WOW! EFFECT

Valutare la creatività non è mai una cosa semplice.
Il rischio di perseguire l’originalità e l’estetica fini a se stesse, senza veri contenuti e valori distintivi, è sempre in agguato. Con l’aggravante che proposte vacue, proprio per la loro mancanza di sostanza, si prestano ad essere razionalizzate come si vuole a posteriori in modo da (auto)convincersi che si tratta della trovata del secolo (vedi il mio post della scorsa settimana).
Anni fa una delle grandi agenzie pubblicitarie italiane venne in azienda a presentare le proposte per la nuova campagna pubblicitaria di una delle nostre marche più importanti. Dopo un quaranta minuti buoni di presentazione delle 3 proposte io espressi i miei dubbi perchè mi sembrava che non centrassero gli obiettivi della comunicazione, erano intrinsecamente poco coerenti, confuse e, soprattutto, artificiali e farraginose.
Il direttore clienti che guidava il gruppo, non potendo dire che ero scemo, disse di non preoccuparmi, che tutte le perplessità si sarebbero risolte quando avremmo effettivamente prodotto lo spot e che il problema era solo dovuto al fatto che, ricordo ancora le parole, “.. la lingua italiana non ha abbastanza parole per esprimere con chiarezza i concetti delle proposte”. Risultato: non fatta la campagna e cambiato agenzia.
Eppure è questo il modo più diffuso di presentare e valutare la creatività: sintesi degli obiettivi, spiegazione del ragionamento fatto dall’agenzia per lo sviluppo delle proposte, presentazione delle proposte, razionalizzazione di come le proposte rispondono agli obiettivi da cui si è partiti. Vale per le campagne pubblicitarie, quelle promozionali, il design dei prodotti, degli stand alle fiere, ecc…). I rischio di perdersi nel puro ragionamento o, peggio, nella soggettività sono altissimi.
Io da anni uso un’altro metodo che nel tempo è diventato quasi un segreto professionale, visto quanto poco è diffuso. Lo condivido volentieri sul blog, convinto della bontà della co-opetizione e sperando che il detto “you get what you give” sia vero.
Anche perchè anch’io l’ho imparato da qualcuno. Esattamente da un designer venuto, un paio di mesi dopo l’agenzia di pubblicità, a presentare le proposte per un nuovo packaging che gli avevo affidato.
Invece di cominciare a spiegare cosa ci avrebbe mostrato, cominciò a mostrarci (c’era ovviamente tutto l’ufficio marketing) le diverse proposte (5 o 6 se non ricordo male) per un paio di minuti senza dire niente.
Aspettava di vedere quale etichetta avrebbe suscitato il WOW! effect. Erano tutte valide, ma per un paio la reazione del gruppo era stata un (silenzioso) WOW.
Solo dopo siamo passati all’analisi “tecnica” di tutte le proposte, identificati i punti di forza e di debolezza e deciso su quali andare avanti per un affinamento.
Giustamente l’etichetta finalizzata presentava delle differenze (miglioramenti) rispetto alla prima proposta, mantenendo però il concetto che ci aveva fatto dire WOW!.
Da quella volta io evito sempre (se possibile) di analizzare il processo prima di vedere il risultato, e mi affido al WOW effect.
Potrebbe sembrare soggettivo, ma non lo è. Una proposta fondamentalmente valida, che coglie ed interpreta nel modo giusto gli obiettivi valorizzandoli anche se è in nuce, suscita un convinzione immediata nella grandissima maggioranza delle persone (consiglio sempre di fare queste cose in un gruppo di lavoro).
E’ un metodo che consiglio, con l’avvertenza che richiede disciplina ed è molto darwinistico nel valutare le idee: se non c’è nessun WOW, bisogna ricominciare daccapo (oppure cambiare agenzia).

2 thoughts on “WOW! EFFECT

  1. Caro Lorenzo,

    la pubblicità è questione di un attimo: pochi secondi per capirla. Se richiede uno sforzo interpretativo non è buona pubblicità.
    Attenzione quindi a quelle agenzie che per presentare una campagna devono fare un’ora di premessa.
    Ma attenzione anche a quelle agenzie che presentano 5-6-7-10 proposte: stanno vagando nel buio e si aspettano che sia il cliente a toglier loro le castagne dal fuoco, scegliendo una proposta o un mix di quelle presentate. Salvo poi tornare in agenzia e lamentarsi che il cliente non ha capito niente e che ha appunto chiesto un mix di quanto presentato.
    Però, a difesa della categoria, aggiungo che sempre più spesso le cattive proposte – e le cattive campagne – nascono da cattivi brief. Ecco, se non hai già trattato questo argomento in post precedenti, sarebbe utile richiamare l’attenzione su questo argomento.

  2. E’ un classic,o ma nel mio gruppo, l’Interpublic, ci consigliavano sempre il “Wow Effect” al terzo layout.. dopodichè tutto nuovo e bianco.. come il detersivo..

    D’altronde anche Seth Godin chiede sempre una Mucca Viola..!

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