Finalmente ho capito perché la Grande Distribuzione Organizzata fatica a creare valore (differenziante) per i propri clienti.

Io la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) la frequento, ovviamente, da cliente/consumatore e l’ho frequentata da fornitore. Ho avuto colleghi e collaboratori che avevano lavorato come buyers per catene di livello nazionale, ma personalmente non sono mai stato “dall’altra parte della scrivania”.

Da esperto di marketing mi è sempre sembrato che le strategie della GDO del largo consumo (super ed iper mercati per capirsi), fossero sempre piuttosto nel targettizare, differenziare e qualificare la proposta rispetto alle insegne concorrenti.

Quando assistevo o conducevo trattative come fornitore rimanevo sempre un po’ stupito dalla comune impostazione tipo suk (senza però la gentilezza dei mercanti arabi) perché mi è sempre sembrata una logica che IMPEDISCE di lavorare per migliorare il business, tanto del fornitore come dell’insegna cliente.

Ovviamente secondo il mio connaturato approccio di marketing il miglioramento del business si ottiene attraverso la creazione di valore per le persone (consumatori).

Non è caso che il periodo in cui rapportarsi con la GDO mi è sembrato più proficuo, e sicuramente più divertente, è stato quando negli uffici acquisti delle catene ai category manager è stato dato maggior peso rispetto ai buyers nelle trattative con i fornitori.

Si è trattato però di un periodo di breve durata, 2 o 3 anni al massimo, dopodichè si è tornati a discutere solo di listini, sconti promozionali, premi di fine anno, listing e tutti i vari giochi delle tre carte ancora in uso nelle trattative di vendita.

Immagino che sia stato perché l’approccio di trattativa più o meno dura risultava più redditizio in termini di conto economico.

Di quegli anni mi ricordo una frase dettami da un buyer “Biscontin, io ho il dovere professionale di spremerla il più possibile perché in questo modo raggiungo due obiettivi: ottengo le migliori condizioni di acquisto possibili per me e riduco la sua capacità di dare le stesse condizioni (se non migliori) ai miei concorrenti.”

Non faceva una piega, come non la faceva il mio dovere professionale di trattare tutti i clienti allo stesso modo (che significa anche offrire condizioni migliori sulla base dei volumi di acquisto) non solo per una questione etica, ma anche per il concreto rischio che il cliente che scopre di essere stato trattato peggio decida di cambiare fornitore.

Poi l’altro giorno ho avuto un’illuminazione quando ho sentito per caso un vecchio amico che ha lavorato molti anni per insegne della GDO, enunciare un principio fondamentale della gestione delle insegne distributive:

“Con gli acquisti fai il margine, con le vendite fai il fatturato”

Immediatamente ho pensato “Dov’è il valore per clienti del supermercato in questa equazione?”.

E’ un mese che ci penso, ma non lo trovo.

Se parlassimo di un’azienda manifatturiera sarebbe come operare secondo il concetto di produzione. Traduco dalla mia edizione (canadese) di Marketing Management di Kotler:

“Il concetto di produzione sostiene che i consumatori favoriranno quei prodotti che sono ampiamente disponibili e di basso costo. I managers delle aziende orientate alla produzione si concentrano nel raggiungere alta efficienza produttiva ed ampia copertura distributiva.”

Da notare che nello sviluppo dei concetti di orientamento dell’impresa al mercato, quello di produzione è quello “primordiale”, a cui sono seguiti poi quello di prodotto, quello di vendita e quello di marketing, man mano che il concetto precedente entrava in crisi. Ossia non era più in grado di creare vantaggi competitivi per l’azienda .

Attenzione non significa che il concetto di successivo sostituisca il precedente (ad esempio quello di prodotto sostituisca quello di produzione), ma che il successivo si AGGIUNGE al precedente. Per cui in seguito all’attività delle aziende concorrenti le strategie legate al concetto di produzione da PLUS diventano un MUST (o conditio sine qua non, se preferite continuare con il latino), mentre quelle legate al concetto di prodotto sono il nuovo PLUS. E così via.

Visto con gli occhi degli economisti aziendali, il concetto di produzione del Kotler, somiglia al concetto di leadership dei costi sviluppato da Michael Porter.

Il punto però è che per un’insegna della GDO la leadership dei costi non si ottiene tanto con le trattative di acquisto dei prodotti in vendita, visto che i fornitori cercheranno di mantenere condizioni equivalenti per i vari clienti, quanto piuttosto lavorando sui costi della struttura e del funzionamento dell’organizzazione.

Che è esattamente quello che permette alle catene di discount di marginare bene, pur vendendo a prezzi più bassi rispetto a super ed ipermercati (non ho visto dati recenti, ma qualche anno fa la reddività per metro quadrato dei punti vendita Eurospin era seconda solo a quella di Esselunga).

D’altra parte operare con il concetto “gli acquisti fanno il margine, le vendite fanno il fatturato” implica non targettizzare e non innovare in termini di assortimenti, layout, arredi, promozioni, ecc…

Non voglio dilungarmi in considerazioni operative su un settore che conosco di riflesso e quindi lascio a voi le considerazioni implicite nel concetto, magari partendo da questo esempio: le catene della GDO disponevano dei dati relativi ai comportamenti d’acquisto dei titolari delle loro carte fedeltà molto prima che esistesse Amazon, ma invece di realizzare comunicazioni e promozioni mirate hanno continuato (e continuano) a riempire le cassette della posta di tutti indistintamente con gli stessi volantini (e quindi parlano TUTTE sostanzialmente solo di prezzo).

L’importanza della gestione del prezzo dei prodotti “loss leader” della distribuzione da parte dei produttori.

Loss Leaders TagQuesto post si prospetta particolarmente tecnico, anche per gli standard di biscomarketing.

Quindi cercherò di essere particolarmente chiaro, in modo da renderlo comprensibile anche a quei lettori che non sono dei professionisti del marketing (so che ce ne sono, bontà loro).

Innanzitutto cos’è un prodotto “loss leader“.

Si definiscono “loss leader” quei prodotti che le catene della Grande Distribuzione Organizzata (super e ipermercati per capirsi) vendono a prezzi particolarmente bassi, riducendo o annullando il proprio margine di profitto.

L’estremo della strategia “loss leader” è la vendita sottocosto, quando il supermercato vende il prodotto ad un prezzo inferiore di quello a cui l’ha acquistato dal fornitore. In Italia, come in molti altri Paesi, la vendita sottocosto è regolamentata, quindi va dichiarata sul punto vendita e deve essere limitata ad un determinato periodo di tempo e/o determinato numero di pezzi.

I prodotti “loss leader” quindi non sono venduti a prezzi bassi perchè hanno un basso prezzo all’origine, ma per una decisione autonoma ed indipendente del negoziante (una catena di supermercati in essenza è un negoziante) che rinuncia in tutto o in parte al suo guadagno (se vende sottocosto sostiene addirittura una perdita).

Perchè una catena di supermercati decide di adottare questa strategia? Per attirare clienti. L’ipotesi di base infatti è che l’aumento di vendite complessive generato dal maggior numero di clienti generi un margine aggiuntivo superiore a quello perso sui singoli prodotti loss leader.

Quindi la catena di supermercati aumenta le proprie vendite e guadagni ed il produttore del prodotto loss leader pure, per cui tutti contenti. Non proprio.

Ci sono almeno 3 ragioni per cui un produttore deve preoccuparsi della gestione del prezzo a scaffale dei suoi prodotti che i supermercati usano come loss leader:

1. il posizionamento di prezzo influenza l’immagine (di qualità) percepita del prodotto. I prodotti scelti come loss leader sono normalmente prodotti di immagine medio alta all’interno della loro categoria merceologica perchè è proprio questa immagine superiore che crea “l’affare” per il consumatore. Trovare spesso il prodotto/marca ad un prezzo (più) basso sullo scaffale può indebolirne l’immagine nel medio lungo periodo.

2. il posizionamento di prezzo a scaffale come loss leader genera un aumento di vendite “anomalo”. Il rischio è che l’azienda si strutturi per produrre volumi di vendita “fragili” perchè basati sulla scelta dei supermercati di vendere ad un prezzo incoerente con il valore del prodotto (e con il suo costo di acquisto).

3. nel caso in cui a consuntivo la catena di supermercati abbia una marginalità inferiore a quella prevista, chiederà ai produttori di coprire (almeno in parte) i mancati guadagni. Le dinamiche commerciali sono fatte (anche) di rapporti di forza, quindi non mi metto neanche a discutere se la cosa sia giusta o meno: è un dato di fatto.

Ricordo il mio stupore quando per la prima volta in Stock ho visto i miei colleghi delle vendite calcolare la marginalità lorda che i vari clienti della GDO ottenevano ai diversi livelli di prezzo a scaffale del Limoncè (ai tempi tipico prodotto loss leader natalizio). Calcoli che poi condividevano con i loro interlocutori delle catene di supermercati. Per me era una questione che riguardava i buyers e category manager, in cui mi sembrava improprio ingerire.

In realtà però la cultura aziendale della distribuzione è spesso focalizzata sul fatturato, di cui la marginalità è conseguenza. Regola valida in termini generali, ma che può subire importanti eccezzioni quando il fatturato viene generato da prodotti loss leader.

Tutto questo mi è tornato in mente l’altro giorno, quando ho scritto su Vinix.it un post sulle vendite di Prosecco nel Regno Unito. In quel post segnalavo che il Prosecco DOC spumante in UK oggi è utilizzato come loss leader da quasi tutte le catene inglesi. Nei commenti c’è stato chi ha detto “…. che problema c’è se i supermercati vendono a prezzi bassi, se tanto il prezzo all’origine (in cantina) continua a crescere?”. Beh il problema è che la frenata potrebbe essere molto brusca. Tenete le cinture ben allacciate.

“Si la voglio!” la lista nozze da CRAI: idea geniale o cagata pazzesca?

Il 3 marzo del 2013 (oltre due anni fa!) ho pubblicato il post dal titolo “Le conseguenze della crisi economica: il ritorno del lusso.”e la conseguente rinnovata efficaci di promozioni e concorsi. Quindi oggi non dovrei stupirmi della promozione “Si la voglio!” lanciata dai supermercati CRAI, che permette ai novelli sposi di fare la lista nozze in buoni spesa da spendere nel proprio negozio CRAI. Eppure ho fatto un salto sulla sedia quando ho sentito lo spot alla radio.

CRAI, che sta per Commissionarie Riunite Alimentaristi Italiani, è una cooperativa tra dettaglianti fondata nel 1973 per operare in modo congiunto e coordinato sotto un’unica insegna. CRAI si caratterizza come sinonimo di negozi di prossimità (potremmo dire come piccoli negozi o supermercati di quartiere) ed opera oggi con 3.000 punti vendita affiliati, presenti in 1.000 degli oltre 8.000 comuni italiani ed in 19 regioni.

Nel 2014 sviluppava un fatturato complessivo di 3,5 di euro, equivalenti ad una quota di mercato del 3,7%.

Ha un bel posizionamento “Nel cuore dell’Italia” (bello perchè valorizza con coerenza la sua storia e la sua identità) e da una settimana ha lanciato una nuova promozione che permette a chi si sposa si fare la lista nozze alimentare da CRAI.

Copio-incollo il comunicato stampa dell’insegna, che spiega in modo chiaro i presupposti e gli obiettivi strategici sui quali si basa l’iniziativa:

Non più argenteria, né servizi di Boemia e neanche elettrodomestici, niente di tutto questo per i neo sposi in tempo di crisi. Ora la lista di nozze si può organizzare al supermercato per farsi regalare la spesa. Dal momento del fatidico ‘sì’ fino a due anni dopo. L’iniziativa viene lanciata da Crai, marchio storico della distribuzione italiana, un’operazione strettamente coerente con la strategia della catena di supermercati che ha l’obiettivo di raccogliere le esigenze delle famiglie italiane e soddisfarne i bisogni più comuni.

“La spesa alimentare è sicuramente una voce significativa e inevitabile nel budget di una coppia di neo sposi – afferma Mario La Viola, direttore marketing e format di Crai Secom – sempre più spesso infatti si arriva al matrimonio dopo anni di convivenza, in una casa già completamente attrezzata. Per questa ragione la tradizionale lista nozze non è più così attuale. Con la nostra lista nozze vogliamo continuare a seguire la direzione strategica che mette al centro il nostro cliente e le sue esigenze fondamentali”.

Grazie al lancio della “Lista Nozze”, infatti, Crai attiva un’ulteriore proposta utile per i clienti esprimendo così la sua vicinanza alle loro necessità, considerando anche l’attuale situazione economica. I futuri sposi potranno registrarsi sul sito (www.craiweb.net/sposi) e generare una “pagina” dedicata al loro matrimonio con tutte le indicazioni su dove si terrà la cerimonia, dove ci si sposterà per il pranzo.

Inoltre si potranno sfogliare le loro fotografie e leggere un breve racconto della storia che li ha portati fino all’altare. In questa sezione sarà possibile creare la propria lista nozze, selezionando il punto vendita più vicino a casa in cui poi utilizzare i buoni spesa. A questo punto basterà invitare gli amici a contribuire.

Per chi vuole partecipare alla lista nozze l’operazione sarà altrettanto semplice: basterà registrarsi sul sito, indicare la somma in regalo e ..con un click il regalo è fatto. La somma finale raccolta sarà convertita in buoni spesa del valore di 20 euro ciascuno, che i novelli sposi potranno spendere entro due anni dalla data delle nozze. E ad ogni lista nozze ci sarà anche un regalo agli sposi da parte di Crai.

Aggiungo almeno altri due vantaggi che credo il management di CRAI avrà considerato nel valutare l’iniziativa: la fidelizzazione dei clienti che rimangono legati al punto vendita almeno fino all’esaurimento dei buoni e l’incasso anticipato di tutte le spese future a fronte dell’emissione dei buoni sconto.

In più, ciglieGIONA sulla torta, l’ampia copertura mediatica, con relativa visibilità del marchio CRAI, data dai mezzi di comunicazione ad un’iniziativa che prende una posizione molto forte nella visione della società (ed infatti moltissimi mezzi di comunicazione, on e off line, hanno ripreso il comunicato stampa dell’azienda).

Complimenti per l’idea geniale! Complimenti? A me sembra più una cagata pazzesca (con riserva).

Questo per almeno due ragioni diverse ma collegate.

Dal punto di vista dell’immagine, regalare buoni spesa per il matrimonio è una cosa sinceramente triste, e pure un filino angosciante.

Il messaggio (forte) che comunica la promozione è: “siamo messi talmente male che come regalo di matrimonio chiediamo roba da mangiare”. Ed il “siamo” ha sia una valenza specifica (la coppia di sposi che scelgono questa lista di nozze) che per la società generale.

Non siamo più capaci di fare dell’umorismo sulle nostre miserie, e forse non è nemmeno il caso, ma immagino come ai tempi d’oro della commedia all’italiana ci sarebbero andati a nozze (ok il gioco di parole è bieco, ma non ho resistito) nello scrivere una sceneggiatura con i commenti imbarazzati ed i pettegolezzi imbarazzanti degli invitati alla cerimonia e dei conoscenti.

Commenti che si ripeteranno ogni volta che la sposa (soprassiedo sul sessismo implicito della campagna) creerà la fila alle casse quando pagherà la spesa con i buoni “Si la voglio”.

L’immagine proiettata dalla promozione “Si la voglio” è mesta non tanto per la situazione economica in cui si trovano le persone, ma perchè non implica alcun vantaggio rispetto a regalare agli sposi direttamente il contante.

Anzi implica sicuramente degli svantaggi per gli impliciti i vincoli di utilizzo. Se, come dice il comunicato stampa CRAI gli sposi oggi arrivano al matrimonio con una casa completamente attrezzata, cosa c’è di meglio del contante da spendere in quello che voglio?

Soluzione che per gli sposi ha anche il vantaggio di essere una pratica consolidata (quindi “socialmente” normale) e per gli invitati di poter dare qualcosa comunque più tangibile rispetto ai buoni spesa CRAI.

Le scelte del consumatore sono sempre competitive e quindi in sintesi la domanda è la solita che nasce dal guardare le cose dal punto di vista del consumatore: perchè io che mi sposo dovrei scegliere di fare la lista nozze da CRAI (rispetto a farmi regalare direttamente i soldi)?

E non venitemi a parlare della possibilità di creare la pagina dedicata al nostro matrimonio sul sito CRAI ai tempi dei social networks.

Allora a me sembra una cagata pazzesca perchè il messaggio netto che proietta sul marchio CRAI non mi sembra di vicinanza agli italiani, ma piuttosto di malinconia.

Allora da viene la “riserva” a questa mia valutazione? Pare che dopo il polverone suscitato dalle uscite leggermente omofobiche di Barilla nel 2013, le vendite di Barilla negli USA siano cresciute.

Forse allora la vecchia regola della comunicazione “bene o male, purchè se ne parli” è più attuale di quanto io non creda.

Viva gli Sposi.