Quale futuro per la pubblicità?

L’altro giorno mi hanno detto che sembro/sono presuntuoso. Storia vecchia. La cosa curiosa per me è che in ambito lavorativo questa valutazione (negativa) mi è stata data spesso da chi stava a livelli gerarchici superiori al mio, raramente da chi si trovava allo stesso livello e quasi mai da chi rispondeva a me più o meno direttamente (intendo sia colleghi che agenzie e consulenti).
Questa valutazione non derivava dal millantare del credito, bensì dall’atteggiamento professorale nella convinzione/certezza delle mie competenze, che ostacolava i rapporti con i colleghi. La conseguenza era un invito ad essere più terra-terra per rendermi più accessibile. E questa per me è la cosa più curiosa perchè non riesco ad immaginare niente di più presuntuoso e poco rispettoso delle persone che accondiscendere a semplificare il proprio comportamento per “abbassarsi” (lo metto tra virgolette perchè non condivido il concetto in assoluto) al loro livello.
Cosa c’entra questa (auto)analisi da dilettanti con il futuro della pubblicità? E’ che mi è successo troppe volte di vedere scartare delle campagne pubblicitarie con il giudizio: “E’ bella, ma il consumatore non la capirebbe” da non pensare che la pubblicità dovrebbe essere meno presuntuosa nel giudicare il proprio pubblico.
Metto un attimo da parte questo concetto, per riprenderlo dopo aver inserito il secondo spunto di queste mie riflessioni. L’altro giorno (è stato un giorno intenso) stavo parlando con un amico importante dirigente di un’importante agenzia italiana, parte di un importante gruppo pubblicitario multinazionale che ha fatto, sintetizzanto, questa riflessione:
“se la pubblicità lavora sull’orientamento delle preferenze rispetto alla scelte fatte dal consumatore ad un livello superiore in termini decisionali (vero n.d.a.) qual’è il suo ruolo in una scenario di drastica riduzione dei consumi?”.
Detto in altre parole più semplici (più vicine a quelle che ha usato lui) se lo scopo della pubblicità è quello di orientare le scelte dei consumatori verso l’automobile B piuttosto che all’automobile A, quale diventa il suo ruolo quando le persone smettono di acquistare le automobili?
E’ opinione comune che viviamo in tempi di cambiamento (l’aveva già detto Eraclito) e, secondo me, il modo migliore per affrontarli è tornare ai fondametali. E nel marketing i fondamentali resta Philip Kotler, il suo libro Marketing Management e le famose 4P.
Nell’impostazione kotleriana la pubblicità rientra nella “P” di promotion. Forse si è trattato di una scelta dettata dall’eleganza della solida coerenza insita nel concetto “4P” (“4P + 1A” di avertising non avrebbe avuto onestamente la stessa efficacia comunicativa) però credo che l’eleganza non sia mai casuale e l’estetica costruisca (almeno in parte) la propria etica.
Quindi parto dalla funzione di promotion, che Kotler divide in due macro strategie: quelle che forniscono incentivi all’aquisto e quelle che forniscono ragioni all’acquisto. Il tecnicismo di ricondurre gli incentivi all’acquisto alle attività di promozioni di vendita e le ragioni all’acquisto alle attività di comunicazione, ossia pubblicità, pubbliche relazioni ed argomentazioni di vendita utilizzate da un venditore nella vendita diretta ad un consumatore, non modifica le due funzioni che il concetto di “promotion” svolge nei confronti dei consumatori.
Il futuro della pubblicità quindi, secondo me, sta nell’assolvere l’una o l’altra funzione, fornire sia incentivi che ragioni all’acquisto, sempre secondo il classico paradigma del processo A.I.D.A.: attention-interest-desire-action
L’esempio tipico della pubblicità che fornisce incentivo all’acquisto sono gli spot di LIDL trasmessi la domenica per annunciare le promozioni in corso da lunedì. In questi casi i meccanismi sono piuttosto semplici e diretti perchè gli elementi di attenzione-interesse-desiderio-azione risiedono in grandissima parte sull’attrattività dell’offerta.
Fornire con successo ragioni all’acquisto è diventato invece sempre più difficile, sia perchè dal lato dell’offerta aumenta la sostituibilità tra prodotti di marche diverse (riduzione del contenuto innovativo), sia perchè la proliferazione dei media rende neccessario l’utilizzo di un sistema di comunicazione articolato su più fonti. Si è passati da una situazione in cui la pubblicità poteva tranquillamente esaurire tutta la strategia di comunicazione ad una in cui ne è, sempre più spesso, solo l’attivatore.
Ecco che in questo contesto l’eccessiva ricerca di semplificazione, per presunzione nei confronti del consumatore di cui sopra, rischia facilmente di trasformarsi in banalizzazione e quindi di non ottenere l’attenzione o di non suscitare poi l’interesse.
Come il futuro dei giornali di carta a poco a che vedere con il futuro del giornalismo, così il futuro della pubblicità ha poco a che vedere con il futuro delle agenzie pubblicitarie.
Ma per oggi carne al fuoco ce n’è a sufficienza e quindi lascio questo argomento per la prossima volta.

9 thoughts on “Quale futuro per la pubblicità?

  1. “Come il futuro dei giornali di carta a poco a che vedere con il futuro del giornalismo, così il futuro della pubblicità ha poco a che vedere con il futuro delle agenzie pubblicitarie”.
    E qui, caro Lorenzo, non sono molto d’accordo, anzi: sono convinto proprio del contrario. Il futuro della carta è strettamente legato al futuro dell’informazione, perché il declino della carta sta facendo saltare tutte le regole o, meglio ancora, le gerarche dell’informazione, dove si è passati da un numero ridotto di giornali che erogavano notizie a molte persone, ad un numero importante di media di informazione che si rivolgono a gruppi più piccoli e definiti. E dove a produrre le notizie non sono più i giornalisti, ma le persone.
    Allo stesso modo la crisi della pubblicità ha già fatto saltare tutti gli schemi e ci si interroga – tardivamente – sul ruolo delle agenzie.
    Avremo modo di riparlarne. Sicuramente a Venezia il 24 e 25 maggio prossimi, nel corso dell’assemblea nazionale TP.
    A presto
    diego illetterati

  2. Ciao Diego,intendo che il declino della pubblicità non implica il declino dell’agenzia pubblicitaria così come il declino dell’informazione su carta non implica il declino del produttore d’informazione. Come per il giornalismo, la partita si gioca sui contenuti più che sulla fonte.
    Ma questo sarà l’argomento del prossimo post.

  3. Sì, non avevo frainteso: ed è proprio su questo che secondo me c’è da discutere, perché quello che sta succedendo è che il declino della pubblicità – chiamiamola tradizionale – sta di fatto facendo venir meno il ruolo dell’agenzia di pubblicità. Un po’ come quando sono arrivati i centri media. Fino ad allora le agenzie gestivano le pianificazioni, oggi non più. E questo passaggio ha significato una rivoluzione nelle agenzie.
    Lo stesso dicasi per il declino della carta. Vedi se hai tempo il mio ultimo post proprio su questo argomento su http://www.illetterati.it.
    Ciao, diego

  4. Gianni ti ringrazio, ma la presunzione del capitano Achab non sta nel cacciare Moby Dick, bensì di prenderla. Ed è proprio questa sua presunzione che lo porta alla rovina. Cercherò di gestirla nella misura in cui posso e di conviverci in quella in cui non posso (e questa è nuovamente presunzione, sono incorreggibile).

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