perfino al Corte Ingles non ho trovato niente di nuovo (è la prima volta che mi succede in 18 anni).
Sarà vecchiaia oppure la stanchezza della preparazione del Vinitaly del 50° del Pinot Grigio Santa Margherita.
Allora mi sono detto: scrivo un post di cazzeggio di marketing. Farebbe bene a me, che mi sto fossilizzando in post sempre e solo strategici, ed a chi mi dice che questo blog richiede sempre grande attenzione (forse troppa).
Un bel post facile facile, con i complimenti al (semi) nuovo spot di Campari oppure la perplessità sul nuovo spot del nuovo amaro Limoncè, del quale mi convinceva già poco il concetto di prodotto e lo spot stile anni ’80 ancora meno.
Mentre pensavo che forse è il legame emotivo con una marca che ho gestito tanti anni ad impedirmi di vedere le cose con obiettività, mi sono reso conto che sempre di più imposto le attività di marketing in generale, e la comunicazione in particolare, con modalità tendenzialmente scarne.
Riflettendo mi rendo conto che a fronte dell’affermarsi della propoganda nella comunicazione e della sensazione generale di già visto, mi sposto sempre più distante dalla logica son-et-lumiere, o stucco-e-pittura come diceve una mia ex collega.
in altre parole la mia visione del marketing è sempre più quella di un marketing all’osso, che va all’essenza, che, come c’è scritto nei libri, punta a rendere inutile le attività di pubblicità e promozione grazie alla forza della proposta in termini di interesse per il servizio offerto.
In altre parole l’I-Pad, per cui tutti i giornali si sono affrettati a fare la versione compatibile, indipendentemente dalla diffusione o meno dell’apparecchio.
Sarà l’ennesimo segnale che mi sto convertendo in uno dei vecchietti del Muppet Show, l’evidenza che non sono più al passo con i tempi oppure sono la punta più avanzata dell’avanguardia (che comunque non è mai positivio).
Se qualcuno ha l’occasione di analizzare come si fa il marketing in Brasile, soprattutto, Cina e India, troverà la risposta.

3 thoughts on “Marketing all’osso

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