Make the money work harder

Dopo lunga pausa estiva, riprende Biscomarketing pubblicando un mio articolo uscito sull’ultimo numero de “Il Mio Vino”.
E’ un po’ lungo, ma punto sul recupero di energie che spero abbiate fatto durante questa calda estate.
Prima dell’articolo una precisazione: qualche settimana fa un’amica mi ha chiesto come mai scrivo su “Il Mio Vino” ed il tono suonava circa “Cosa ci fa un tipo come te in un posto come quello?”. La ragione è molto semplice, seguivano il blog ed ad un certo punto mi hanno chiesto se potevano riprenderne i post (ricordo che questo blog pratica il copyleft). A quel punto io ho suggerito di scrivere dei contenuti originali (finchè mi vengono in mente argomenti), quindi scrivo su “Il Mio Vino” perchè sono stati i primi a chiedermelo. Ovviamente non seguo nessuna linea editoriale e sono totalmente libero nei contenuti.
Ed ecco di seguito l’articolo, con il suo titolo originale:
MAKE THE MONEY WORK HARDER
Chi mi conosce sa che cerco di limitare l’utilizzo dei termini inglesi ai casi cui è strettamente necessario, per l’effettiva mancanza dell’equivalente italiano.
Uno di questi casi è l’espressione “make your money work harder”. Si potrebbe tradurre come far “fruttare al massimo i propri soldi”, ma secondo me non rende appieno quell’idea di soldi che lavorano, delle gocce di sudore che cadono dalle banconote e dalle monete nello sforzo di produrre di più, dato un determinato investimento. Non si tratta tanto ( o solamente) di scegliere l’ottimale allocazione delle risorse finanziarie tra le diverse strategie di investimento possibili, si tratta soprattutto di realizzare le strategie in modo da spremere al massimo i soldi spesi.
Un esempio esterno al mondo del vino credo renda immediatamente chiaro il concetto: l’inserimento del logo della Apple sul retro dello schermo dei computer MacIntosch, logo che si illumina quando il computer è acceso. E’ un accorgimento che non aumenta i costi di produzione (o li aumenta in misura risibile), però trasforma ogni computer Mac in un potentissimo mezzo di comunicazione, attraverso cui si moltiplica la visibilità del marchio ed il posizionamento del marchio. La pubblicità intrinseca nella macchina crea delle sinergie con le altre forme di comunicazione realizzate dalla Apple e viceversa. In più crea una sorta di effetto “passaparola” per cui ogni utente dichiara al mondo, volente o nolente, “io sto utilizzando un computer Mac”. NdA: settimane dopo aver scritto questo pezzo, ieri ho visto su “La Stampa” la nuova pubblicità dell’HP Spectre Ultrabook che ha come claim “Non ti servono le parole per dire chi sei”. Peccato che poi l’aspetto del portatile ricalchi quello del notebook Apple ultrapiatto. Possibile che nell’elettronica nessuno sia capace di differenziarsi dall’immagine della Apple, risultando alla fine sempre e comunque dei followers? Se nella moda c’è mercato per il minimalismo di Armani e per il barocco di Versace perchè non dovrebbe essere così anche nell’elettronica?
Come e dove si può applicare questo principio al mondo del vino?
Durante lo scorso Vinitaly in un momento di leggero sadomasochismo ho sfogliato il numero dedicato alla fiera veronese di tutte le riviste della stampa specializzata e non, guardando la pubblicità delle cantine. Purtroppo ho trovato quello che mi aspettavo: la grande maggioranza degli annunci (compreso uno mio, da qui il sadomasochismo) non indicava la posizione dello stand all’interno della fiera.
E’ vero che molte di quelle pubblicità sono state realizzate indipendentemente dal Vinitaly e quindi perseguivano obiettivi di comunicazione diversi. E’ però altrettanto vero che l’attenzione di operatori ed appassionati di vino in quel momento e focalizzata al Vinitaly, aumentando quindi la visibilità di tutto quello che ne è collegato, pubblicità compresa, e, soprattutto, che è molto probabile che si trovino in fiera.
Evitare, o dimenticare, di fornire il riferimento dello stand è un’occasione persa, che riduce in partenza la resa potenziale dei soldi investiti nell’acquisto di quella pagina pubblicitaria.
Sicuramente errori e mosse vincenti fanno parte della vita di tutte le aziende, ma sarebbe sbagliato ridurre questi due esempi a semplice aneddotica perché sono in realtà indicatori di un metodo (o della sua assenza), ed è attraverso il metodo che sistematicamente si riducono gli errori di gestione.
E’ giusto quindi trarre alcuni principi generali per ottenere il massimo dalle proprie strategie:
1. Riuscire ad ottenere il massimo dai propri soldi è innanzitutto una questione di atteggiamento mentale e non implica necessariamente costi aggiuntivi. L’atteggiamento mentale consiste nella consapevolezza che ogni attività genera (potenzialmente) una molteplicità di risultati.
2. Il passaggio successivo consiste nell’analizzare con il maggior dettaglio possibile e da diversi punti di vista cosa succede quando una determinata attività viene, chi ne viene effettivamente toccato e come.
3. A questo punto si è in possesso degli elementi per immaginare quali altri risultati, oltre a quelli principali per cui è nata, l’attività è in grado di generare. L’immaginazione, o se preferite la creatività, è fondamentale perché normalmente la misurazione e la ricerca dell’efficienza si basa sul miglioramento della resa rispetto ai parametri esistenti piuttosto che sull’aggiunta di altri risultati.
4. Infine va pianificata la realizzazione delle modalità operative in modo da raggiungere tutti gli obiettivi possibili. Attenzione che qui il termine possibili vuole anche sottolineare la necessità evitare di mettere troppo carne al fuoco, con il risultato di non cucinare niente.
Teoria? Io credo che in questo momento nel settore del vino ci sia una situazione di grande spreco di risorse potenziali che riguarda le modalità di realizzazione delle azioni di promozione del vino sui mercati extra-comunitari co-finanziate con i fondi UE.
Non mi riferisco a come questi sono spesi, ai vari richiami a fare sistema o a concentrarsi maggiormente su certi mercati o su determinate aziende. Questi sono discorsi di politica economica che esulano dal tema di questo articolo.
Mi riferiscono invece ad ottenere di più dalle attività già adesso, sostanzialmente con gli attuali meccanismi e l’unica cosa che cambierei è l’obbligo di inserire in tutti i materiali realizzati per le attività finanziati con i fondi europei la dicitura “Progetto finanziato ai sensi del Reg ….” accompagnata dalle bandiere italiana e della comunità. Si tratta di una dicitura che non ha nessuna utilità, anzi nei paesi che sono anche produttori di vino rischia di venir percepita come una sorta di concorrenza sleale operata da parte dell’Unione Europea ai danni dei produttori nazionali.
Prevederei invece al suo posto l’obbligo di inserire un slogan di posizionamento dei vino italiano, o quanto meno dei vini europei, qualcosa tipo “Vini italiani: il gusto della vita” (tanto per buttare lì una frase che renda l’idea). In realtà non è questo il contesto in cui definire quali dovrebbe essere i valori portanti del posizionamento tra i tanti possibili: storia, cultura, tradizione, qualità, sicurezza, autenticità, diversità, abbinabilità con il cibo, ecc..
Il punto è che così facendo il costo di tutto quello spazio, oggi sprecato, diventerebbe immediatamente un veicolo per rafforzare il posizionamento dei vini dell’Unione Europea nella competizione con quelli provenienti da altri paesi del vecchio e nuovo mondo.
Per di più creando delle sinergie con la comunicazione aziendale o consortile, che rimane la parte principale dell’attività.
Un aumento della produttività degli investimenti che, soprattutto in questa fase di riduzione delle risorse, mi sembra più un dovere che un’opportunità.