E se il marketing relazionale fosse (soprattutto) una grande mistificazione?

Uno per scrutarli,

Uno per irretirli,

Uno per controllarli

E il prodotto rifilargli.

(mia reinterpretazione in chiave marketing relazionale dell’incipit del Signore degli Anelli).

La prima volta che ho sentito parlare di marketing relazionale è stato diversi anni fa, quando me parlò in toni entusiastici una mia ex collaboratrice che aveva partecipato ad un seminario sul marketing relazionale applicato al settore del vino.

La cosa mi colpì perché era la prima volta che sentivo il termine. Siccome di marketing ne ho studiato un bel po’ e continuo a studiarne abbastanza, sono sempre un po’ sorpreso e curioso quando mi imbatto in termini/concetti nuovi.

Dalla sua spiegazione su in cosa consistesse in concreto mi parve di capire che si trattatava di un versione aggiornata al mondo digitale delle strategie ed attività di marketing diretto.

Un anno dopo per delle lezioni di un Master sull’export del vino mi chiesero di inserire una parte sul marketing relazionale e quindi dovetti guardarci un po’ più a fondo.

Il mio problema è che ho una visione olistica, globale complessiva del marketing basata sulla definizione del Kotler secondo cui l’organizzazione che opera secondo l’approccio di marketing opera per raggiungere i propri obiettivi attraverso il soddisfacimento dei bisogni e desideri palesi o latenti dei mercati obiettivo a cui si rivolge in modo più efficace ed efficiente dei concorrenti.

Come dico ai miei corsi, capite bene tutte le parole di questa definizione, le relazioni che hanno tra loro e le relative implicazioni potremmo anche non aggiungere altro, perché qui c’è tutto. O meglio, il resto delle lezioni serve appunto a capire in dettaglio l’essenza dei concetti espressi sopra.

Detto in un altro modo, per il marketing è sempre relazionale perché una transazione, che sia economica od emotiva non importa, implica sempre una relazione. Indipendentemente dall’intensità che questa può avere o dal fatto che sia positiva o negativa.

Il resto, volendo estremizzare, sono tecnicismi.

Poi qualche mese fa mi hanno chiesto di tenere due giornate di lezione incentrate sul marketing relazionale e quindi mi sono messo a studiare. Il progetto alla fine si è arenato, ma il bello di studiare è che comunque quello che una impara gli rimane.

Quindi cosa ho imparato.

Innanzitutto la distinzione tra “marketing relazionale”, secondo il quale la marca punta a costruire una relazione con il cliente consumatore, e “marketing transazionale”, secondo il quale la marca punta a vendere qualcosa al cliente consumatore.

E già qui ho cominciato a mettere i punti di domanda sul bordo del libro.

A parte il concetto espresso prima che ogni transazione è una relazione, questa a me sembra una distinzione che, ben che vada, separa il buon marketing dal cattivo marketing. Oppure le aziende che operano secondo un approccio di marketing da quelle che operano secondo un approccio di vendita.

C’è poi un’altra questione: tutte le organizzazioni operano con l’obiettivo di far fare qualcosa alle audiencies a cui si rivolgono (che sia comprare, vendere, viaggiare, donare, ecc…). Nessuna azienda punta a costruire una relazione con un cliente/consumatore per instaurare un’amicizia ed andare a bere l’aperitivo, raccontare come stanno i bambini, ecc…

Non è cinismo è che un’organizzazione esiste per uno scopo, quindi manca intrinsecamente della gratuità che caratterizza le relazioni interpersonali amicali. Ossia l’azienda sviluppa relazioni per raggiungere transazioni.

Viceversa si crea il rischio di generare amore platonico per la marca (ne ho scritto in questo post del marzo 2015)

I miei dubbi continuavano a crescere man mano che passavo dalla teoria alla pratica del marketing relazionale.

Attività di database marketing, invio di mailing, profilazione sui social e tutte le altre tecniche e tattiche del marketing relazionale mi sembravano sempre di più un’evoluzione sofisticata dell’approccio di vendita, condita di stratagemmi per ottenere quanti più canali di accesso alle persone possibili (indirizzi e-mail, profili social, ecc…)

L’accuratezza della targettizzazione permessa dagli strumenti digitali porta a generare una comunicazione molto più rivolta alla transazione di quanto non succeda con gli strumenti di marketing classico.

Ad esempio le strategie di posizionamento “classiche”, che puntano a definire e costruire una percezione della marca e dei suoi valori da parte delle audiences, implicano una relazione molto più aperta, paritetica e meno invasiva delle campagne di content marketing sui social networks.

Intendiamoci, non che il marketing diretto non vada bene, ma non è un cambiamento di paradigma è solo un cambiamento (radicale) degli strumenti.

Talmente radicale che rischia di far regredire l’azione delle aziende ad una logica di hard selling come sembrano suggerire gli esempi degli e-shop che nascono e muoiono in un batter d’occhio sulla rete.

“Marketing relazionale” suona molto bene, ma abusare della pazienza e dell’attenzione delle persone può convertirsi in un boomerang perché non importa quanti siano i canali che l’azienda possiede per raggiungerle: l’attenzione selettiva non gli farà comunque vedere il contenuto della newsletter anche se l’hanno aperta né il banner che scorre sotto-sopra-adestra-asinistra.

Concludo riportando il estratto da un libro sul social CRM che ho letto per approfondire l’argomento (non importa dire titolo ed autore): “Sono inoltre disponibili strumenti per ottimizzare l’esperienza complessiva di registrazione come omissis che traccia quanti e quali campi vengono compilati, e se e dove l’utente abbandona il form prima di confermare la sottomissione”

Ecco l’uso dell’anglicismo “sottomissione” invece dell’italiano “invio” mi sembra significativo del tipo di relazione che si vuole instaurare con il consumatore.

Ancora marketing relazionale: i cattivi esempi di Loacker e Coop.

Mi piace partecipare ai concorsi. Non che abbia mai vinto niente di particolare, però mi piace giocare.

Quindi tempo fa ho partecipato al concorso Loacker “Una tortina d’oro” (tanti anni fa avrei voluto fare un concorso mettendo un diamante dentro ai wurstel, ma non ho mai sviluppato l’idea perché il rischio che chi lo trovasse si rompesse un dente era troppo grande e quindi l’idea irrealizzabile).

Per partecipare i sono iscritto al sito Loacker e quindi periodicamente mi arriva una mail/newletter dall’azienda. Non le avevo mai aperte fino ad oggi, ma l’altro giorno l’ho fatto, un po’ perchè sto ragionando di marketing relazionale ed un po’ perché prometteva buoni sconti per acquisti di prodotti Loacker (che in effetti è un po’ che non compro).

Quindi ho aperto la mail, i sono guardato i vari contenuti fino a quando sono arrivato in fondo ed ho cliccato sul link per ottenere i buoni sconto.

Il link non i ha portato direttamente nella pagina del sito Loacker dove scaricare i buoni sconto, a nella home page. Poco male, ci sta. Per scaricare i buoni sconto dovevo entrare nel mio profilo personale del sito inserendo e-mail e password.

Ora devo ammettere che già la richiesta della password mi sembra eccessiva. Di password ne devo ricordare già troppe e sicuramente quella del sito Loacker non è né tra quelle che uso più spesso né tra quelle che mi preoccupano maggiormente. cosa rischio se qualcuno mi hackera il profilo Loacker? Che mi portino via i biscotti?

Ad ogni, come dicevo mi piace giocare, e quindi ho richiesto una nuova password all’indirizzo e-mail al quale avevo ricevuto la newletter.

Il sistema mi ha risposto automaticamente che non c’è nessun utente registrato con quella mail. Allora perché mi avete mandato la newsletter offrendomi dei buoni sconto?

Siccome, per quanto mi diverta a giocare, ho anche altro da fare nella vita, ho detto un bel CIAONE al sito Loacker ed ai suoi buoni sconto (vorrà dire che aspetterò la prossima promozione sullo scaffale).

Il caso della Coop se vogliamo è ancora più grave / sconcertante.

Da anni faccio la spesa al supermercato Coop vicino a casa (ci andavo già prima, quando era un supermercato Despar).

Dal 20 gennaio è iniziato il concorso #2MilioniDiPremi, per cui ogni 20 euro di spesa si riceve una cartolina gratta e vinci.

Se non si è vinto niente con il gratta e vinci si può andare sul sito apposito #2MilioniDiPremi ed inserire il codice della cartolina per partecipare ad una estrazione. Se non ricordo male il sito è il medesimo di quello usato da Coop per un concorso analogo realizzato lo scorso anno, a cui i sono sicuramente già registrato, ma di cui non assolutamente idea che mail e che password ho usato.

Ad ogni modo non me ne preoccupo perché il concorso è riservato ai soci quindi mi aspetto che per giocare i codici sia sufficiente inserire il mio codice socio, a cui presumo siano collegati tutti i dati che mi hanno chiesto al momento dell’associazione (se vogliamo fare i sofisti essere socio della Coop è una cosa un po’ diversa da una normale carta fedeltà di un’altra catena di supermercati).

Sbagliavo. Nel senso che per registrarmi il sito mi richiede di inserire il codice numerico stampato sotto il codice a barre della tessera socio. Non la cosa più pratica e comprensibile del mondo. Provo prima omettendo lo zero iniziale, poi anche con lo zero iniziale. In entrambi i casi il sito mi segnala che il formato del codice è errato e anche in questo caso decido che gli eventuali premi ad estrazione li vincerà qualcuno più bravo / meritevole / paziente di me.

Quello però che mi chiedo: perché non mi avete fatto giocare con il mio codice socio a 7 cifre stampato bello chiaro sul retro della mia tessera socio? Dite che il problema è che il codice potrebbe non essere univoco tra le varie Coop che ci sono in Italia (in altre parole qualcun altro in una Coop diversa potrebbe avere lo stesso numero)? Basta richiedere di indicare la cooperativa di appartenenza, che è chiaramente stampata sul fronte della tessera (nel mio caso “Coop Alleanza 3.0″ ed il gioco è fatto.

Se invece anche all’interno di Coop Alleanza 3.0 il mio codice potrebbe non essere univoco, beh allora di strada da fare ne avete molta e la cosa un po’ anche mi preoccupa.

Continuo ad essere sconcertato di quante risorse e sforzi le aziende dedichino ad instaurare una relazione con i propri consumatori e quanta poca attenzione mettano nel gestirla, seguendo un approccio che non solo non è di servizio (alla fin fine il cliente sono io, e nel caso di Coop sono anche “proprietario”), ma nemmeno paritetico. E’ invece di “superiorità”.

E stiamo parlando di due aziende “brave”, che più di una volta ho segnalato su questo blog per le loro strategie interessanti ed efficaci.

Figuriamoci le altre.

 

Le relazioni nascono dagli argomenti, non dagli strumenti. Imparare da Farmina.

Per vari motivi sto approfondendo l’area del marketing relazionale.

Avevo cominciato ad esplorarla un paio di anni fa ed ero rimasto perplesso. Man ano che approfondisco, aumentano le mie perplessità.

Ho la netta impressione che la visione prevalente si basi soprattutto su tecnicismi, che si contrappongono alla visione altrettanto tecnicistica del marketing transazionale.

Si tratta di concetti che in realtà poco hanno a che vedere con il marketing strategico ed alla sua pianificazione e gestione efficace ed efficiente.

Mi rendo conto che detta così la cosa suona presuntuosa e forse un tantino nihilista, però sono troppo stanco per sviscerare questa impressione oggi. Dico solo che mi sembra siano come “above the line” e “below the line”, due concetti di pubblicità che venivano dati per scontati e che per e non sono mai esistiti nello sviluppo di una strategia di comunicazione fin da quando faccio marketing per professione, ossia del 1994. Non solo perché non ne faceva menzione Kotler nell’edizione canadese di Marketing Management che ho studiato io, ma soprattutto perché si tratta di una classificazione slegata al comportamento del consumatore che quindi rischia di generare strategie inefficaci. Non è così che le persone si rapportano alle diverse forme di comunicazione. Se poi le agenzie di pubblicità / centri media devono fare i loro traffici con le concessionarie, si organizzino come meglio credono senza confondermi le idee invece di aiutarmi (ne scrivevo in maniera più estesa ed organica qui nel 2014).

Buona parte del marketing relazionale è concentrato sugli strumenti (digitali) per attivare e gestire le relazioni. Che poi all’atto pratico si riducono nell’ottenere i dati per aprire canali di comunicazione diretti con le persone e poter bersagliarli in modo più preciso con strategie di push che neanche il peggior approccio di vendita.

Oggi invece ho vissuto in prima persona un bell’esempio di marketing relazionale (che io normalmente avrei chiamato semplicemente di marketing) da parte della ditta di alimenti per cani e gatti “Farmina”.

Stavo attraversando Piazza Unità a Trieste con i miei due cani al guinzaglio (cosa che sarà capitata 3 volte in 12 anni) quando mi ha avvicinato una gentile signorina chiedendomi se poteva regalarmi dei bocconcini omaggio per i miei cani.

Ovviamente ho detto di sì. Mentre me li dava mi chiesto se poteva farmi un paio di domande e come potevo dire di no?

Mi ha chiesto come si chiamavano, di che sesso erano, che età avevano.

Poi mi ha chiesto se volevo dargli la mia mail per ricevere altri buoni sconto sui prodotti Farmina (uno era già nella borsetta con dentro i bocconcini omaggio) ed io gliel’ho dato. La finalità promozionale è trasparente e l’accetto volentieri.

Hanno attivato una relazione attraverso un rapporto personale, non digitale.

Se saranno bravi e mi disturberanno via mail per dirmi/offrirmi cose interessanti la relazione continuerà, altrimenti finiranno nello spam (non perdo neanche il tempo di cancellarmi dalla mailing list).

Prima di salutarmi mi ha chiesto se poteva fare una foro ai miei cani. E’ rimasta un po’ sorpresa quando le ho chiesto il motivo, ma da quando Diva e Donna mi ha paparazzato i cani prendendo una foto da questo blog per il giornale sono più sensibile alla privacy.

Mi ha risposto che è per pubblicare la foto sul loro profilo Instagram, ma che se non ero d’accordo non c’era problema. Quando le ho detto sì, mi ha chiesto se potevo far entrare nel campo visivo anche la borsetta con il logo Farmina.

Kali ha guardato in macchina, mentre quel vecchio brontolone di Fly si è girato dall’altra parte.

In sintesi:

- targettizzazione perfetta: tutti quelli che hanno un cane e solo quelli che hanno un cane.

- attivazione della relazione tramite un approccio personale emotivo (… a i cani ed i padroni dei cani) in cui l’azienda si spende nei confronti del target.

- integrazione dell’analogico con il digitale (e-mail)

- rafforzamento del rapporto personale con gli strumenti digitali (“guarda mamma il nostro cane è su Istagram”, vuoi non cliccare sul cuoricino?)

Se la borsetta fosse stata in plastica biodegradabile gli avrei dato 10!

Il (buon) marketing è sempre relazionale.

La scorsa settimana mi hanno contattato dalla Fondazione Edmund Mach per tenere una lezione sul marketing al prossimo corso in Wine Export Management il prossimo gennaio (grazie della rinnovata fiducia, mi piace pensare che sia dovuta al fatto che le lezioni tenute ai corsi passati sono piaciute).

Il programma di massima richiesto per la lezione è:

Principi di Marketing generale – Marketing strategico e operativo – Il Marketing relazionale. Specificità del mondo del vino.

Marketing Relazionale? Cos’è?

Dopo 25 anni che studio marketing e oltre 20 che lo pratico professionalmente in azienda, vengo sempre colto da un moto di stupore e curiosità quando mi imbatto in un termine/aspetto del marketing che non conosco.

In realtà del marketing relazionale avevo sentito parlare circa tre anni fa quando una mia ex collaboratrice dei tempi di Stock aveva assistito ad una interessante ed utile testimonianza aziendale di una grande cantina italiana sul marketing relazionale, tenutasi proprio alla Fondazione Mach.

Cosa si intende quindi per marketing relazionale?

Secondo wikipedia (mi raccomando fate anche voi la vostra donazione, visto quanto è utile):

Il marketing relazionale è quella branca del marketing che permette di accrescere il valore della relazione con il cliente attraverso la sua fidelizzazione.

Il marketing relazionale potrebbe essere descritto come la creazione, lo sviluppo, il mantenimento e l’ottimizzazione delle relazioni tra clienti ed azienda, basato sulla centralità del cliente. Rappresenta l’insieme dei processi di gestione della relazione con i clienti attraverso l’analisi delle sue informazioni. La relazione che viene stabilita tra i consumatori e l’azienda è una relazione one-to-one, un rapporto diretto tra il brand e il suo target.

A differenza del marketing tradizionale, infatti, il marketing relazionale non analizza ampi segmenti di consumatori, ma tende a interessarsi a target molto precisi, cercando di creare un filo diretto tra l’azienda e ogni singolo consumatore attraverso molteplici canali: dalla comunicazione web a quella telefonica (call center), la relazione tende ad essere bilaterale e permette alle aziende di conoscere in maniera approfondita i propri interlocutori.

Gli esperti in marketing relazionale studiano tutte le possibilità per generare una relazione continuativa tra consumatore e marca e, tendenzialmente, coinvolgono il target in programmi a lunga scadenza che offrono benefici immediati e senso di appartenenza ed esclusività che lega al brand. Ciò avviene attraverso la creazione di “Club”, programmi di caring, raccolte punti, concorsi a premio, member gets members, oppure attraverso benefit mirati o programmi di collection, intesi come accumulo di sconti restituiti al titolare in via posticipata o tradotti in buoni sconto o altro.

Il Marketing Relazionale nasce dall’evoluzione moderna del Marketing aziendale.

Per ottimizzare il Marketing Relazionale è necessario creare con la clientela una relazione di tipo personalizzato attraverso:

  • la conoscenza delle caratteristiche dei clienti, dei loro bisogni e delle loro preferenze;
  • creazione di fasce di utenza, in funzione delle loro caratteristiche
  • creazione di una comunicazione bilaterale
  • creazione di azioni mirate alle fasce di utenza
  • creazione di proposte mirate a seconda dei bisogni

Ora se questo è il marketing relazionale (si lo è) a me più che l’evoluzione del marketing aziendale sembra una tecnica di marketing e, senza sapere come si chiamava, è stata una delle prime che ho visto quando ho iniziato a lavorare in azienda.

Dico che è una tecnica perché non trovo differenze di approccio con la definizione del concetto di marketing formulata nel 1967 (!!!) dal Philip Kotler:

L’organizzazione che opera secondo il concetto di marketing persegue il raggiungimento dei propri obiettivi determinando i bisogni e desideri palesi o latenti dei propri mercati obiettivo e soddisfacendoli in modo più efficace ed efficiente rispetto ai concorrenti.

Qui dentro c’è in nuce il targeting (e quindi la segmentazione), il branding e, ovviamente, tutte le politiche del marketing mix che mi permetto di declinare secondo la mia definizione di marketing totale in prodotto, prezzo, presenza (alias distribuzione) e percezione (alias promo-pubblicità).

Portando il ragionamento teorico un passo indietro, utile (necessario?) per poi operare con successo, è bene ricordare che il marketing è sempre relazionale, indipendentemente che si operi a livello di segmenti di massa o di individui e di tutti i gradienti intermedi.

L’obiettivo generale del marketing infatti è sempre quello di ridurre la sostituibilità della propria marca rispetto a quelle concorrenti fornendo un servizio (nel senso ampio del termine) percepito come migliore dalle persone, nel senso di più rispondente alle proprie esigenze / aspirazioni.

Nel momento in cui la marca presenta una proposta alle persone si crea automaticamente una relazione tra questa e le persone che ne sono esposte.

E’ più forte la relazione creata dal positioning statement “Only the braves” della Diesel oppure la mail automatica di “Buon Compleanno” ricevuta dalla banca?

Se devo credere alla terminologia di cui sopra la campagna pubblicitaria Diesel è mass advertising mentre la mail della banca è marketing relazionale, però io sono straconvinto che il legame creato con le persone (clienti attuali o potenziali della marca) è più forte nel primo caso.

Il punto, come per la distinzione tra comunicazione above the line/below the line, è che il termine “marketing relazionale” come descritto da wikipedia è fuorviante perché non parte dal punto di vista del mercato, ma da quello dell’azienda. Delle modalità che adotta per operare.

Ricordare che il marketing è sempre relazionale invece è utile per guidare lo sviluppo di TUTTE le strategie e le tattiche realizzate dall’azienda. Aiuta a prendere coscienza che quello tutto quello che facciamo genererà un effetto sulla relazione tra le persone e la nostra marca (che potrà essere positivo o negativo).

Che poi la realizzazione operativa non è banale.

Dicevo all’inizio che una delle prime cose che ho visto quando ho cominciato a lavorare in azienda è stata un’iniziativa di marketing relazione.

La Levoni (spero di non svelare un segreto aziendale, son passati più di vent’anni) inviava a tutte le salumerie nuovi clienti un scatolina con dentro alcune biro, blocchetti da taschino, una vetrofania brandizzata per esporre l’orario di apertura del negozio, alcuni adesivi e vetrofanie con il marchio, ecc..

La scatola era accompagnata da una lettera firmata dall’Amministratore Delegato (firma autentica) che diceva in sintesi:

“La ringraziamo per la preferenza accordataci. Sarà nostro compito dimostrarLe ogni giorno che ci meritiamo la Sua fiducia. Per qualsiasi esigenza può contattare l’agente di zona o direttamente l’azienda al numero verde 800 …….. Ci permettiamo di inviarLe dei materiali che crediamo potranno esserLe utili nel Suo lavoro ed alcuni adesivi con il nostro marchio che, se vorrà, potrà esporre nel Suo negozio.

Le auguriamo buon lavoro e porgiamo cordiali saluti.”

Un’azione di grande efficacia nella creazione di un legame tra l’azienda ed il cliente ed apparentemente semplice da realizzare.

Ci crederete che non sono riuscito a replicarla in nessuna delle quattro aziende per cui ho lavorato nei vent’anni successivi?