L’Italia negli USA è talmente di moda che sono trendy persino le bocce; figuriamoci il Prosecco.

Nelle ultime tre settimane sono stato in Russia (Mosca) e USA (Chicago e Philadelphia).

L’impressione che ho avuto è stata molto diversa, ma evito considerazioni sulla Russia sia perchè mi sono mosso poco, sia perchè ragionando di vino italiano la mia visione rischia di essere distorta dal trend disastroso del cambio rublo/euro (devestante abbinato anche al calo generale del PIL russo).

Tutto altro ambiente negli USA dove è palpabile non solo la ripresa economica, ma anche il ritorno della ricerca ed esibizione, se non ostentazione, del lusso. Nei vini questo si sta significando una ripresa dei rossi californiani “bordolesi” di alta gamma e dei Bordeaux di gamma media ed alta.

L’altra cosa che mi ha colpito è quanto l’Italia e l’italianità siano sempre più di moda. La pubblicità di questo locale di Chicago mi ha lasciato a bocca aperta, perchè se diventano di moda persino le bocce ….. tutto diventa possibile.

Pinstripes chicago

Mi immagino questi hipsters millennials (ossia persone tra i 21 e 35 anni) che discutono “sboccio o vado al pallino?” sorseggiando Prosecco.

Già perchè l’altra notizia sorprendente riguardo agli USa è che il consumo di Prosecco nel 2014 è cresciuto di un 30%, superando le di champagne non solo in litri ma anche in dollari.

Notizia che in realtà non è poi così sorprendente per i lettori attenti di biscomarketing visto che nel 2012 ho pubblicato il post “Quale futuro per il prosecco negli USA” che sintetizzava i risultati di una ricerca commissionata da Bosco Viticultori e resa pubblica in occasione del Vinitaly. Nel post trovate il link alla ricerca su slideshare, consiglio di leggerla perchè è ancora attuale e fornisce indicazioni interessanti su quello che potrà essere l’ulteriore sviluppo del Prosecco negli USA e come sostenerlo / realizzarlo.

Riguardo al Prosecco, alcune persone mi hanno chiesto di commentare la notizia che in Veneto mancherebbero 1.500 / 2.000 ettari di vigneto rispetto a quanto previsto.

Non lo farò perchè io sono un analista rigoroso, a volte feroce, ma non sono un polemista ed in questo caso mancano dati ufficiali e certi.

I dati di vendemmia pubblicati da Valoritalia si fermano al 2012 (???!!!) e comunque la produzione di uva non batte con quella rilevata dalla Regione Veneto.

D’altra parte la Regione Veneto nei dati che comunica annualmente in occasione della chiusura della campagna vendemmiale identifica la produzione di uve atte a Prosecco DOC, ma rileva la superficie coltivata a glera tutta insieme (DOC e non DOC). Questo impedisce stime affidabili sulla produzione di uva per ettaro dei vigneti di Prosecco DOC.

Attendo quindi dei dati certi per fare dei ragionamenti che abbiano basi solide. Per il momento mi limito a constatare che la produzione di uva rilevata dalla Regione Veneto applicata alla nuova stima di 15.000 ha di vigneto di Prosecco porta a rese/ettaro nel 2013 e 2014 di 173 q.li. Si tratta di un valore inferiore al massimo di 180 q.li/ha previsti dal disciplinare e quindi compatibile e credibile. Per fare una prova provata nel senso galileiano del termine (provare e ri-provare), sarebbe da verificare il peso dei vigneti di secondo e terzo anno e di quelli a biologico (che hanno produzioni inferiori), piuttosto che cercare giustificazioni nella stagione piovosa.

Ricordo che nel mio (eterno) post “Per soddisfare la domanda mancano almeno altri 100.000 hl di Prosecco DOC vendemmia 2013″ dello scorso 29 giugno già segnalavo che nei numeri della produzione per ha c’era qualcosa che non tornava e che la disponibilità di Prosecco DOC 2014 sarebbe stata insufficiente a soddisfare un aumento della domanda. Anche qui consiglio di andare a rileggerlo, magari saltando le parti relative ai conteggi, perchè credo che contenga indicazioni ancora oggi utili.

Concludo chiedendo(mi) se alla luce delle difficoltà di operare con dati solidi ed affidabili che ha evidenziato il “caso Prosecco” si creda davvero di poter “governare” la istituenda DOC del Pinot Grigio delle Venezie, con copertura su tre regioni. Quanto meno credo sia doveroso un approfondimento di analisi e magari di allargamento della discussione.

 

Ineedcoffee di Lavazza: opportunità e problemi della comunicazione nell’era digitale.

Doverosa premessa: questo spot non è stato sponsorizzato da Lavazza (ben triste per l’informazione in generale e per il blogging in particolare doverlo specificare, ma così è).

Nelle migliori tradizioni di biscomarketing analizzo la campagna Ineedcoffee di Lavazza con un buon mese di ritardo dalla sua conclusione (a meno che non riparta) perchè mi è sembrata una cosa ben fatta e quindi sono particolarmente interessanti i problemi irrisolti collegati.

Non è che in rete si trovi granchè che spieghi la campagna nella sua articolazione. Vedo di ricostruirla per esperienza diretta.

In primavera estate Lavazza ha lanciato con una campagna radio di sponsorizzazione del programma del Trio Medusa su radio Dee Jay la campagna #Ineedcoffee sul concetto della necessità di un caffè per iniziare la giornata ed invitando a condividere sui social i propri momenti #Ineedcoffee.

Probabilmente la campagna è stata lanciata anche sui social networks, ma io non l’ho vista (e questo è strano). Forse la comunicazione ha coinvolto altri programmi di radio Dee Jay o altri mezzi, ma io non l’ho vista nè sentita (se qualcuno ha maggiori infomazioni, prego commentare ed integrare).

Ad un certo punto Lavazza ha analizzato i luoghi da cui provenivano le interazioni sui social network ad ha scoperto, direi sorprendentemente, che la città dove (in proporzione?) c’era più bisogno di un caffè era Portogruaro in provincia di Venezia.

Quindi ha realizzato un evento Ineedcoffee Portogruaro edition, il cui video è stato pubblicato su youtube.

Perchè mi è piaciuta, marketingamente parlando, questa campagna?

1. Nell’era digitale la separazione on e off line non esiste: vedo ancora moltissime campagne di comunicazione basate esclusivamente sui social network, come se il mezzo facesse il messaggio. E’ almeno 10 anni che non è più così. Ricordo nel 2005 che le interazioni al sito “Your Fun” Keglevich erano del tutto indipendenti ai flight della campagna radio, ma era appunto il 2005. Oggi la scelta di ridursi solamente ai social/web può essere dettata solamente da limiti di budget, non dai target (che fino almeno ai 60 anni sono multimedia) nè dal tono (che può e deve essere declinato sui diversi mezzi).

2. La cosa più difficile in una campagna che punta a coinvolgere le persone sui social media è stimolare effettivamente un’azione (call to action volendo parlare come quelli veri). Esiste il grande rischio di ritrovarsi senza niente, ovvero con profili social pieni di aggiornamenti di stato e commenti palesemente finti. Tristezza. Lavazza ha ovviato a tutto questo organizzando (prevedendo) l’evento sul territorio. Che i commenti/interazioni fossero 100.000, 1.000, 100 o 10 comunque ci sarebbe stata una conclusione eclatante e notiziabile.

3. Il taglio popolare della campagna. Che non significa nazionalpopolare, ma vicino alle persone reali, senza elitismi e snobismi. L’esemplificazione di quello che intendo è la scelta di servire ai partecipanti all’evento di Portogruaro il caffè fatto con la moka, per un prodotto ed un momento di consumo per cui sembrava esistessero oramai solo le capsule.

Come caso di studio però sono forse ancora più interessanti i problemi collegati alla campagna:

Credibilità: non è questione di essere malfidenti, ma Portogruaro suona molto strano. Abbiamo già visto gli spot finti di Telecom e PIF (tu quoque) sui milioni di passioni degli italiani. Qualche dettaglio in più su come è stata fatta l’analisi non avrebbe guastato. Se invece il risultato è stato pilotato, mi complimento per la scelta di una cittadina di Provincia in termini di originalità e quindi notiziabilità da una parte e coinvolgimento dell’audience dall’altra, ma questa è un’altra storia.

Genericità: con l’eccesso di comunicazione che contraddistingue l’era digitale trovare una frase allo stesso tempo memorabile ed originale sta diventando estremamente difficile. Ineedcoffee è un messaggio estremamente efficace per la marca, però è già di uso comune. Su fb ci sono tre pagine e nessuna è collegata all’iniziativa, su twitter ed istagram i post sono innumerevoli legati ai contesti più diversi. Vero che questo in teoria rappresenta un’opportunità per l’azienda di appropriarsi di un modo di dire già diffuso e conosciuto, ma temo che per farlo ci vogliano investimenti in comunicazione troppo elevati per rendere questa opportunità concreta.

Mi rendo conto che in parte sono pensieri buttati lì, ma dopo 8 anni e 439 post pubblicati ricominciare quest’anno è un po’ più dura del solito (ma la mia equitazione migliora)

Faccio anch’io una call to action ai miei lettori::io metto gli spunti, lo svolgimento fatelo voi .