Non c’è crisi nei vini del Nordest.

Summer school 2019

Lo scorso 26 luglio alla Fondazione Campus di Portogruaro si è tenuta una tavola rotonda sulle prospettive dei vini del Triveneto.

Era anche la “lezione” conclusiva della Summer School “Marketing e Distribuzione dei Vini del Nordest”, organizzata dalla business school MIB di Trieste sotto la direzione di Pierpaolo Penco in collaborazione con la fondazione Campus. (disclaimer: ho partecipato al corso come docente della parte di marketing strategico)

Una tavola rotonda di altissimo livello a cominciare dal Direttore del Corriere Vinicolo Giulio Somma nel ruolo di moderatore e che prevedeva la presenza di:

  • Valerio Fuson, Vice Presidente del Consorzio Prosecco Conegliano Valdobbiadene.
  • Ettore Nicoletto, Presidente del Consorzio del Lugana.
  • Pietro Biscontin, Vice Presidente del Consorzio delle DOC del Friuli Venezia Giulia.
  • Stefano Zanette, Presidente del Consorzio del Prosecco DOC.
  • Albino Armani, Presidente del Consorzio del Pinot Grigio delle Venezie DOC.

Purtroppo all’ultimo momento Armani non è riuscito ad arrivare, comunque anche così al tavolo della Biblioteca Storica erano rappresentate poco meno di 1 miliardo di bottiglie.

La ragione per cui ci fossero solo una decina di persone tra il pubblico, allievi, docenti ed organizzatori del corso a parte, per me rimane un mistero, considerando la densità di operatori ed aziende viti-vinicole in zona.

Per quelli che avrebbero voluto esserci, ma non hanno potuto ecco la mia sintesi delle cose più salienti che sono emerse da una discussione che non è stata per nulla “politica”, ma fattiva, aperta e concreta.

Prima però un doveroso ringraziamento a Raffaele Foglia, che per primo ha fortemente voluto questo corso a Portogruaro e poi ha lavorato sodo perché si potesse realizzare.

 

I vini triveneti vanno bene e quindi è necessario gestirne il successo.

Il primo stimolo dato da Somma è stata l’analisi delle misure di controllo della produzione che tutti i Consorzi veneti hanno adottato nelle ultime settimane.

Tutti i presenti hanno smentito che si tratti di misure necessarie per affrontare una crisi di mercato.

Il Conegliano Valdobbiadene negli ultimi due anni ha rallentato sui mercati esteri, ma ha recuperato su quello nazionale.

Il Lugana continua a crescere a due cifre ed ha un prezzo a scaffale che supera gli 8 euro (oltre il doppio della media dei vini bianchi)

Il Friuli Venezia Giulia non ha adottato nessuna misura limitativa della produzione per le sue DOC storiche, mentre ovviamente è coinvolto in quelle del Prosecco DOC e del Pinot Grigio Delle Venezie per i vigneti che ricadono in queste denominazioni.

Il Prosecco DOC sta crescendo anche quest’anno del 6% e l’accantonamento del 16% della produzione (quindi meno del 20% che si accantonava solo pochi anni fa quando è nata la denominazione) risponde ad un approccio prudenziale legato alle turbolenze geopolitiche che si annunciano sullo scenario economico mondiale (leggi Brexit e dazi USA).

E comunque anche se il prezzo del vino sfuso andasse ad 1,50 euro/litro, anche con la resa ridotta a 112,5 hl/ha, si ottiene una Produzione Lorda Vendibile di 16.875 euro/ha, un valore che mi pare tutt’altro che critico (N.d.A.).

Gli interventi di controllo della produzione (accantonamento di parte della vendemmia e blocco degli impianti di nuovi vigneti) da parte dei Consorzi rispondono quindi alla necessità di gestire questo successo.

Il rischio che si vuole evitare è che un aumento incontrollato della produzione di questi vini che attualmente permettono ai produttori una redditività maggiore rispetto agli altri, per non parlare di attività agricole diverse dalla viticoltura, porti ad un eccesso di offerta, con conseguente calo dei prezzi.

Io condivido la diagnosi, ma la vedo in molto diverso riguardo alla terapia. Chi volesse approfondire può leggere il mio post uscito su Vinix la scorsa settimana.

 

Il Prosecco è diventato un grande marchio mondiale ed il comparto ne sta prendendo consapevolezza.

Spesso ci si rende conto del proprio valore attraverso la valutazione che gli altri fanno di noi.

Zanette raccontava che gli è successo due volte nel corso degli ultimi mesi.

La prima volta nell’incontro con la Dorna, la società spagnola che gestisce i diritti del MotoGP, in occasione della firma del contratto di sponsorizzazione che legherà il Prosecco DOC al MotoGP nel triennio 2019-2021.

Andare a trattare un accordo con chi gestisce uno dei grandi eventi dello sport mondiale metteva un po’ di soggezione, salvo poi scoprire come i dirigenti della Dorna considerassero già il Prosecco come un marchio di pari, sinergico a quello del moto GP (l’omissione della specifica “DOC” dopo “Prosecco” è voluta)

La seconda volta ad una cena (se ho capito bene) in cui partecipava il Presidente del Syndacat General de Vignerons de La Champagne Vignerons, quando chiaccherando è venuto fuori che la percezione complessiva del Prosecco era superiore a quella dello Champagne in tutti i mercati (meno uno) in cui avevano realizzato una ricerca che analizzava l’atteggiamento del consumatore.

La cosa può sembrare strana gurdata da un punto di vista enologico-produttivo, ma è assolutamente comprensibile, e perfino logica, se si ragiona in termini di servizi offerti (benefits) per il consumatore.

In tutte le ricerche che ho fatto o che mi è capitato di vedere risultava chiaramente come il Prosecco sia più “simpatico” dello Champagne (per dirlo in estremissima sintesi) e che per questo non si trovava sotto, ma di fianco. Mentre gli altri spumanti metodo classico si trovano nell’ambito dello Champagne, però al di sotto (anche perché consciamente o inconsciamente si posizionano sempre riferendosi allo Champagne), il Prosecco è una cosa diversa, che vive e si muove in un territorio proprio.

La relativa scelta del Syndacat General de Vignerons de La Champagne di lanciare in Francia nel 2018 una campagna pubblicitaria da 12 milioni di euro in tre anni per svecchiare e democratizzare lo spirito dello champagne, mi lascia personalmente abbastanza perplesso. Mi stupisce ancora di più il fatto che i Vignerons possano fare una campagna che cita lo champagne tout-court, e quindi incide sul posizionamento di tutta la denominazione, senza l’accordo delle altre componenti del sistema, come le grandi Maisons. Ma questi sono problemi dei francesi e possiamo tranquillamente lasciarli a loro.

Noi godiamoci la notizia della presa di coscienza da parte del comparto che il Prosecco (DOC) del valore raggiunto dal marchio, perché questa è la condizione necessaria perché tutti si convincano della necessità di gestirlo come il grande marchio mondiale che è.

L’altro bella notizia portata da Zanette è che gli Stati Uniti sono diventati il primo mercato a valore del Prosecco DOC, superando il Regno Unito. E speriamo che la minaccia dei dazi di Trump sia meno pericolosa del Brexit duro portato avanti da Johnson (cosa dite, saranno i capelli?).

 

Quale rapporto tra marchio consortile e marche aziendale?

La domanda di Somma è stata per me di grande interessa, poichè avevo specificatamente affronatato questo argomento durante la mia lezione.

Ettore Nicoletto ha aperto il giro di tavolo, esprimendo la propria convinzione di come la presenza di forti marche aziendali sia fondamentale per lo sviluppo di un marchio consortile.

Stefano Zanette ha auspicato maggiore impegno da parte delle cantine nel promuovere le proprie marche, così da non lasciare al solo Consorzio l’onere di diffondere e difendere la notorietà del Prosecco (DOC). Allo stesso tempo ha segnalato come marche aziendali troppo forti possano portare a strategie che le separano dal marchio della denominazione.

Una situazione che si osserva ad esempio in Friuli Venezia Giulia ed anche per questo Pietro Biscontin si è detto sempre più convinto della necessità che la DOC del Friuli Venezia Giulia debba intensificare le proprie azioni per affermarsi sui mercati. Magari sfruttando la popolarità di cui sta godendo negli ultimi anni la Ribolla Gialla facendolo diventare il vino emblematico della regione, capitalizzando il lavoro svolto da pionieri come Collavini o Gravner.

Aspetti sintetizzati dalla diapositiva tratta dalla mia presentazione dove sono messe a confronto tre diverse bottiglie di Pinot Grigio.

MIB Summer School vino del nordest 2019

Nella prima a sinistra si evidenzia solamente il marchio consortile. E’ il Pinot Grigio venduto nei punti vendita di ALDI. Non c’è bisogno nemmeno di un marchio di fantasia, che andrebbe inutilmente ad indebolire la forza comunicativa della DOC. Esigenze di differenziarsi dalla concorrenza non ce ne sono, perché la catena tiene in assortimento solamente i vini che fa produrre per sé. Il marchio dell’insegna guida la scelta del punto vendita, l’assortimento in termini di varietà, qualità intrinseca dei prodotti e prezzo determina la soddisfazione dei consumatori.

Quella al centro è il Pinot Grigio Valdadige DOC di Santa Margherita. Qui la marca aziendale prevale sul vitigno e sulla denominazione. Quest’ultima però rimane bene evidente e crea una sinergia per cui i tre elementi marca aziendale-vitigno-denominazione si rafforzano a vicenda.

L’ultima a destra è il Pinot Grigio di Livio Felluga. E’ un Colli Orientali DOC, ma questa indicazione viene riportata solamente in retro-etichetta. Su quella frontale, la principale per la comunicazione al consumatore si vedono solo la marca aziendale ed il vitigno. La marca aziendale prevale talmente tanto sulla denominazione, da farla sparire.

 

Due questioni irrisolte: le strategie di valorizzazione ed i livelli di prezzo dei vini sfusi.

In realtà la prima più che irrisolta, è una questione che non è stata affrontata. A parte ricordare come la maggior parte dei Consorzi dispongano di un budget limitato per questo tipo di attività.

Eppure è una questione cruciale nel momento in cui si adottano misure di limitazione della produzione. Se una cantina viene a trovarsi in una situazione in cui la produzione superano le vendite (o anche solo prevede che possa succedere) la prima cosa che fa è intensificare le proprie azioni per trovare nuovi sbocchi sul mercato.

Ricordo la dialettica che si instaurava sempre durante la preparazione del budget per l’anno successivo tra direzione generale, amministrazione, marketing e vendite in tutte le aziende dove ho lavorato . Le dinamiche aziendali portano le diverse funzioni a sviluppare il budget in contemporanea, ma i colleghi delle vendite chiedevano, giustamente, di conoscere prima gli investimenti e le strategie di marketing per poter fare delle previsioni accurate.

Quella del livello dei prezzi dei vini sfusi è stata invece affrontata in seguito ad una mia domanda che, confesso sinceramente, non volevo fare (ma poi non ho resistito).

Non volevo farla sia per evitare di fare la solita figura del rompi…scatole, sia perché immaginavo già la risposta che puntualmente è arrivata rendendo inutile la domanda.

La risposta unanime è stata che l’attuale regolamentazione sulla concorrenza impedisce ai Consorzi di dichiarare un obiettivo di prezzo, finanche un intervallo, del vino sfuso DOC.

Io per fortuna non faccio il Presidente di Consorzio e posso dire questa normativa mi sembra una grandiosa stupidaggine nel momento in cui si autorizzano i Consorzi ad adottare misure di controllo della produzione, che sono quanto di più limitante alla libera concorrenza si possa immaginare.

Attenzione: non sto discutendo la facoltà dei Consorzi di gestire l’offerta della Denominazione. Sto dicendo che farlo senza permettergli di indicare il prezzo del vino sfuso DOC a cui puntano con queste iniziative è nascondersi dietro un dito.

Evidentemente i Consorzi questo prezzo obiettivo ce l’hanno. Non poterlo indicare rende meno efficace la loro azione e più difficile il lavoro degli operatori coinvolti nella filiera. Dal viticoltore fino allo scaffale passando per imbottigliatori, agenti, grossisti, buyers della GDO, ristoratori, enotecari, ecc.

 

… e il Pinot Grigio DOC delle Venezie?

Vista purtroppo l’assenza di Albino Armani, il contributo di discussione relativo a questa Denominazione lo prendiamo dal lavoro svolto dagli allievi della Summer School.

Il corso infatti prevedeva una parte teorica ed una parte pratica, con la realizzazione di una strategie di sviluppo dei marchi su determinati mercati esteri.

I marchi scelti sono stati il Prosecco (con libertà ai partecipanti di scegliere se focalizzarsi su una specifica denominazione oppure sul “sistema della marca Prosecco”), la Ribolla Gialla, l’Amarone ed il Pinot Grigio.

La prima esercitazione pratica ha riguardato la definizione della personalità della marca, punto di partenza irrinunciabile per sviluppare strategie efficaci ed efficienti.

Per farlo gli allievi hanno utilizzato il modello che utilizzo per le mie consulenze (la struttura di base l’ho presa dallo studio Minale di Londra, un bravissimo designer con cui ho spesso lavorato in passato, affinandola poi in dieci anni di lavoro in azienda).

Questo è stato il risultato:

Personalità PG Venezie Summer School 2019

Un’ eccellente base di partenza per il successivo sviluppo delle strategie operative sui mercati realizzato sotto la guida di Andrea Carpi

Quali sono state? Non è che posso raccontarvi proprio tutto tutto …

Summer School sul vino del nord-est a Portogruaro.

portogruaro campus 1
La vendemmia 2019 si avvicina, ma poi il vino bisogna venderlo! Per capire come farlo meglio il MIB Trieste Business School insieme alla Fondazione Campus ed al Comune di Portogruaro organizzano la prima Summer School su “Marketing e distribuzione dei vini del nord-est”.
5 giornate a tempo pieno dal 22 al 26 di luglio.
Spoiler: tra i docenti ci sono anch’io.
Qui il link per info e iscrizioni.

Segmentare, targhettizzare, posizionare ai tempi del marketing totale.

Giovedì e venerdì ho tenuto due lezioni su “L’impostazione del brand” al Corso di Alta Specializzazione in Marketing Internazionale del Vino organizzato a Firenze da Wine Job.

Siccome in questo ultimo paio d’anni mi sono reso conto che ho la tendenza ad affrontare le tematiche di marketing sempre da un punto di partenza piuttosto avanzato, nel preparare le lezioni sono andato a riprendere gli appunti del primo corso di gestione del marketing che ho insegnato nel lontanissimo 1992 (24 anni fa! Brividi!).

La cosa è stata utile ed anche interessante: mi sono reso conto che in questi anni ho acquistato in esperienza, e forse, in profondità, ma ho perso in chiarezza e rigore.

Ad ogni modo le lezioni mi sembra siano andate bene (poi diranno gli allievi con la loro valutazione). Quindi ho fatto un salto sulla sedia quando oggi leggendo Marketing News ho trovato l’articolo dove l’emerito professor Schultz dichiarava sorpassato il modello STP, ovvero Segmenting, Targeting e Positioning.

Roba vecchia secondo lui, innanzitutto perché si tratta di concetti definiti tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso (maledetti rottamatori, continuano a venir fuori dove meno te li aspetti).

Ohibò, mi sono detto, vuoi vedere che ho insegnato delle cose che valgono più? Proprio io, che mi sono inventato il concetto del Marketing Totale proprio per avere un quadro teorico per guidare la gestione di marketing nell’era digitale?

Poi ho continuato a leggere e mi sono reso conto che io ed il Prof. Schultz diciamo cose molto simili, solo che io continuo ad usare i vecchi termini (reintepretati) mentre lui ne usa di nuovi.

Poco importante in questo caso, mentre importa quello che diciamo. Ecco quindi quello che dico io (se volete leggere quello che dice lui iscrivetevi all’American Marketing Association, o almeno registratevi nel sito).

 

Il positioning oggi viene cronologicamente prima del segmenting e del targeting.

Il posizionamento di una marca era, è e rimarrà quello che la marca rappresenta nella testa delle persone.

Quello che è cambiato rispetto agli anni ’70 è che si è passati da un mercato in cui le marche andavano alla ricerca dei consumatori ad un mercato, oggi, in cui sono i consumatori a trovare le marche.

Allora la definizione del posizionamento da parte dell’azienda (operativamente la definizione del positioning statement) non si fa dopo positioning e targeting sulla base delle aspettative (presunte) dei mercati obiettivo, ma si fa PRIMA sulla base dell’identità aziendale.

L’autenticità infatti è cruciale per farsi trovare dalle persone nei posti e nei momenti giusti” ed ancor di più per soddisfare in modo credibile e quindi durevole.

Però, come mi ha chiesto uno studente, se il posizionamento reale è quello che dà il consumatore, perché parlo della necessità da parte dell’azienda di definire il proprio posizionamento come DEL pilastro su cui poggia tutta l’attività di marketing?

Perché l’obiettivo ideale, e quindi mai realizzato al 100%, è quello che la percezione della marca che abbiamo noi azienda che la marca la “facciamo” e quella che hanno le persone che la usano, corrispondano.

 

La segmentazione per essere efficace DEVE partire sempre dal comportamento delle persone, idealmente dai benefits (servizi) che cercano nell’uso dei prodotti.

Le persone consumano sempre servizi, più o meno incorporati in prodotti fisici.

Sono i desideri/bisogni che vogliono soddisfare a determinare i servizi che ricercano in un prodotto e quindi quali sono i prodotti concorrenti.

Dai benefici attesi deriveranno in larga misura le occasioni, le modalità, i livelli d’uso e l’atteggiamento nei confronti della marca/prodotto.

Sarà quindi il grado di omogeneità nei confronti di uno o più di questi parametri a costituire la base su cui definire un segmento.

Bisognerà poi vedere se oltre alla volontà di acquistare/consumare, i segmenti individuati posseggono anche la capacità, innanzitutto economica, di consumare. In altri termini se hanno una rilevanza economica sufficiente rispetto alla struttura ed agli obiettivi aziendali.

Se c’è questa rilevanza economica, per rendere operativo il segmento passando al targeting è necessario trovare i modi per accedervi in termini di comunicazione e/o vendita. E l’accessibilità di un segmento viene ancora determinata in buona parte dalle caratteristiche geografiche, demografiche e psicografiche delle persone che lo compongono.

 

Il targeting oggi riguarda principalmente i modi con cui ci si rivolge ai segmenti, mentre i contenuti (di fondo) sono legati all’identità della marca (e quindi al positioning a priori).

Il targeting è la globalità delle azioni con cui la marca si rivolge ai segmenti individuati. Per questo da un po’ di tempo io preferisco utilizzare il termine audiences invece di target markets

Il complesso di azioni riguarda tutto le attività del marketing mix: prodotto, prezzo, presenza (accezione che prende la P di Place nell’approccio del Marketing Totale) e percezione (accezione che prende la P di Promotion nell’approccio del Marketing Totale).

Non commettiamo ancora il classico errore di considerare marketing=comunicazione (o peggio ancora pubblicità).

Perché il targeting sia efficace, le strategie devono riuscire a far comprendere l’identità della marca alle audiences alle quali si vuole rivolgere.

La realizzazione delle strategie riguarderà quindi soprattutto le modalità verbali, visuali o reali con cui la marca si rivolge (o si fa trovare, è quasi la stessa cosa) alle audiences.

Viceversa riguarderà solo limitatamente i contenuti fondanti del concetto della marca. Al massimo potrà selezionare tra i diversi contenuti che la definiscono quali sono più interessanti / comprensibili per le diverse audiences.

Sempre avendo ben presente il rischio di incoerenza oppure di banalizzazione, che porta alla perdita di credibilità.

E’ per questo che le marche sono tanto più solide quanto più larga è la loro personalità.

 

Qui mi fermo perché il post è già abbastanza lungo e, soprattutto, è già abbastanza tardi. Se qualche concetto non vi è chiaro perché non è stato sviscerato abbastanza, cercate nel blog e troverete almeno un post specifico dedicato alla maggior parte degli argomenti di oggi.

Sono aperte le iscrizioni alle lezioni di biscomarketing: quando la formazione si unisce alla consulenza (condividete please).

Un (bel) po’ di tempo fa un lettore del blog mi chiese se facevo corsi di marketing, perche’ avrebbe voluto partecipare.

Magari era l’unico interessato a sentire cosa ho da dire di persona, ma e’ anche da questo spunto che ho deciso di provare ad organizzare dei corsi di biscomarketing.

Le competenze di matketing le ho e l’esperienza di formazione fatta tra Italia, Canada ed Uruguay pure.

Pero’ non voglio fare le solite lezioni “frontali” che trattano un unico argomento alla volta. Voglio fare qualcosa di diverso, utile e divertente, unendo formazione e consulenza.

La lezione di biscomarketing sara’ una giornata in cui ogni (azienda) partecipante portera’ una sua questione di marketing, che sara’ discussa da tutta la Classe sotto la mia guida. Dal caso particolare ai principi generali

I vantaggi di questa formula sono almeno 2:

1) i partecipanti torneranno a casa con indicazioni operative (strategiche e/o tattiche) su loro situazioni concrete.

2) i partecipanti vivranno in prima persona il processo di analisi e sviluppo delle soluzioni di marketing, che e’ la cosa piu’ importante dal punto di vista formativo, ossia del miglioramento della capacita’ di risolvere con efficienza, efficacia e creativita’ le problematiche di marketing. Il marketing infatti e’ una scienza analitica piu’ che deterministica: non ci sono soluzioni generali per i diversi specifici problemi che si presentano di volta in volta ma ci sono metodi di analisi che permettono di trovare ogni volta le soluzioni specifiche piu’ adeguate.

Le lezioni avranno minimo 3 partecipanti e massimo 5. La localita’ sara’ decisa in base alla provenienza dei partecipanti e la data in base alle loro agende.

Per ogni caso/azienda potranno partecipare massimo 2 persone, con un costo di inscrizione ridotto per la seconda.

Chi fosse interessato mi contatti alla mail lorenzo.biscontin@biscomarketing.it.

Accorrete!

Novembre mese dei seminari sul marketing agro-alimentare: Università Roma Tor Vergata e Winejob.

Questa settimana segnalo due seminari relativi al marketing enogastronomico dove credo valga la pena di partecipare (a Roma so già che non potrò andare per motivi sia logistici che di impegni di lavoro,a San Michele all’Adige forse riesco a farci una scappata).

II EDIZIONE SEMINARIO “FOOD, WINE AND CO. Comunicazione e Marketing degli eventi eno-gastronomici”
Due giorni per approfondire insieme l’efficacia del gusto e il sapore della comunicazione.
Università degli Studi di Roma Tor Vergata

4° Seminario Internazionale di Marketing del Vino – 8 novembre 2013
Fondazione Edmund Mach -Via E. Mach, 1 – 38010 S. Michele all’Adige (TN)
WineJob – Via G. Bovio, 19 – 50136 Firenze

Due momenti dove si potrà magari anche capire/discutere se e come ha ragione Farinetti con il suo obiettivo di raddoppiare l’export italiano di prodotti agroalimentari.