Loacker: dai maestri del wafer, l’innovazione di prodotto …… monoprodotto.

Saranno quasi quarant’anni da quando ho mangiato i miei primi wafer Loacker.

Da quella volta non ne ho mai mangiati altri, semplicemente perchè i wafer Loacker sono (o mi sono sempre sembrati) nettamente i più buoni sul mercato.

Con l’età ho smesso di mangiare wafer, ma non di mangiare snack dolci (una volta dicevo che uno degli elementi caratterizzanti le società occidentali è la pornografia; credo si possa aggiungere il perdurare dei comportamenti adolescenziali, vedi facebook, anche se probabilmente la prima è conseguenza dei secondi).

Ho quindi ripreso a mangiare prodotti Loacker quando l’azienda ha lanciato sul mercato le tortine. Da qualche mese sugli scaffali del mio supermercato di fiducia sono apparse le barrette choco& milk cereals, che ho subito provato.

Essendo anche queste molto buone, sono diventate una presenza costante nel mio frigo (lo so che la cioccolata in frigo è una barbarie sensoriale, però non è che stiamo parlando di napoliten da degustazione).

Ecco la prova.

Loacker

Poi l’altro giorno mangiando una barretta mi sono reso conto che non è altro che una base di wafer Loacker “vestita”. Lo stesso vale per le tortine. Ed è per questo che sono così buone.

Ossia che il dominio della maestria nella produzione del miglior wafer permette alla Loacker di fare innovazione di prodotto, nel senso di proporre qualcosa che attira e soddisfa diversi segmenti di persone e diverse occasioni/momenti di consumo, rimanendo sostanzialmmente un’azienda “monoprodotto” (alla fine sempre wafer sono).

O per dirla in altro modo: the excellence pursuer succeeds for ever. I miei più sinceri complimenti.

Nota 1: lo stimolo a provare “automaticamente” i nuovi prodotti da parte dei consumatori è uno dei principali valori della reputazione di una marca. E quando dico valori intendo la parola nel suo significato monetario, perchè la prova generata dalla fiducia nella marca implica un considerevole risparmio in attività promo-pubblicitarie, noncè una accellerazione delle rotazioni. Doppio effetto: meno costi e più ricavi. Dubito però che questo valore sia monetizzabile da tutte le analisi che si realizzano attualmente per misurare il ROI di marketing (o ROMI: return on marketing investment) ed a cui vengono subordinate le decisioni sugli investimenti di marketing.

Nota 2: ovviamente questo post NON è un post sponsorizzato. Se l’avete pensato, lavatevi la bocca con l’aceto come quando si dicevano le parolacce.

 

Nutella B-ready, ovvero il marketing è la scienza dell’ovvio.

La storia del marketing è piena di strategie apparentemente ovvie. Dico apparentemente perchè l’ovvietà diventa chiara a posteriori, solo dopo che qualcuno ha avuto la capacità di vedere (e dare) dare un senso (logico) in una serie di elementi che erano già sotto gli occhi di tutti.

Questo per dire che le cose che sembrano ovvie a posteriori non lo erano in precedenza. Tra l’altro ci vuole una buona dose di coraggio e di umiltà “manageriale” per fidarsi dell’efficacia delle cose semplici e scontate.

Una caratteristica che spesso contraddistingue i bravi ed i forti, quindi non soprende che questa capacità si ritrovi spesso nelle strategie di Ferrero.

Direi che tra le cose apparentemente ovvie rientra anche il nuovo prodotto “Nutella B-ready” visto ieri nel mio supermercato di fiducia.

espositore Nutella B-ready 1

Espositore Nutella B-ready 2

Dopo aver comunicato per anni la bontà della semplicità di “pane e Nutella”, adesso Ferrero lo fornisce già fatto, pronto per essere portato e mangiato dove si vuole.

E’ una merenda o è uno snack? C’è differenza? La cialda sarà buona come il pane “vero”? Punta a coprire un target ampio dai bambini ai giovani adulti oppure rafforzare la penetrazione ed il consumo di Nutella in un target più limitato?

Immagino siano tutte domande a cui in Ferrero si sono risposti con le dovute ricerche.

Quello che noto io guardando da fuori è che sposta ulteriormente in avanti il livello di contenuto di servizio richiesto o desiderato dal consumatore. In teoria farsi un “pane e Nutella” è una delle cose più semplici che ci siano, se però penso alla struttura delle giornate delle persone mi rendo conto della quantità di situazioni in cui un “pane e Nutella” ci può star bene, ma mettere insieme una fetta di pane, un coltello e la Nutella non è così semplice.

L’altra cosa che noto è la “monetizzazione” della brand equity, ovvero del valore della marca. La costruzione e l’accrescimento della brand equity è uno dei principali risultati delle strategie di marketing, ma è anche un concetto che rimane in buona misura intangibile nell’azienda in funzionamento (diverso in caso dell’azienda in vendita). Di conseguenza una delle principali voci positive del ROMI (return on marketing investment) è raramente o parzialmente misurata.

In questo caso Ferrero utilizza, giustamente, l’equity del marchio Nutella per lanciare un nuovo prodotto senza il bisogno di un sostegno di comunicazione.

Ferrero non è nuova a questo approccio nel lancio dei nuovi prodotti, basta pensare a quanto fatto a suo tempo con Gran Soleil.

Il vantaggio di questi lanci “soft” è che permettono di decidere di allocare un budget di comunicazione anche parecchio tempo dopo l’introduzione del prodotto sul mercato, in base al successo o meno di vendita. Immagine che dal punto di vista produttivo questo permetta anche di gestire con più gradualità l’utilizzo delle linee di produzione destinate al nuovo prodotto.

La pre-condizione per il successo di un lancio “lento” è l’elevato grado di innovatività del prodotto dal punto di vista produttivo-tecnologico, che evita il rischio di essere copiati e sorpassati dai concorrenti.

In questo caso il livello di innovatività è dato sia dal prodotto in sè che dalla brand equity, nel senso che anche se il “Mulino Bianco” facesse i “Flauti” al cioccolato, non sarebbero comunque i “Flauti” alla Nutella.

Unica nota che non mi convince del tutto è il nome, che mi sembra allo stesso tempo ovvio e farraginoso, con quel B-ready che vuole dire sia “pane” che “pronto”, e foneticamente poco invogliante.

Magari la prossima settimana oltre a fotografarlo lo compro pure, così faccio l’assaggio, che rimane la prova più importante per ogni prodotto alimentare.

 

Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) 3: le politiche di prodotto.

Continuo ad ipotizzare il futuro del marketing secondo me e mantengo l’approccio kotleriano classico delle 4 P, cominciando dal Prodotto.

La prima considerazione è che sempre di piu’ nel futuro non ci sara’ spazio per i prodotti le cui performances non mantengono la loro promessa base.

Diventa quindi cruciale identificare qual’e’ il servizio che i clienti ricercano nell’utilizzo del prodotto. Ricordo, visto che il post dove lo spiegavo è sparito dal blog, che quello che acquistano i consumatori sono i benefici, ossia i servizi, che derivano dall’utilizzo delle caratteristiche di un prodotto e non le caratteristiche in sè e per sè. In sintesi nessuno compra mai prodotti, tutti comprano sempre servizi, incorporati o meno all’interno di un prodotto fisico.

Questo concetto è fondamentale perchè è quello che permette di identificare i nuovi potenziali concorrenti che possono arrivare da settori produttivi diversi da quello in cui si opera, fornendo soluzioni agli stessi problemi del consumatore con un prodotto (tecnologia) diversa.

E’ il concetto per cui se un marito/compagno vuole fare un regalo importante alla moglie/compagna (o viceversa: bisocmarketing promuove la parità tra i generi) le crociere sono in concorrenza con i gioielli.

Il concetto è particolarmente utile guardando al futuro poichè nel lungo periodo possono sorgere più facilmente nuove tecnologie per la fornitura degli stessi servizi.

La diffusione globale del progresso tecnologico, che migliora le performances del prodotto anche nei paesi con basso costo di manodopera, renderà possibile accontentare le aspettative crescenti dei consumatori. Il risultato sarà che per un prodotto, saper svolgere adeguatamente, anche in termini di durata, la funzione per cui e’ stato pensato sara’ un must, non piu’ un vantaggio competitivo.

I PLUS competitivi secondo me saranno altri e saranno legati principalmente all’evoluzione della societa’ in senso individuale (se anche individualista, lo lascio dire a voi).

1) Personalizzazione in serie: se volete un altro modo di esprimere il concetto del prodotto su misura per ogni cliente. Pero’ con efficenza industriale per ridurre i costi rispetto al processo artigianale.

E’ la strada gia’ intrapresa dall’industria dell’automobile con il moltiplicarsi delle opzioni tra cui poter scegliere (poi pero’ i tempi di attesa sono lunghi) e che diventera’ un vantaggio competitivo in tutti i settori.

Basta pensare al potenziale delle stampanti 3D, anche in settori di largo consumo come l’alimentare.

2) Estetica: dubito che le persone siano e saranno disposte a pagare di piu’ per un prodotto dalle performances equivalenti, solo piu’ bello.

Sicuramente pero’ tra due prodotti si performances equivalenti e prezzo uguale, sceglieranno quello piu’ bello.

L’estetica, intesa anche come comunicazione visuale, sara’ poi sempre piu’ anche un sottolineatore e rafforzatore della qualita’ intrinseca del prodotto.

Il narcisismo e’ figlio dell’individualismo.

3) Semplicita’ d’uso: un po’ per naturale pigrizia, un po’ per la crescente incompetenza, la capacita’ di un prodotto di semplificarci la vita sara’ sempre piu’ apprezzata.

Che sia la macchina che si parcheggia da sola, il telefonino che si sblocca con l’impronta digitale (massimo dell’individualita’) oppure la bottiglia di vino con il tappo a vite, l’estensione dei servizi offerti dal prodotto ne aumenta il valore.

Nota bene che la crescente incompentenza non e’ un giudizio di merito, e’ un dato di fatto generato dal continuo e rapido progresso tecnologico (che tra l’altro riduce/impedisce il trasferimento di competenze tra le generazioni).

4) Assistenza: è la medesima logica del punto precedento.

Quanto piu’ la vita si fa individuale e tanto piu’ si apprezzera’/pretendera’ l’aiuto da parte delle marche a cui abbiamo dato la nostra preferenza ed i nostri soldi.

5) Utilizzo vs. possesso: lo so che il concetto non è nuovo, ma fino ad oggi si è trattato soprattutto di episodi amplificati dai media.

Nel futuro, man mano che la proprietà degli oggetti diventerà più “faticosa” ed inefficente in termini finanziari, logistici, ecc…, la capacità di offrire un utilizzo pratico (ossia flessibile nel tempo e nello spazio) costituirà un vantaggio competitivo.

6) Parsimonia: in realtà non so se questa tendenza durerà fino al 2024 o si esaurirà prima. Quello che è certo è che c’è ancora troppo spreco in molti prodotti per caratteristiche che non aggiungono valore rispetto ai servizi ricercati, o utilizzati, dai consumatori.

La competizione che spinge a contenere i costi e l’attenzione alla eco-compatibilità da parte delle persone, premierà le aziende che sapranno operare con parsimonia.

 

La logica di fondo è sempre quella: pensare a come migliorare la vita delle persone.

Learning from the leaders: AIA dakota e mangiata!

E’ da un po’ che ho in testa un post sulle campagne a cui sono stati fatti piccoli aggiustamenti per cercare di ovviera alla loro debolezza strutturale, ma che continuano a non potersi vedere/sentire ed in più hanno perso il piccolo vantaggio della ripetitività.
Però più passano gli anni e più mi viene da pensare al mio karma, quindi lascio da parte le negatività (per la cronaca le campagane che ho in mente sono conad, Negroni Negronetto, Poltrone e Sofà e Citroen) e scriverò invece di una strategia fatta bene: il lancio della slasiccia Dakota di AIA.

Conviene ricordare che AIA con Wudy ha creato il segmento del wurstel di pollo, riuscendo ad avere spesso un doppio display, sia nel reparto pollame che nel reparto wurstel. A conferma che l’innovazione quando è sostanziale riesce sempre a trovare un suo spazio (non solo metaforico).

Questo per dire che l’azienda ha una solida esperienza e competenza di innovazione di successo, che si conferma con il lancio da manuale della nuova salsiccia Dakota:

Dakota AIA

dakota AIA 2

Target (presunto): ovviemente non posso conoscere i piani di AIA, ma considerando che con Wudy già presidiano il target dei bambini e visto il resto della strategia, immagino che l’obiettivo fosse quello di rafforzarsi nel target maschile più adulto, diciamo dagli adolescenti in su.

Prodotto: tecnicamente la salsiccia è un wurstel macinato più grosso (ricetta a parte). Però la salsiccia è anche un prodotto tipico della salumeria di tutte le regioni italiane (cosa che non vale per il wurstel), quindi ha un vissuto più genuino, vero e tipico. In una parola più adulto.

Nome e claim: anche se il claim della campagna non appare sulla confezione (e questo è forse l’unico, piccolo, errore della strategia), credo sia giusto trattarli insieme, vista la pressione pubblicitaria. Dakota rimanda all’America, quindi nuovamente ad un mondo di particolare appeal per quel target adolescente raffigurato anche nello spot (c’è di meglio, ma non l’ho trovato). Un’analisi più approfondita dal punto di vista semantico (che condivido solo in parte, ma non mi rovinerò il karma proprio adesso) la trovate nel blog di Linda Liguori. Aggiungo solo che dai tempi di Keglevich una ricerca fatta con la Naming dimostrava la forza iconica (ossia semiotica) oltre che semnatica della lettera “K” e che la cosa più intelligente mi sembra il collegamento nel claim al “Cotto e Mangiato” diventato familiare ai consumatori grazie/a causa di Benedetta Parodi. L’utilizzo di concetto che rientrano nel frame of reference delle persone si dimostra sempre efficiace quando, come in questo caso, si evita la scopiazzatura.

Packaging: fin dal 1999 le ricerche dicevano che, soprattutto nell’alimentare i consumatori vogliono vedere il prodotto (questo stesso concetto è quello che ha portato le cucine a vista nella ristorazione di alto livello). Il packaging di Dakota porta questo concetto all’estremo mettendo il marchio sul lato trasparente della confezione ed utilizzando la parte colortata per le informazioni nutrizionali e di utilizzo del prodotto. in pratica hanno capovolto la confezione. Qeullo che si perde in attrattività (il marchio appare meno ricco) si guadagna in autenticità e credibilità, già elevata grazie alla garanzia della firma AIA. Da sottolineare anche l’evidenziazione del bnefit “Novità”, soprattutto considerando il target presunto, e qualità premium, che si rivolge al target degli acquirenti, mamme, piuttosto che a quello dei consumatori.
Sull’altro lato una grafica scarna e chiara spiega come preparare la salsiccia con i diversi “strumenti” di cottura, informazioni oramai fondamentali per la gran parte dei consumatori e indispensabili nel caso la mamma non sia in casa. L’aggettivo “scarna” per la grafica non va letto in senso negativo: a me sembra un eccellente esempio di barebone marketing che trasmette un percepito di concretezza e risparmio.

Campagna pubblicitaria: visto che non trova in rete i vari spot non mi dilungo. Sottolineo l’intelligenza dello spot da 10 secondi che si concentra sul benefit principale della cottura in 2 minuti (manca il claim, peccato). Negli spot più lunghi il benefit della rapidità rimane centrale, aggiungendo però la presenza del target di consumo, ragazzi, e di acquisto/preparazione, mamma. Anche se non si vede la mamma è comunque un elemento chiave dello spot, viene quindi coinvolta nelle scelte alimentari della sua famiglia, anzi è lei che cucina. Questo significa (auto)rassicurazione e gratificazione.

Prezzo: la prima volta che si acquista un prodotto è la fase in cui un cosumatore pone la massima attenzione al prezzo. AIA ha laforza di controllare il prezzo a scaffale dei suoi prodotti e quindi è stata in grado di seguire la classica strategia del prezzo di lancio, che favorisce la prova senza sposizionare il prodotto. Oltre al merito di saper comunque tenere la barra a dritta, all’azienda va anche il merito di adottare uno sconto del 50%, immagino in considerazione della difficile situazione economica di una ampia fascia di consumatori. Sarà interessante vedere se dopo la fase di lancio riusciranno a consolidare il (presunto) prezzo normale.

E la comunicazione social: 3.625 mi piace su fb sono un po’ pochi (anche se fossero tutti veri), però mi chiedo: ha un ruolo così importante per il lancio/successo di un prodotto come questo?