In pubblicità il tempismo è tutto!

Vero. E infatti avevo in programma un approfondito post sull’argomento.

Però poi mi sono trovato in aeroporto a Trieste a partire per Valencia e nell’area degli imbarchi mi sono imbattuto in questa pubblicità dell’Ente per il Turismo della Regione Friuli Venezia Giulia.

Un’immagine vale più di mille parole. Quindi  con tre foto affronto sia il tempo che lo spazio, ossia la coincidenza il momento ed il luogo (niente a che vedere con Einsten).

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La domanda è: “che senso ha?”

Che senso ha una pubblicità basata sul concetto di “convincere a non partire” un pubblico che si trova nella sala imbarchi dell’aeroporto, ha già comprato il biglietto, spedito il bagaglio, passato i controlli di sicurezza, eccetera.

E non ditemi che si gioca sul controsenso del “non partire” per convincerli a ritornare.

Story centric advertising (communication).

Story conflict examples - Infographic | Now Novel

Storytelling è un termine che sembra oramai passato di moda nei discorsi di marketing (per fortuna diranno in molti).

Quello che non è passato di moda però è la necessità di contenuti per essere rilevanti agli occhi dei consumatori che non sono solo digital native ma anche advertising native, cosa che spesso ci scordiamo.

Sostenitore della necessità di comunicare un senso già negli anni ’90, quando il marketing è diventato il mio lavoro, assisto stupito a campagne di pubblicità/comunicazione (lo so non è lo stesso, ma passatemi la semplificazione per il momento) che sembrano vecchie di 25 anni, almeno, e mi chiedo chi può esserne interessato/coinvolto/colpito.

Tra quelle in onda adesso credo che un esempio di quello che intendo sia la pubblicità Ma – Fra, TUTTA cantata stile jingle ani ‘60 (purtroppo non sono riuscito a rintracciare lo spot sul web, questo è un link a dei commenti sulla campagna 2014, simile a quella di quest’anno ).

Pensavo a queste cose mentre leggevo un articolo su Marketing News, al solito, in cui si diceva che i professionisti di marketing di successo oggi sono quelli che si spostano da un marketing centrato sulla pubblicità ad un marketing centrato sulle storie.

Benchè non abbia MAI creduto che il marketing sia centrato sulla pubblicità e nemmeno sulla comunicazione in senso stretto, ma piuttosto sulla percezione in senso ampio, questa frase mi ha suggerito la sintesi della pubblicità centrata sulle storie che dà il titolo a questo post.

Il fatto che sia centrata sulle storie non significa che la componente verbale debba essere prevalente. Le campagne fatte da Toscani che hanno costruito la forza e la fama del posizionamento di Benetton in tutto il mondo erano basate su immagini, senza nessuna parola. Stiamo parlando degli anni ’80, a dimostrazione che la pubblicità funzionava meglio quando era centrata sulle storie anche nell’era analogica (ed anche a dimostrazione che la televisione non è mai stato un mezzo indispensabile se si vogliono fare campagne pubblicitarie forti).

E pensare che a quei tempi non c’era nemmeno Instagram.

Perché un altro dato interessante che appariva in quell’articolo è che negli U.S.A. tra il 2015 ed il 2017 la condivisione di contenuti riguardanti marchi è diminuita del 50%, malgrado i contenuti siano aumentati.

Il consumatore digital e advertising native sommerso di contenuti, decide di farsi i fatti propri il doppio di prima.

Sicuramente la quantità di comunicazione da parte dei marchi gioca un ruolo importante nell’infastidire le persone, ma anche il livello basso dei contenuti creati (intesi in senso generale) ha la sua parte di responsabilità nel generare irrilevanza.

E’ importante distinguere tra un “narrazione” ed una “storia”.

La narrativa è un elenco lineare di fatti, spesso in ordine cronologico, una storia è un racconto di persone con le loro idee, valori ed emozioni, i conflitti che succedono e come vengono superati. Perché i conflitti, interni ed esterni, cambiano le vite.

L’assenza di confitti è il punto su cui falliscono, o comunque diventano molto deboli, le storie delle marche perché nelle aziende e nei loro reparti marketing prevale una cultura di negazione dei problemi. Soprattutto nei confronti dell’esterno, per cui i panni sporchi vanno lavati in casa.

Così però le storie sono poco credibili e noiose, perché è impossibile che nessuno non sporchi mai neanche un panno.

Per le marche l’importante è ricordarsi del lieto fine, come ci insegna anche la grande fabbrica dei sogni hollywodiana.

A questo punto l’essenza di quanto volevo dire con questo post è già raggiunta.

Per completezza però concludo elencando gli 8 stadi che deve avere una storia di successo secondo il libro Storynomics di Robert McKee e Thomas Gerace https://storynomics.com/.

Non sono molto diversi da quelli che magari avete già letto da qualche altra parte in questi anni, ma repetita iuvant:

  1. Individuate l’audience obiettivo.
  2. Date dei principi/valori di base al protagonista.
  3. Si verifica un incidente imprevisto.
  4. Il protagonista desidera qualcosa che gli permetta di ristabilire l’equilibrio rotto dall’incidente di cui sopra.
  5. Il protagonista fa una scelta tattica che spera gli faccia ottenere quello che desidera.
  6. La scelta tattica si rivela un fallimento.
  7. Il protagonista fa una scelta critica/fondamentale/strategica.
  8. La scelta critica/fondamentale/strategica permette di raggiungere un nuovo punto di equilibrio per cui vissero tutti felici e contenti (quest’ultimo pezzo in corsivo l’ho messo io).

5 modi in cui i contenuti di marketing possono supportare le vendite.

Ispirato da un articolo apparso su Marketing News, ed in parte riprendendone i contenuti, propongo 5 regole per rendere i contenuti creati dal marketing più efficaci nel supportare le vendite.

Una delle frasi che ripetevo spesso in azienda è che le strategie di marketing vengono realizzate (soprattutto) dalle (funzioni) vendite. Se i risultati non saranno buoni, per qualsiasi motivo, la strategia dovrà essere rivista, quando non abbandonata.

E’ quindi fondamentale che gli strumenti sviluppati dal marketing siano efficaci (anche) in termini di vendita. Viceversa i nostri colleghi delle vendite li utilizzeranno con scetticismo, o non li utilizzeranno proprio.

Lamentarsi dopo non serve a nulla.

1.Siate precisi e specifici: l’utilizzo di termini vaghi maschera il vantaggio competitivo della nostra proposta (prodotto o servizio che sia). Termini generici tipo “tra i migliori della categoria”, “innovativo”, “facile da usare”, ecc… sono abusate e quindi deboli, quando non inutili, nel supportare le vendite.

Suonano bene, ma costringeranno i vostri colleghi delle vendite ad un maggiore sforzo nel far apprezzare ai clienti il vantaggio competitivo, con il rischio che non ci riescano.

Siate specifici e precisi nel descrivere il vantaggio competitivo che caratterizza la proposta, evitando i concetti generici o, almeno, contestualizzandoli in modo inequivocabile (e magari differenziante). Questo ridurrà il pericoloso spazio per le interpretazioni ed aumenterà l’efficacia dei colleghi delle vendite.

 

2.       Focalizzatevi sul benefit che la proposta fornisce ai vostri clienti: se sono più veloce non dirò che sono molto più veloce, ma dirò qual è la mia velocità o, meglio ancora, che sono il 20 % più veloce del miglior concorrente (ricordate che le scelte di acquisto delle persone sono sempre comparative e mai assolute).

 

3.       Non fate dichiarazioni vuote: fornite (ai colleghi delle vendite ed ai clienti) le prove di quello che dite. “Siamo il 20% più veloci del miglior concorrente perché costruiamo il nostro prodotto usando questo brevetto in esclusiva e questi sono i test che lo dimostrano”.

 

4.      Usate termini famigliari e sensati per la categoria: non è lo stesso della precisione e specificità dette prima. Qui si tratta di permettere ai clienti di poter confrontare le proposte (prodotti o servizi) di due o più concorrenti e per farlo è necessario che i parametri che li descrivono siano confrontabili. Ad esempio la potenza, la velocità massima, il consumo per 100 km, ecc.. nel caso di una automobile. Usare parametri fuori dagli standard della categoria, tipo “da 0 a 38 km/ora in x secondi” creerebbe solo confusione nei potenziali clienti.

Inoltre sempre più spesso molti acquisti vengono confrontando prima sul web (molte) diverse alternativa e l’utilizzo di termini/parametri avulsi dalla categoria comporta il grande rischio di essere subito esclusi dal paniere delle scelte. Rischio che diventa praticamente certo se la comparazione viene fatta da appositi bot.

 

5.       Non mischiate i messaggi: il tono ed i contenuti del messaggio vanno calibrati coerentemente al livello di conoscenza/professionalità che hanno le diverse audiences a cui ci rivolgiamo. Toni e contenuti per comunicare con gli intermediari dovranno essere diversi da quelli usati per il consumatore finale.

Tenete presente anche dei diversi livelli di conoscenza/esperienza/formazione dei diversi tipi di intermediari commerciali e dei diversi segmenti di consumatori. Ad esempio tra un ristorante stellato ed una trattoria nel proporre un abbattitore di temperatura o tra un appassionato degustatore ed un bevitore occasionale nel proporre un vino.