InspiringPR 2017: cosa ho visto, cosa mi è piaciuto, cosa no e cosa mi ha lasciato perplesso.

InspiringPR 2017

Lo scorso sabato 20 maggio si è svolta a Venezia, Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, la IV edizione di inspiringPr, “Un momento di incontro e d’ispirazione aperto ai comunicatori e a tutti coloro che operano nelle e per le organizzazioni, pubbliche o private, ma anche a chi, seppur non del settore, influenza sensibilmente la professione.”

Io non so se appartengo a qualcuna di queste categorie di persone, comunque ho pagato i miei 20 euro del biglietto, sono andato, mi hanno fatto entrare e qui di seguito trovate la sintesi di quello che ho visto.

Il tema di quest’anno era “L’incontro”.

Come facevo con i miei collaboratori in azienda, seguendo il concetto di “lavorare sui punti di forza” comincio da

QUELLO CHE MI E’ PIACIUTO suddiviso per relatore.

Don Alessio Geretti – Vicario della Parrocchia di Illegio e curatore delle mostre d’arte del Comitato San Floriano.

Don Geretti ha parlato dell’esperienza dell’organizzazione della mostra d’arte che si tiene ogni anno dal 2004 (credo) ad Illegio , paesino piuttosto sperduto nelle Alpi Carniche (che già di loro proprio centralissime non sono).

Negli anni l’esposizione ha assunto rilevanza nazionale ed è stata in grado di esporre opere provenienti da prestigiosi musei italiani e stranieri, dando nuova vitalità economica e sociale ad un paese altrimenti destinato probabilmente al declino.

Secondo Don Geretti questo successo è stato possibile grazie a (magari i miei appunti non sono precisi parola per parola, ma il senso è quello) :

-          “i visitatori sono amici (di Illegio e della sua mostra) che diventano al tempo stesso suoi ambasciatori e community che si ritrova.”

-          “attivare dinamiche sociali attraverso l’arte che attiva il potenziale spirituale delle persone.

-          “verità bene e bellezza sono gli obiettivi fondamentali della vita.”

-          “fretta e rumore sono nemici di qualsiasi vita interiore.”

-          “buona strategia di comunicazione e di relazioni.”

-          “il giornalismo non è fatto di gente che scrive bene ma di gente che crea incontri.”

 

Quindi:

-          Sottolineata l’importanza della community, che non deve essere necessariamente (solo) on line, anzi.

-          Importanza di valori che ispirino le persone per coinvolgerle nella community. I valori sono il catalizzatore per l’adesione ed il collante per la permanenza.

-          Le relazioni pubbliche sono tanto più forti quanto più diventano … “private”, ossia gli opinion leaders sono/si sentono parte della community.

-          Sul ruolo dei giornalisti è da un po’ che penso di fare un post, quindi per il momento rispetto a quanto detto da Don Geretti mi limito solo ad aggiungere la domanda: i giornali sono ancora un luogo di incontro? Se sì, quanto?

 

Dino Amenduni – Socio, comunicatore politico e pianificatore strategico di Proforma.

“la perfezione di un profilo (personale o aziendale), ossia la presenza di solo commenti positivi, crea sospetto da parte delle persone (Nd.A.: ovvero gli utenti immaginano ci sia qualcosa sotto).

Questo in parte si collega a quanto detto poi da Federico Favot. La cosa che mi incuriosisce è che io ho la sensazione (Amenduni non ha fornito dati al e non so se sia mai stata fatta una ricerca al riguardo) che non valga il contrario. Ossia non ci fidiamo della perfezione positiva espressa da un profilo di cui tutti parlano bene però ci fidiamo della perfezione negativa espressa da un profilo di cui tutti parlano male.

 

Fiorenzo Galli – Direttore Generale del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci.

- “i musei devono cominciare a dare segnali di verità.”

- “cambiamento nel definire la qualità della vita in base al tempo e non in base al possesso.”

- “tempo come luogo della pace e dell’incontro.”

 

Al di là del facile, ma non per questo meno vero, luogo comune che la verità raramente è pura e non è mai semplice, qui mi sembra interessante la sottolineatura dell’importanza del tempo nelle pubbliche relazioni.

Soprattutto se penso alle aspettative che hanno normalmente le aziende in termini dei risultati, e lo dico da cliente più che da comunicatore. Indipendentemente dal budget investito, le pubbliche relazioni per loro natura danno risultati nel medio-lungo periodo.

 

Federico Favot – Sceneggiatore tra gli altri de I Cesaroni e Rex e fondatore della casa di produzione StoryMatch.

- “a metà della storia si arriva al punto in cui il protagonista sembra aver raggiunto il proprio obiettivo, poi cade (punto di morte) per poi risorgere e raggiungere il vero suo obiettivo.”

 La frase qui sopra è l’estratto del momento in cui Favot spiegava che con gli anni ha imparato che tutte le storie interessanti seguono lo stesso schema.

Indipendentemente dal fatto che gli archetipi di storia siano solo uno come dice Favot (ma forse ha sintetizzato per ragioni di tempo), 5, come diceva una ricerca pubblicata su Marketing Insights, o 6, come sostiene una ricerca pubblicata sul n.1/2017 di Meininger’s Wine Business International, la cosa fondamentale è notare che le storie interessanti sono quelle che comprendono cadute e risalite.

Viceversa le storie tutte positive né interessano, né coinvolgono (ecco il collegamento con l’intervento di Amenduni).

Domandatevi come importate le vostre campagne di PR, cominciando dai comunicati stampa, e datevi delle risposte.

Vittorio Cino – Direttore Comunicazione e relazioni istituzionali di Coca Cola Europa.

-          “due codici di comunicazione: la paura e la speranza.”

-          “la paura ha vinto contro lo status quo, l’immobilismo. Ha sempre perso contro la speranza.”

-          “speranza prevale se associata a contenuti coerenti, fattuali e comunicati continuativamente.”

 

Tre concetti particolarmente utili a chiunque si trovi a dover gestire il cambiamento.

Una cosa curiosa è che secondo me Cino è stato il primo relatore a parlare della paura (nell’incontro), mentre secondo lui se ne era parlato già molto durante la mattinata. Percezioni.

 

Barbara Sgarzi – Consulente digitale, formatrice, giornalista, autrice di Social media Journalism.

- “vivevamo in una bolla anche prima.”

Questo magari mi è piaciuto perché lo condivido. Ho anni abbastanza per aver visto la gente che leggeva un solo quotidiano ed era quello del partito, frequentare un solo circolo ed era quello della parrocchia, c’era un solo telegiornale, ecc … Non ricordo tutta questa abitudine e voglia a confrontarsi con opinioni diverse.

Il rischio di partire da presupposti sbagliati è trovare soluzioni che non risolvono.

 

- “non sono più ammessi sbagli tenuto conto di tutti gli strumenti che abbiamo per sapere (le cose).”

Ossia (estremizzo): oggi non si possono fare errori per non conoscenza, ma solo per carenza di metodo (estremizzo: ignoranza).

L’unione tra la carestia di tempo e l’eccesso di offerta di praticamente qualsiasi prodotto e servizio (idraulici e falegnami a parte) genera la turbocompetizione attuale per cui dal punto di visto del cliente (attuale o potenziale) c’è sempre meno voglia/possibilità di accettare/gestire sbagli da parte dei fornitori.

 

QUELLO CHE NON MI E’ PIACIUTO, ma probabilmente si tratta di mie idiosincrasie

L’antipastoteca del sapere.

Non mi è mai piaciuto il “formato TED”, o “mostra e dimostra” come diceva il buon vecchio Schultz nelle strisce di Charlie Brown, perché lo trovo frammentario e superficiale.

Non mi sento di darne la responsabilità agli organizzatori, visto la popolarità che questo formato ha assunto per gli eventi di formazione/confronto/discussione.

Il problema è che funziona come un buffet di antipasti: tutto molto sfizioso sul momento, poi arrivo a casa e mi sembra di non aver mangiato niente.

Per trasferire le esperienze di altri alle mie situazioni, passate, presenti e future, devo riuscire ad individuare i principi/regole/processi sottostanti. Viceversa si rimane nell’anedottica.

Tra l’altro non ho capito com’è che si affermata una modalità unidirezionale qaule lo stile TED proprio nell’epoca in cui tutti dicono che la comunicazione unidirezionale è morta.

Dopo un po’ sembra un talent oppure uno “stand up comedians” show (facce ride); sarà per questo che i relatori appena scendono dal palco tendono a chiedere “come è andata?”

Secondo me una bella tavola rotonda con gli stessi relatori, preceduta o meno da una singola relazione introduttiva, ben moderata poteva portare a produrre contenuti più ricchi e coerenti. Meno divertente? Sicuro, ma io ero lì per lavoro. E siccome il mio lavoro mi piace non sono necessarie particolari tecniche per suscitare la mia attenzione, soprattutto se queste tecniche vanno a scapito dell’approfondimento.

Punti di vista.

 

“Le diapositive devono avere al massimo 4 righe scritte ben leggibili”

Così diceva l’esperta di comunicazione che assisteva alla presentazione dei casi di marketing al corso di “Marketing Management” che ho frequentato nell’anno accademico 1989/90 all’Università di Guelph (Ontario-Canada).

Erano tempi in cui non c’era né la cultura dell’immagine né gli strumenti di oggi (per dire: usavamo Harvard Graphics perché non c’era ancora Powerpoint). Magari adesso avrebbe detto di mettere solo un’immagine ed una riga.

Comunque sia, ad InsipingPR sono state proiettate diverse presentazioni di difficile lettura già da metà sala.

Come ha detto Barbara Sgarzi, “non sono più ammessi sbagli”, men che meno da parte di professionisti della comunicazione.

 

La Scuola Grande di San Giovanni Evangelista non è una “bella location”, è un bel posto.

Qui mi rendo conto di combattere una battaglia di retroguardia, che mette in evidenza il mie essere anziano (brontolone). Però l’uso smodato e non necessario dell’inglese mi colpisce sempre e mi preoccupa per la distanza che può creare tra il “mondo della comunicazione” ed il resto dei mondi a cui la comunicazione si rivolge.

D’altra parte se persino Don Geretti dice “community” invece di comunità, dovrò finire per arrendermi.

 

QUELLO CHE MI HA LASCIATO PERPLESSO sono cose anche giuste, ma davvero è ancora necessario parlarne?

“Globale vs. locale”: credo fosse il 1993 quando al Cibus di Parma ho sentito una relazione di una società di consulenza londinese che dirimeva la questione sul principio che “marketing is global, business is local”. Per quello che può valere, io lo uso da quella volta e mi pare funzioni.

“Gestire/partecipare alle conversazioni che ci riguardano (come persone e/o come marche) è meglio che far finta di niente.”

 

-          “Il motore di ricerca è più importante del messaggio perché è il veicolo delle mie idee ed è gestito da aziende for profit che non sono neutre nelle loro modalità operative;”

-          “quello che pubblichiamo sui social non sparisce mai perché anche se lo cancelliamo dai profili rimane nei motori di ricerca;”

-          “(usare il web per) ascoltare è più importante di parlare.”

(N.d.A: questi tre concetti espressi da Nereo Sciutto ero incerto se metterli qui o in quello che mi era piaciuto).

 

“Non c’è più on line e off line”: la stessa relatrice citandolo segnala che il concetto è stato espresso nel 2012 (e secondo me anche prima).

 

In conclusione questa edizione di InspiringPR mi ha ispirato il conforto riguardo all’utilità del concetto del marketing totale: non abbiamo più controllo del contesto e le esperienze delle persone con le marche sono diffuse, continue e perpetue, quindi le marche devono mantenere le proprie promesse sempre, ovunque e comunque.

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