La Brand Equity è come l’Araba Fenice: che vi sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa.

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Il concetto di “Brand Equity” è considerato, giustamente, uno dei più importanti in ambito aziendale perché descrive il valore il valore di una marca. La frequenza e l’enfasi con cui viene usato farebbe presupporre l’esistenza di una sua definizione chiara e, soprattutto, condivisa.

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Utilità e importanza del concetto di SUPERMARCA.

Oggi stavo preparando le lezioni sull’impostazione della marca per il Corso di Alta Specializzazione in Marketing Internazionale del Vino per la prossima settimana e quindi sono venuto sul blog a cercare il post sul concetto di supermarca.

Con mio grande stupore non ho trovato niente.

Lo stupore è duplice, sia perché ero convinto di aver scritto un post al riguardo sia perché ritengo il concetto di supermarca uno dei più utili ed interessanti tra quelli che ho sviluppato in tutti questi anni di ricerca e di professione.

Ho definito il concetto di supermarca nel 2005 o 2006 quando lavoravo come Direttore Marketing in Stock per avere un modello teorico che mi aiutasse a comprendere, e quindi gestire, meglio un fenomeno empirico che riguardava la Keglevich Vodka e Frutta.

Avevo osservato infatti che in seguito alle strategie di rilancio della marca iniziate nel 2001 le vendite continuavano a crescere, malgrado il declino della categoria.

Mi spiego meglio. Nei primi tre / quatto anni di realizzazione del nuovo piano di marketing, la quota di mercato di Keglevich Vodka e frutta era cresciuta perché le sue vendite erano cresciute più della crescita del mercato. Si trattava di una situazione abbastanza “normale” per cui la crescita del leader di mercato, Keglevich lo era con una quota del 44%, aveva avuto un effetto un effetto di trascinamento dei consumi di tutta la categoria merceologica di appartenenza.

Poi però la quota di Keglevich Vodka e Frutta aveva continuato a crescere perché le sue vendite in valore assoluto crescevano, mentre quelle della categoria calavano.

In altri termini l’andamento delle vendite di Keglevich Vodka e Frutta prescindevano e trascendevano da quelle della sua categoria merceologica (anche la quota della Keglevich bianca cresceva, quindi le sue vendite aumentavano più di quelle della categoria merceologica, che però era comunque in crescita).

Si trattava di un comportamento che mi ricordava quello del vermouth Martini: le vendite di vermouth erano in calo da almeno dieci anni e l’immagine del vermouth come categoria merceologica era assolutamente desueta, polverosa ed antiquata, ma il vermouth Martini continuava ad essere un prodotto di successo, con un percepito di contemporaneità, stile, ecc…

Il lavoro di posizionamento, e quindi differenziazione fatto sulla marca aveva di fatto staccato la percezione del (vermouth) Martini da quella del vermouth tout-court.

Ho immaginato che la stessa cosa stesse succedendo per la Keglevich Vodka e Frutta e l’ho dichiarata una supermarca all’interno dell’organizzazione aziendale, ossia anche nella percezione delle altre funzioni, quali vendite, produzione, acquisti, amministrazione, ecc…, e delle altre aziende del gruppo. Di conseguenza questa percezione si è trasferita anche ai clienti. Nei confronti dei consumatori questa presa di coscienza non era necessaria, perché loro ci erano già arrivati grazie alle attività di marketing che avevamo realizzato.

Ma quindi cos’è che fa di una marca una supermarca? Nella mia visione il fatto che il suo trend di vendita sia positivo ed in controtendenza rispetto alla sua categoria di appartenenza. Non basta quindi che sia leader e che aumenti la sua quota perché cala meno del mercato, deve crescere in valore assoluto all’interno di una categoria che diminuisce.

Da cui si conferma l’importanza di osservare anche gli andamenti dei valori assoluti dei diversi indicatori che misurano le performances di una marca (vendite in volume, valore, prezzo unitario, numero di clienti, ecc..) e non solo dei loro rapporti competitivi (quote di mercato, distruzione numerica e ponderata, ecc..)

Riconoscere che si ha in mano una supermarca è estremamente utile perché la sua gestione efficace richiede alcuni cambiamenti rispetto all’approccio classico:

  1. Il valore della quota di mercato come indicatore della salute della marca perde di rilevanza.

Se la supermarca trascende dalla propria categoria è evidente che la quota di mercato classica diventa un indicatore pericolosamente parziale per capire se la nostra supermarca si sta indebolendo o rafforzando rispetto al mercato più ampio in cui viene collocata dai consumatori. Per seguire lo sviluppo della nostra supermarca in quanto tale diventa quindi necessario allargare il mercato di riferimento su cui misurarne le performances.

 

  1. Va ridefinito il set competitivo.

La supermarca compete nella mente del consumatore con concorrenti che vanno al di là dei prodotti appartenenti alla categoria. Anzi è probabile che nel momento in cui diventa supermarca, la nostra marca non si confronti più con i prodotti della sua categoria.

La definizione del set competitivo corretto è cruciale per osservare e controllare le attività dei concorrenti e l’atteggiamento del mercato nei loro confronti.

Nel caso della Keglevich Vodka e Frutta io ho cominciato a confrontarla in due contesti: quello dei liquori e distillati nella loro totalità e quello dei “night spirits” come categoria creata ad hoc.

Nel mercato dei superalcolici esisteva già la categoria dei “white spirits”, basata sul colore e comprendente rum, vodka, gin e tequila. Quella dei “night spirits” invece era una categoria basata sull’atteggiamento del consumatore e le modalità di consumo che quindi oltre ai “white spirits” comprendeva anche, ad esempio, l’amaro Jegermeister.

  1. Lo scopo della marca va ampliato.

Per sviluppare e rafforzare una supermarca come tale, la visione dello scopo e posizionamento della marca che guida le strategie (di marketing) deve essere più ampio rispetto ad una marca “normale”. E’ proprio grazie a questa visione più ampia che le attività di marketing differenziano la marca non solo rispetto ai concorrenti “naturali”, ma anche alla categoria in generale.

La supermarca trascende così dai codici della categoria e si porta ad un livello superiore.

 

Quello sinteticamente descritto qui sopra è il percorso per gestire con efficacia ed efficienza una supermarca. E già questo è un bel risultato.

Ancora più bello però è riuscire a creare una supermarca.

Per farlo si può usare lo stesso percorso, seguito però in senso inverso. Partendo quindi dalla definizione della nostra marca che ne allarghi i confini, pianificando le relative strategie e costruendo gli strumenti di controllo in grado di guidarci ed orientarci nei nuovi territori.

Perché, come sempre, se vogliamo realizzare qualcosa dobbiamo prima immaginarlo.

3 modi per costruire una marca concorrenziale, risoluta ed irresistible.

D.A. Aaker

 

A pensarci bene credo che siano 3 i libri fondamentali per ilmio marketing. Fondamentali nel senso che tutto quello che ho letto/studiato/imparato dopo averli letti (ed anche qualcosa prima) si sono ancorati / appoggiati sulle fondamenta costruite con questi libri.

Sono tre libri che ho studiato nei miei corsi all’Università di Guelph – Ontario, oramai 25/26 anni fa.

- P. Kotler, R.E. Turner, Marketing Management, Prentice -Hall Canada, 1989.

- J.F. Engel, R.D. Blackwell, P.W. Miniard, Consumer behavior, The Dryden Press, 1990.

- D.A. Aaker, G.S. Day, Marketing Research, John Wiley & Sons, 1989.

Si tratta quindi libri ed autori ai quali sono particolarmente affezionato, con cui si è stabilito un rapporto speciale di stima (unidirezionale, ovviamente perchè, a parte Kotler, non li ho mai incontrati). E’ stato un po’ come quando all’università mi sono trovato come professore di Topografia e Costruzioni il Prof. Chiappini, che aveva scritto il libro di testo su cui avevo studiato alle superiori. Mi è sembrata una garanzia di qualità del corso ed anche un po’ di conoscerlo già.

Ecco perchè sono stato contento quando Aaker ha cominciato a pubblicare sulla rivista Marketing News dell’American Marketing Association i suoi articoli tratti/ispirati dal suo ultimo libro Aaker on Branding: 20 Principles to Drive Success.

L’ultimo articolo in ordine di tempo si intitola Three Ways to Build a Competitive, Compelling, Purposeful Brand, che da me tradotto in italiano è il titolo di questo post, e mi è sembrato particolarmente utile ed interessante.

Ecco la mia sintesi (riassunto e commento si diceva alle elementari).

Ci sono 3 tendenze che si stanno velocemente affermando nelle strategie e tattiche di creazione della marche (branding), trasversalmente praticamente in tutti i settori. Il successo futuro delle organizzazioni deriverà dalla loro capacità cavalcare queste onde piuttosto che nuotarci controcorrente.

La prima tendenza è lo spostamento della concorrenza dalle preferenze di marca alle sottocategorie di un settore.

La concorrenza basata su preferenze di marca è caratterizzata da innovazione incrementale, per cui la promessa della marca diventa “la mia marca è meglio della sua”.

La concorrenza basata su sottocategorie è caratterizzata da innovazione sostanziale, per cui la promessa della marca diventa “la mia marca ti offre qualcosa che non ha nessuno”. In questo senso l’offerta della marca può diventare un “must have”. Per non parlare sempre di Apple, un esempio nel settore dell’automobile è stata l’introduzione dei SUV o dei minivan. La marca crea una sottocategoria dove non ci sono (ancora) concorrenti rilevanti.

N.d.A., ossia mia: è un altro modo guardare al famoso concetto di Blue Ocean Strategy. Un modo che ha il vantaggio rispetto all’approccio economico-aziendale del testo di Kim e Mauborgne di fornire un approccio più efficace per perseguire l’identificazione / definizione / creazione degli “oceani blu” ex ante e non solamente a posteriori. E’ un po’ la stessa differenza che c’è secondo me tra Kotler e Porter.

In effetti Aaker prosegue indicando le implicazioni che questa detenza determina nella gestione dell’impresa e delle marche:

- spostare parte degli investimenti dalla ricerca di innovazione incrementale a quella di innovazione sostanziale.

- sviluppare la capacità e gli strumenti per riconoscere quali sono i (potenziali) “must have” e quali no (N.d.A.:ricerca di marketing se ci sei batti un colpo).

- diventare il leader di riferimento della nuova sottocategoria (N.d.A.: rapidamente perchè i plus sono destinati a diventare must per l’entrata nella sottocategoria dei concorrenti).

- la volontà e capacità di gestire sottocategorie piuttosto che marche (N.d.A.: pensando alle mie esperienze con Limoncè e, soprattutto, Keglevich io direi la visione di gestire sottocategorie)

- possedere la sottocategorie creando barriere all’entrata dei concorrenti.

 

La seconda tendenza è lo spostamento dal comunicare fatti relativi alla marca / offerta /azienda al creare “contenuti sweet-spot per il cliente”, contenuti che interessino e coinvolgano i clienti attuali e potenziali (N.d.t., sempre io: una traduzione decente di sweet-spot non l’ho trovata, quindi l’ho lasciato così).

Un contenuto generato / ispirato da uno sweet-spot del cliente rafforza la percezione della marca e genera molta più fiducia, credibilità ed autenticità rispetto alla miglior pubblicità.

N.d.A.: se volete è il vecchio caro concetto di comunicare i vantaggi che il cliente ottiene dal consumo della marca grazie alle sue caratteristiche e non fermarsi alle semplici caratteristiche, lasciando al cliente l’onere di capirne i (potenziali) vantaggi. Però più approfondito e calato nella realtà attuale dei “contenuti”. Nell’era digitale siamo tutti nell’attività editoriale, anche se facciamo biscotti, è il marketing totale bellezza.

 

La terza tendenza è quella che le mmarche devono avere / trovare / adottare uno scopo più ampio ed elevato rispetto al semplice battere la concorrenza sul mercato.

Ovviamente perchè questo scopo più ampio ed alto riesca ad avere un impatto all’interno ed all’esterno dell’organizzazione / marca deve essere vissuto in modo genuino e sostanziale.

Direi che per oggi abbiamo abbastanza food-for-thought