Migliorare la gestione del prezzo nelle offerte B2B.

Price is what you pay

Continuo con la lettura dei numeri vecchi di Marketing News e trovo un’interessante articolo sulla gestione del prezzo nelle offerte Business to Business, in pratica quelle rivolte agli intermediari commerciali e non al consumatore finale.

Nella stragrande maggioranza dei casi la negoziazione B2B è dominata dal fattore prezzo in termini monetari. In realtà il prezzo pagato è solo un elemento del valore che un prodotto ha per il cliente ed esserne coscienti aiuta le reti vendita dei produttori a condurre trattative migliori, senza appiattirsi per forza sul prezzo in stile suk.

Per farlo possono essere utili i risultati di una ricerca realizzata dalla Jones Graduate School of Business dell’Università di Rice, Houston-Texas su 8.000 clienti B2B negli USA.

Secondo questa ricerca il prezzo e la fatturazione contavano per il 9% del valore percepito dal cliente, il servizio e l’assistenza post vendita per il 34%, la qualità del prodotto/servizio per il 17% e la comunicazione per il 15%.

I venditori più esperti arrivano al prezzo alla fine della negoziazione, dopo aver presentato il valore / vantaggi che l’offerta implica per l’azienda cliente nel suo complesso. Quelli meno esperti partono subito dal prezzo, che diventa così il principale, se non l’unico, parametro di discussione.

Dalla ricerca emerge anche che la soddisfazione dei clienti è la stessa quando pagano un “prezzo giusto” di quando pagano il prezzo più basso possibile.

Ma qual è il “prezzo giusto”? E’ un prezzo che non si colloca agli estremi del settore, bensì vicino alla media (leggermente) sopra può andare e che abbia una struttura (listino, sconti, abbuoni, ecc…) facile da comprendere.

Per fare percepire il prezzo come “giusto” rispetto al valore che il prodotto/servizio ha per il cliente è importante anche valorizzarne tutte le componenti. Ossia dare un prezzo a tutte le componenti aggiuntive.

Un po’ quello che succede normalmente con gli optionals delle automobili. Poi nella trattativa si possono anche far rientrare nel prezzo “tutto compreso”, ma intanto i clienti avranno potuto quantificarne il valore che gli abbiamo dato.

Viceversa le caratteristiche / servizi aggiuntivi compresi nel prezzo verranno sottovalutati dal cliente e quindi non contribuiranno alla percezione del valore di quanto sta acquistando.

La ricerca evidenzia anche il ruolo cruciale che gioca il processo di fatturazione nel rapporto con i clienti. Questo è un fattore che non viene considerati quasi mai, ma è di fondamentale importanza per la soddisfazione complessiva.

Consideriamo poi che gli uffici / le persone coinvolte nel processo di fatturazione sono diverse da quelle che fanno le trattative commerciali, sia dalla parte del fornitore che da quella del cliente. Ossia sono persone che spesso non si conoscono personalmente.

Dall’altra parte quello della fatturazione è il canale di comunicazione periodico più frequente.

Voi magari direte che una fattura è una fattura, però io le ho viste le fatture dove si faticava per capire il senso delle diverse voci.

Una bella fattura è riporta in modo chiaro e trasparente tutte le voci, le relative quantità, prezzi, ecc… ed è accurata nelle diverse voci, nel senso che non ci sono errori nelle voci indicate (prezzi, sconti, date, ecc) così da non costringere il cliente a dover fare un eccessivo lavoro per controllarla e/o richiedere correzioni.

Una bella fattura, esagerando, è quella che ti fa piacere pagare. E questo porta il vantaggio aggiuntivo di abbreviare i tempi di pagamento.

OK, il prezzo è giusto per ciascheduno (e quindi la vita diventa più cara)!

Lo scorso 7 settembre nel mio post “Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) 4: le politiche di prezzo”, teorizzavo un futuro in cui il prezzo comme lo conosciamo oggi non esisterà più, sostituito da transazioni individuali per ogni specifica trattativa.

Come spesso succede alle previsioni nell’era digitale, il futuro arriva molto più velocemente del previsto: nel numero 1096 dell’Internazionale trovo un articolo dal titolo “Prezzi su misura” che spiega come l’utilizzo della profilazione degli acquisti dei clienti attraverso le carte fedeltà o l’identificazione tramite login stia portando alla diffusione di offerte personalizzate.

Secondo l’articolo negli USA il 5% dei prezzi è già personalizzato ed oltre metà delle catene distributive stanno lavorando su progetti di price intelligence.

L’esempio europeo è quello di una start up tedesca la So1 (Segment of 1) secondo la quale 3 spese in 4 settimane sono sufficienti a fare una stima sul singolo consumatore. La sperimentazione in atto nella catena di supermercati tedeschi Kaiser’s prevede la presenza di totem all’ingresso dei punti vendita che stampano le offerte personalizzate “strisciando” la carta fedeltà, sviluppate da un algoritmo sulla base degli acquisti passati. Nella definizione dell’Amministratore Delegato della So1, la carta fedeltà non è altro che un cookie materiale (terminologia che la dice lunga sulla rilevanza che sta acquistando l’universo virtuale su quello materiale nell’era digitale).

Concepire la carta fedeltà come un cookie, forse ha facilitato il concetto di collegarla ad un numero cliente anonimo (come fosse un indirizzo IP) che, a sua volta, ha probabilmente influenzato l’accettazione della nuova carta da parte dei clienti della catena.

L’articolo poi cita altri esempi come quello del software Xtify dell’IBM, la quantità di informazioni sui comportamenti dei propri clienti raccolte dalle catene di supermercati svizzeri Migros e Coop oppure che circa la metà dei clienti della catena di supermercati Safeways utilizza già un’applicazione che propone sconti specifici basati sugli acquisti precedenti del consumatore. E’ evidente che stampare un buono con gli sconti specifici da un totem sul punto vendita oppure riceverlo sullo smartphone è un puro tecnicismo che non cambia nè il concetto nè la sua applicabilità.

In realtà l’utilizzo dei comportamenti di acquisto passati per disegnare le offerte future è una cosa piuttosto vecchia.

Credo che fosse il 2005 o il 2006 quando, tra i primi in Italia, abbiamo utilizzato il circuito che Catalina Marketing aveva da poco realizzato in diverse catene della GDO (ricordo che l’ufficio erano 3 stanze a pianoterra di un anonimo palazzo di appartamenti milanese)

Il sistema funzionava, e forse funziona ancora, così: se al passaggio allo scanner delle casse sullo scontrino si trovava un determinato prodotto, un’apposita stampante posizionata di fianco alla cassa stampava uno sconto specifico per un determinato prodotto definito al mommento della campagna promozionale.

Lo strumento poteva essere utilizzato per romperè la fedeltà ai prodotti concorrenti, aumentare la fedeltà al proprio, per effettuare delle vendite incrociate oppure per il reclutamento di nuovi consumatori.

Esempio 1, rottura della fedeltà alla marca: il consumatore ha acquistato una bottiglia di brandy Vecchia Romagna? Riceve un buono sconto per l’acquisto di Stock 84.

Esempio 2, aumento della fedeltà alla marca: il consumatore ha acquistato una bottiglia di Limoncè? Riceve uno sconto per l’acquisto di un’altra bottiglia.

Esempio 3, vendita incrociata: il consumatore ha acquistato una bottiglia di Limoncè? Riceve un buono sconto per l’acquisto di una bottiglia di Keglevich Vodka.

Esempio 4, reclutamento consumatori: il consumatore ha acquistato una vaschetta di gelato (al limone)? Riceve un buono sconto per l’acquisto di una bottiglia di Limoncè (in base all’analisi dei panieri di consumo che aveva individuato una associazione tra i due prodotti).

Il vantaggio di questo sistema era l’assoluta libertà nella scelta dei prodotti da utilizzare nelle promozioni (l’unico vincolo pratico era la loro effettiva presenza sugli scaffali del punto vendita).

Lo svantaggio era che la stampa del buono (o dei buoni) successiva all’acquisto riduceva il loro tasso di utilizzo, soprattutto per i prodotti a bassa frequenza di acquisto.

Qualche mese dopo l’inizio dell’attività di Catalina Marketing in Italia, ricordo che una catena (Bennet? Auchan? Carrefour? Chissà) aveva realizzato un test in alcuni dei propri supermercati con un sistema di totem, sostanzialmente equivalente a quello utilizzato oggi da Kaiser’s. Perchè la cosa non si sia consolidata, non lo so. Forse il concetto era troppo avanzato per la tecnologia del tempo.

Ma torniamo ai giorni nostri. Per l’Amministratore Delegato della So1 l’adozione di una politica di prezzi personalizzati (di fatto è questo che fanno le promozioni personalizzate) porta ad una situazione di Pareto efficenza in cui tutti traggono dei vantaggi: il produttore aumenta i fatturati, il cliente ottiene sconti per prodotti che gli interessano ed il negozio aumenta la propria marginalità.

Io dubito che ci possa essere un cambiamento nel funzionamento dei mercati che porta, anche in misura diversa, vantaggi a tre categorie di soggetti economici che hanno tra loro interessi contrapposti.

Dal punto di vista del produttore, vedo difficile che le offerte personalizzate portino ad una espasione complessiva dei consumi. E’ invece ipotizzabile una situazione vicina alla somma zero, per cui se aumentano le vendite della Coca Cola, diminuiranno quelle dalle Pepsi Cola e viceversa. Mi andrà bene una volta, ma magari quella dopo sarò “vittima” della reazione del concorrente.

In termini competitivi infatti la capacità di mirare la scontistica per singolo prodotto/consumatore è un formidabile distruttore di fedeltà alla marca. E quindi può essere utilizzato solo come strumento di breve periodo mentre nel medio lungo per difendersi dalla reazione dei concorrenti (che hanno accesso ai mmedesimi strumenti) si rafforza la necessità per le marche di mantenere un posizionamento differenziante attraverso l’innovazione ed evitare così la “commoditizzazione”. Non importa se l’innovazione è di prodotto, di servizio, di comunicazione o di qualsiasi altra cosa: l’importante è mantenersi sempre un passo (anche piccolo) più avanti (a destra, sinistra, sopra, sotto) rispetto ai concorrenti. Soprattutto nei confronti dei produttori di prodotti “genereci” e/o marche dell’insegna che competono principalmente sul vantaggio di costo e quindi di prezzo.

L’evoluzione logica del prezzo/promozioni personalizzati è la scomparsa/riduzione del prezzo/promozioni generalizzate. Per il consumatore questo si traduce per forza in un’aumento complessivo del suo paniere di acquisto. Personalizzando i prezzi il negozio riesce ad avvicinarsi al prezzo massimo che ogni persona è disposto a pagare per un determinato prodotto in un determinato momento, mentre oggi i prezzi sono fissati in base ad una stima della cifra media che un determinato segmento di consumatori è disposto a pagare per un determinato prodotto, in qualsiasi momento (o comunque in intervalli temporali molto ampi).

Ora, poichè per definizione, nessuno acquista prodotti che hanno un prezzo superiore a quello massimo che è disposto a pagare, oggi la maggior parte dei nostri acquisti avviene ad un prezzo inferiore rispetto al valore massimo che attribuiamo al quel prodotto (in termini scientifici la nostra utilità marginale nel consumo del prodotto e superiore al suo prezzo).

L’esempio diventa più chiaro se pensiamo a tutte le volte in cui compriamo in offerta un prodotto che avremmo acquistato ugualmente a prezzo pieno. Oppure se consideriamo il comportamento tipico della massima comoditizzazione per cui il consumatore che all’interno di una categoria merceologica (pesce, carne, frutta, succhi di frutta, pasta, ecc…) compra sempre il prodotto in offerta (ce ne sono sempre almeno un paio), tanto qualitativamente sono tutti uguali.

Nel sistema delle promozioni personalizzate questo possibilità di scegliere i prodotti più convenienti, intesi come quelli con la massima differenza tra il valore soggettivo attribuito dalla singola persona ed il prezzo, non c’è più. Quindi, ripeto, la conseguenza è l’aumento del costo complessivo del paniere dei beni acquistati.

Concludo con una problematica di natura macroeconomica che mi sembra nascere dalla personalizzazione dei prezzi (che comunque è già un pezzo di presente e sarà il futuro): la stima dell’indice dei prezzi.

Già oggi, secondo me, nel calcolo del PIL c’è il problema della sostanziale gratuità di moltissimi prodotti/servizi digitali e/o della loro riduzione di prezzo dovuta al progresso tecnologico (legge di Moore) senza che diminuisca l’utilità che ne ricavano le persone (motivo per cui non condivido tutta questa preoccupazione per l’eventuale deflazione, indicatore sostanzialmente monetario).

E’ possibile ottenere un indice dei prezzi che rispecchi effettivamente i prezzi pagati dalla persone in una situazione di generalizzazione della personalizzazione di prezzo?

Considerando l’importanza che ha questo indicatore nelle decisioni di politica economica, quali saranno gli effetti di decisioni basati su un indice distorto rispetto alla realtà?

Il mondo basato sull’individuo sta correndo, il mondo come società saprà raggiungerlo o è destinato a sparire?

Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) 4: le politiche di prezzo.

In questi giorni mentre pensavo a questo post (Daniele mi ha messo pressione) la domanda che mi è venuta spontanea è stata: nel 2024 esisterà ancora il prezzo?

Non è stato il frutto di nessun raginamento razionale, è stata semplicemente la mia reazione istintiva, di pancia se volete, a cercare di immaginare come saranno le politiche di prezzo nel 2024.

Forse nasce dal fatto che il prezzo è la funzione di marketing messa più sotto pressione dall’avvento della società digitale. Non bastavano i discount, gli outlet, i category killer, le offerte last minute e le aste on line: adesso ci si sono messi anche i siti comparatori.

Da ricerche di un anno e mezzo fa (un’eternità al giorno d’oggi) risultava che il 50% delle persone intenzionate a fare un acquisto via internet cominciava la ricerca da un sito comparatore di prezzo. Da lì poi approfondiva le caratteristiche dei prodotti che riteneve più interessanti. Un esempio che tutti conosciamo sono i siti per la ricerca di biglietti aerei, ma con la crescita del e-commerce sono sorti un po’ in tutte le categorie merceologiche.

La combinazione di crescente commoditizzazione e crescente capacità di calcolo (che permette la rapidità e semplicità di raccolta e trasmissione delle informazioni) sta facendo diventare il prezzo l’ekemento di partenza nelle scelte d’acquisto delle persone (non fatevi ingannare dalla crisi economica che ha solo accellerato un processo già in atto e riscontrabile anche i paesi con economia in crescita).

Nel marketing del 2024 sarà sostanzialmente impossibile tenere separati i mercati con prezzi diversi. Sia che si tratti di mercati diversi dal punto di vista geografico, sia che si tratti di segmenti di mercato diversi nello stesso territorio.

Dubito che la strategia di prevedere prezzi diversi per prodotti con minime differenze, talvolta solo di packaging, avrà ancora diritto di cittadinanza nel mercato del 2024.

Le aziende produttrici quindi dovranno essere estremamente disciplinate nella gestione del prezzi applicati ai loro clienti perchè eventuali discriminazioni si paleseranno rapidamente, con i conseguenti problemi di confusione di coerenza delle strategie e dell’immagine in generale e dei rapporti con i clienti in particolare.

Questo significa che prezzi all’origine diversi saranno ammessi solamente se legati a situazioni effettivamente diverse in termini di condizioni di consegna, di quantitativo acquistato, di momento dell’acquisto, ecc ….

Un concetto di uniformità che sviluppato all’estremo porta ad un risultato apparentemente opposto: ogni transazione sarà oggeto di una specifica trattativa. Forse è questa la scomparsa del prezzo come riferimento stabile che conosciamo che ho immaginato all’inizio del post?

L’unica alternativa è avere contemporaneamente una marca/prodotto così da forte/innovativa da avere pochi o nessun sostituto ed un controllo diretto dei canali distributivi.

So che citare la Apple è banale, ma non posso farci niente. Come sanno quelli che sono andati negli USA, un prodotto Apple che in Europa viene venduto a 100 euro, in USA viene venduto a 100 dollari. Di fatto la Apple ha un suo tasso di cambio interno dollaro/euro di 1 a 1, quindi in Europa vende circa il 30% più caro. Pur con tutta la forza della marca, come ci riescano per me rimane comunque un mistero e sarò curioso di vedere se e come ci riusciranno in futuro.

Magari seguendo la strategia delle griffe della moda che oramai si stanno sviluppando ad un modello di distribuzione basato esclusivamente sui negozi monomarca e/o proprio e-commerce.

L’altra tendenza futura delle politiche di prezzo sarà quella del prezzo all’uso, collegata allo spostamento dal possesso all’uso dei prodotti. Bisognerà però che i prezzi d’uso diventino più concorrenziali nella percezione dei consumatori. Per fare questo si può operare riducendo i prezzo oppure aumentando il valore percepito, magari aumentando la tangibilità dei vantaggi derivanti dall’uso in confronto con il possesso.

10 euro al mese per avere Microsoft Office sono un prezzo giusto? E 69 euro all’anno? Qual’è il valore rispetto al pacchetto gratuito Open Office?

Perchè poi alla base di ogni previsione sul futuro del prezzo non si può prescindere dalla sostanziale gratutità di internet.

Allora chiudo come ho iniziato: nel 2024 esisterà ancora il prezzo?