Il marketing del compleanno – aggiornamento 2017.

L’anno scorso intorno a questa data ho scritto un post sul marketing del compleanno.

Siccome, Deo gratia, lo scorso 18 settembre ho compiuto gli anni di nuovo, mi è sembrato interessante riprendere il tema aggiornando la situazione.

Cominciamo con il leader incontrastato del marketing del compleanno.

Facebook il giorno del compleanno mi ha fatto gli auguri e mi ha chiesto se volevo rivivere i ricordi dei compleanni passati. Confesso che la prima associazione mentale che mi è venuta è stata con i fantasmi dei Natali Passati del “Racconto di Natale” di Dickens.

Probabilmente sono io che sono fatto male, resta però questa forte tendenza nostalgia che fa guardare al passato molto più che al futuro (vedasi tutti i rapper trentenni che cantano di quando erano giovani).

Il giorno dopo invece mi ha detto più meno  “E’ stata una splendida giornata, rivivila con il video che abbiamo preparato per te”. E se fosse stata una giornata di mer…? Facebook, tu non sei un mio amico, sei una piattaforma web dove condivido (parte) della mia vita. E questo mio modo di pensare non credo sia molto diverso da quello della maggioranza delle persone. Invece di cercare di creare un rapporto personale che risulterà  comunque finto, ci sarebbero tante cose utili che potresti fare per me il giorno del io compleanno per stringere il rapporto utente/macchina (non le dico perchè vivo facendo il consulente, quindi gli spunti possono essere anche gratis, ma le soluzioni vanno pagate).

Voto 3 per il tentativo di irretirmi e la sensazione di tristezza prodotta.

 

Genertel invece è in netto miglioramento rispetto alla finta intimità dell’anno scorso. Mi manda infatti questa mail

Ciao Lorenzo,
BUON COMPLEANNO!
Oggi il tuo Facebook è pieno di “Auguri!”, “Happy Birthday” e “Tanti Auguri!”. 
Per non farti passare la giornata a ringraziare tutti, uno a uno, abbiamo pensato di aiutarti così:
Condividi la gif sui tuoi social per ringraziare tutti i tuoi amici e poi…
VAI A FESTEGGIARE!!

Genertel 2018

Per inciso, colgo l’occasione per ringraziare nuovamente tutti quelli che mi hanno fatto gli auguri. Qualunque mezzo abbiano usato.

Voto 8 per l’uso creativo dell’analisi sulla consumer experience (di facebook).

 

Unicredit mi scrive “Lorenzo Biscontin, oggi è un giorno importante e meriti speciale. Buon Compleanno dalla tua Banca”. Ora siccome non sono Mr. Banks di Mary Poppins non è che ricevere una mail generata automaticamente tramite un algoritmo che pesca nella mia anagrafica da parte della Banca mi emozioni particolarmente. Potevate almeno fare lo sforzo e creare un algoritmo più completo per fare in modo che gli auguri arrivassero dal “mio” consulente o dal Direttore della mia agenzia.

La cosa è ulteriormente peggiorata dai due riquadri che si trovano in calce alla mail: nel primo ci sono le istruzioni per cambiare l’indirizzo a cui ricevere le comunicazioni ed nel secondo, con il titolo DIFFIDATE DELLE IMITAZIONI! in evidenza, quelle antiphishing.

Voto 4 per l’aridità emotiva degna di una banca di altri tempi.

 

Europcar mi dice che ha una sorpresa per me, mi augura buon compleanno e mi offre un buono sconto sul prossimo noleggio fino al 31-12-2017.

Voto 6 ½ per sapere fare correttamente il proprio lavoro. Avrebbero preso 7 se la validità del coupon fosse definita come periodo a partire dalla data del compleanno. Uno è tanto più penalizzato quanto più avanti nell’anno compie gli anni, se li compie il 31 dicembre è una beffa. (mi rendo conto che ho dato una soluzione gratis, è perché così non crediate che millanto del credito).

 

Experteer, che continuo a non ricordarmi cosa sia e cosa faccia e da cui quindi dovrei “scancellarmi”, mi regala 7 giorni di iscrizione Premium gratuita.

Voto 6, ossia sufficienza, per aver fatto almeno uno sforzo.

 

Geneanet, sito di ricerche genealogiche a cui mi sono iscritto dieci anni fa e che non guardo da … 9, mi augura buon compleanno e mi ringrazia di essere membro di Geneanet.

Voto 6 ½ per la cortesia.

 

Lufthansa mi regala 1.000 punti miles & more se prenoto un albergo partner attraverso il sito miles & more. Come l’anno scorso, uguale uguale.

Voto 6/7. Fossero stati meno ripetitivi avrebbero preso 7.

 

Brillano invece per la loro assenza tutti quei siti e/o aziende che tutti i giorni mi contattano per vendermi qualcosa.

Si faranno vini l’anno prossimo? Se, a Dio piacendo, arriverò al compleanno 2018 ve lo farò sapere.

Drink Prosecco and smile!

drinkproseccoandsmileHo fatto la maglietta.

Perchè il Prosecco non si attacca al lavoro del mio dentista. Quanto meno non più di tante altre altre bevande gassate, birra compresa (che personalente non mi piace).

Perchè il prosecco è l’archetipo di quelli che io chiamo i “vini del sorriso”, la mia personale terminologia per il concetto di “vinini” definito da Angelo Peretti.

Perchè quando una persona beve un sorso di Prosecco gli viene da sorridere di piacere spontanemamente, senza bisogno di pensare, concentrarsi, degustare, speculare. Anche se non è un esperto/appassionato. Senza dover fare un grande sacrificio economico per permetterselo.

Perchè il Prosecco in tutte le sue declinazioni, frizzante/spumante, DOC, DOC Treviso, DOC Trieste, Asolo Superiore DOCG, Conegliano Superiore DOCG, Valdobbiadene Superiore DOCG, è sempre in vino inclusivo, non esclusivo.

E io spero che rimanga sempre così.

Un grazie a Diego Illetterati ed all’agenzia AQUATTRO per la grafica della maglietta.

Il pericoloso paradosso del leader: seguire i propri followers.

presentazione iPhone X

L’argomento del post di oggi mi frullava per la testa da qualche settimana per almeno due ragioni:

-          È controintuitivo e quindi automaticamente interessante/rilevante.

-          Riguarda una situazione che ho vissuto, o rischiato di vivere, varie volte personalmente nel corso della mia attività professionale e quindi mi appare chiarissima.

Però per una questione di riservatezza e buon gusto non volevo citare le mie esperienze personali e quando ho cercato di trovare altri esempi semplicemente osservandoli dall’esterno, non ho trovato niente che mi convincesse. Tanto che sono arrivato a pensare che i “miei” casi fossero delle eccezioni e non indicatori di una regola (il che era strano, vista la loro numerosità).

Poi oggi sul “El Pais” ho letto un articolo che si intitolava “Apple, il leader che raggiunge i suoi inseguitori” e tutto mi è diventato più chiaro. A parte lo stupore che mi provoca sempre imbattermi in coincidenze tali da non poter credere che siano del tutto casuali, quello della tecnologia è un settore che nella mia osservazione avevo escluso a priori perché consideravo, sbagliando, che l’innovatività fosse legata alle competenze tecnologiche e non alla visione della gestione.

Il paradigma teorico del concetto è il seguente:

Mettiamo che voi sviluppiate una marca/prodotto con una promessa/proposta fortemente innovativa rispetto a quella attuale della categoria in cui si colloca. Una proposta con delle caratteristiche e valori che forniscono benefits (servizi) in grado di intercettare i bisogni e desideri delle persone tanto da allargare i confini e lo scopo che la categoria aveva in precedenza. Così tanto da arrivare perfino a creare una categoria, o sotto categoria, a sé.

Una marca prodotto che definisce un prima e un dopo della categoria/segmento di mercato e che grazie a questo ne diventa leader. Attenzione che l’innovazione non significa necessariamente modernità, ma può essere basata anche sulla affermazione della tradizione (esempio: Harley Davidson).

Man mano che aumenta la vostra quota di mercato, diminuirà quella dei concorrenti, di cui alcuni probabilmente spariranno.

Quelli che sopravvivono hanno sostanzialmente due opzioni strategiche:

-          Cambiare la propria proposta imitando quella del nuovo leader e diventando quindi dei “me-too” che competono sul prezzo

-          Migliorare la propria proposta agendo negli ambiti “classici” della categoria.

Attenzione quest’ultima scelta non è determinata dal fatto che gli ambiti “classici” siano preferiti dalle persone (consumatori) rispetto a quelli nuovi che avete portato/creato voi. E’ invece una scelta obbligata verso gli unici spazi che sono lasciati liberi dal leader.

Cosa succede normalmente nell’arco di un po’ di anni (diciamo da 5 a 10)?

La quota di mercato del leader comincia a venire leggermente erosa dai concorrenti. Perché si tratta di una cosa normale (che non significa inevitabile):

-          Perché se avete una quota di mercato che va dal 30% al 50% del totale, a chi volete che porti via vendite l’attività dei concorrenti?

-          Perché l’intuizione / visione che aveva creato lo spirito della vostra marca/prodotto tende ad affievolirsi nel tempo (e magari anche gli investimenti di marketing).

-          Perché cambiano le persone (consumatori) e voi non siete in grado di mantenere attuale la vostra promessa con lo spirito originario (vedi punto precedente).

-          Perché i concorrenti hanno comunque migliorato la loro proposta spinti dalla competizione con voi.

In questa situazione al leader si presentano sempre due tentazioni:

-          Ridurre il prezzo per fronteggiare la competizione degli imitatori.

-          Normalizzare la propria proposta verso i valori “classici” della categoria che stanno funzionando per i concorrenti.

Cadere nella prima significa ridurre la marginalità della marca/prodotto, e quindi nel tempo ridurre le risorse disponibili per alimentare le strategie che hanno creato la leadership.

Cadere nella seconda è ancora più pericoloso perché significa ridurre la differenza della proposta della marca/prodotto leader rispetto ai suoi inseguitori, e quindi nel tempo minare l’essenza stessa della proposta alla base della leadership. Ergo mettere a repentaglio la leadership.

A qualcuno suona famigliare? Spererei per voi di no, ma credo di sì.

L’esempio dell’iPhone è sorprendentemente paradigmatico.

Che sia stato il game changer che ha sostanzialmente creato la categoria “smartphone” è assodato. Come ricorda l’articolo de El Pais, l’ha fatto grazie ad un mix unico ed integrato di design, software e hardware che forniva alle persone un’esperienza (di utilizzo) che andava oltre l’immaginabile. L’ i-phone non faceva meglio quello che facevano già gli altri telefoni, lo faceva in modo diverso e grazie a questa visione ha cambiato i confini delle cose che si possono fare con un telefono.

L’articolo ricorda come Steve Jobs si fosse sempre negato a produrre un pennino per l’iPad, fedele all’idea originaria del dito come “periferica” più semplice ed imemdiata possibile.

Allo stesso modo si resisteva ad ingrandire lo schermo dell’iPhone, malgrado le tendenze di mercato premiassero i concorrenti che l’avevano fatto.

Egoisticamente e presuntuosamente Steve Jobs puntava più all’”empowerent” delle persone che a soddisfarne “semplicemente” i desideri. (anche) grazie a questa visione nel 2011 Apple presento Siri, un’innovazione concettuale prima che tecnologica che sarà poi imitata da tutti i concorrenti.

Poco importa se c’è gente (come me) che non ha mai usato né Siri né Cortana. Il punto è mantenere la visione che ha generato la leadership viva e focalizzata, all’interno dell’azienda ancor prima che sul mercato, in modo che sia in grado di rinnovarsi per mantenere coerentemente la propria distintività e prevalenza sui concorrenti.

Per farlo occorre forza morale ancora prima che economica.

C’è questa visione nell’iPhone X? Sepre citando l’articolo del “El Pais”, le sue principali novità sono versioni migliorate di tecnologie già presenti in telefoni dei concorrenti con sistema operativo Android.

Certo le prime impressioni sull’iPhone X sono molto positive, soprattutto ha colpito la qualità dello schermo che pare porti la tecnologia OLED ad un altro livello rispetto agli attuali concorrenti.

Quindi detto (un po’ provocatoriamente) in altro modo, l’iPhone X è forse il miglior smartphone Android mai realizzato?

Se il vostro obiettivo è soddisfare tutti i desideri dei vostri consumatori, come farete a sorprenderli superando le loro aspettative?

DEDICA

Il post di oggi è dedicato a mia nipote (fan della Apple) che domani comincia a studiare Economia e Management all’Università di Trento.

Il che mi ricorda la massima di Lupo Alberto in una delle cartoline regalatemi per la laurea: “Più studi più sai. Più sai più dimentichi. Più dimentichi meno sai. MA ALLORA CHI TE LO FA FARE?!!

Dopodichè ho studiato altri sei anni tra specializzazioni, master e dottorato.

In bocca al lupo Anna.

Il ruolo del positioning nel fondamentale equilibrio tra awareness e reputazione.

equilibrio balla

Nel mio posto del giugno 2016 “Sul web si crea la reputazione, non la conoscenza di marca” , ho pubblicato questa matrice, che sviluppai nel lontano 1993 quando mi dedicavo all’inquadramento teorico del marketing dei prodotti tipici a denominazione d’origine, senza spiegarla.

Credo però che meriti un approfondimento per l’utilità che ha il suo utilizzo nell’analisi della situazione della marca e nella definizione delle relative strategie.

Come esempio concreto prendo la recente campagna pubblicitaria del Buondì Motta, approfittando del fatto che la grande attenzione ricevuta rende i ragionamenti che seguono più facilmente comprensibili.

La campagna Buondì aveva l’obiettivo dichiarato di rilanciare una marca/prodotto un po’ appannata ed ha generato grande aumento della sua awareness (sicuramente a breve termine, sul medio è da vedere).

Però era proprio l’awareness il punto debole su cui bisognava intervenire? Dipende.

Se la marca si trovava nel quadrante buono, e quindi l’appannamento dipendeva dalla bassa awareness in presenza di una buona reputazione, evidentemente la strategia della campagna era quella giusta.

Se però l’appannamento della marca dipendeva da un basso livello sia di awareness che di reputazione, quadrante potenziale, investire sull’aumento di awareness sposta la marca nel quadrante pessimo (affossandola definitivamente).

Ovviamente la rappresentazione di confini netti tra i vari quadranti della matrice è una semplificazione per esprimere il concetto con maggior chiarezza. Nella realtà operativa lo spostamento delle marche sugli assi è un continuum.

Altrettanto è evidentemente che l’aumento di reputazione implica sempre un certo aumento di awareness, se non altro per il passaparola.

Attenzione però che non è vero il contrario, ossia ci può essere aumento di awareness senza aumento di reputazione. Oppure, ed è il caso peggiore, ci può essere un aumento di awareness innescato da un calo di reputazione, come nel caso di Carpisa di questi giorni.

Dal punto di vista delle strategie aziendali, quello che lega awareness e reputazione è il positioning, inteso come la definizione da parte dell’azienda di cosa la marca vuole rappresentare per la sua audience e le successive azioni messe in atto per realizzare questa rappresentazione sul mercato.

In altre parole dal punto di vista aziendale il positioning è l’insieme della definizione della reputazione che dovrebbe avere la marca della marca e le strategie realizzate per trasferirla sul mercato. Attenzione che il trasferimento del positioning non riguarda solamente la politiche di comunicazione (che non a caso io definisco di “percezione” nella mia visione del Marketing Totale), ma anche quelle di prodotto, prezzo e distribuzione (che io definisco “presenza” nella mia visione del Marketing Totale)

Nella matrice invece l’asse della reputazione rappresenta la reputazione effettiva della marca sul mercato.

Le due reputazioni, quella pianificata dall’azienda e quella percepita dal mercato, non corrispondono quasi mai per le distorsioni che il messaggio subisce nel processo di comunicazione tra l’emittente ed il ricevente. Anche se non siete degli esperti di teoria della comunicazione, semiotica, ecc.., basta che da bambini abbiate giocato una volta al telefono senza fili per sapere cosa intendo.

Più il positioning aziendale è chiaro, forte, preciso e dettagliato e meno distorsioni subirà nel trasferimento al mercato.

Qual’era la posizione della marca Buondì sulla matrice awareness-comunicazione prima della campagna pubblicitaria? Qual’ è il positioning che vuole comunicare? E’ definito chiaramente? E’ quello che viene trasmesso/recepito dalla campagna?

Vista tutta la discussione che ha generato nei media analogici, digitali e social credo che sarebbe una bella azione di content marketing se Buondì rendesse pubblici i risultati della campagna pubblicitaria in termini di variazione dell’awarness, reputazione e vendite.

Il marketing della controversia.

beach_body

Tipicamente e storicamente le marche evitano le controversie. Anche quando prendono posizioni su temi sociali lo fanno in termini positivi, PER qualcosa e non CONTRO qualcosa.

Più che pusillanimità è una questione di rispetto: chi sono io marca per giudicare i comportamenti delle persone?

Anche portando avanti i miei valori di marca, credo sia giusto lasciare a chiunque il diritto di scegliermi, ossia comprarmi (escluso ovviamente l’utilizzo illegale dei prodotti).

In sintesi è il concetto de “il cliente ha sempre ragione”, in parte anche quando non ce l’ha perché un po’ se la compra pagando il prezzo del prodotto/servizio.

Nell’era digitale però il rapporto tra marche e persone passa da essere un rapporto asimmetrico ad uno rapporto tra pari (personificazione delle marche e brandizzazione delle persone), creando uno spazio per l’utilizzo della controversia come strumento di marketing.

Un esempio eclatante è quello della campagna “Are you beach body ready” realizzata nel 2015 dall’azienda inglese Protein World.

La campagna ha scatenato a suo tempo una reazione di sdegno sia nel Regno unito che negli Stati Uniti, accusata di promuovere un’immagine falsa della bellezza femminile, un’immagine che colpevolizzava la normalità del fisico delle donne.

Praticamente l’opposto della campagna “Real buty” di Dove (mi tolgo il cappello davanti al copy che ha scritto il claim “Every body is beautiful”).

A fronte di questa polemica, che ha data alla campagna una visibilità amplissima, Protein World invece di ridimensionare la polemica, l’ha rilanciata definendo i critici come “pigri e deboli”, affermando che “(il Regno Unito) è una nazione che simpatizza per i grassi” e lanciando due ashtag: “#fitshaming” in contrapposizione a quello “#bodyshaming” lanciato dai suoi critici e “#GrowUpHarriet” in risposta ad una donna che aveva chiesto pubblicamente se poteva essere ammessa in spiaggia.

La cosa interessante è che la presa di posizione dell’azienda ha attivato la discussione tra chi si sentiva discriminato dal messaggio e chi invece condivideva l’esortazione ad avere un fisico più in forma (e quindi più sano?).

Attraverso la publicity generata dalla campagna, la marca ha quindi aumentato la sua conoscenza e guadagnato simpatizzanti, migliorando il proprio posizionamento nel target fitness/salutista.

La contrapposizione dei due concetti “fitshaming” vs. “bodyshaming”, al di là dei toni, era una discussione focalizzata, strutturata e costruttiva.

Giocare con il fuoco però è pericoloso per definizione e Protein World ha cominciato a bruciarsi quando tra i propri supporter nella discussione sono entrati il Daily Mail e Breitbart ed altri opinion leaders conservatori (per usare un eufemismo), che hanno spostato il focus dal “fitness” al “politicamente corretto” e coinvolto i propri seguaci nella discussione.

Dopo una settimana nella discussione si è arrivati alle minacce di violenza sessuale e Protein World ha lasciato cadere l’ashtag “#GrowUpHarriet”.

A completamento della storia va ricordato che al termine delle 3 settimane di affissione nella metropolitana di Londra, la campagna è stata proibita dall’autodisciplina della pubblicità inglese perché potenzialmente ingannevole rispetto al messaggio di perdita di peso grazie all’utilizzo dei prodotti Protein World.

Se adesso andate sul sito della Protein World o sui suoi profili twitter ed Instagram, non trovate nessun riferimento a “Are you beach body ready”, ma su twitter ci sono ancora oggi post relativi alla campagna ed è un riferimento, negativo quando si discute degli stereotipi di genere nella pubblicità, ma anche positivo in ambito fitness.

Un esempio ancor più interessante, perché ruspante, di gestione attiva delle critiche viene dalla responsabile della pensione “La Ferroviaria” di Saragozza (Spagna), che offre stanze a 15-20 euro a persona a notte.

Milagros Aguirre, la signora responsabile della pensione, risponde a tutti i commenti relativi alla pensione su booking perché ritiene che tutti i clienti meritino una risposta.

Di seguito quelle che si è meritato qualcuno:

Commento: “positivo il parking gratuito; negativo: dormire da solo”

Risposta: “Ok, la prossima volta invitiamo a quelli di “Apriti Sesamo” così non ti senti solo o meglio ancora andiamo allo stadio ed annunciamo per il megafono che ti senti solo, sicuro che ti cantano qualche coro degli ultras. Bye.”

Commento: “positivo: il personale; negativo: le pareti sono troppo sottili”.

Risposta: “Caro Tizio, lamentarsi per lamentarsi non ha senso, per il resto una pensione non ha l’obbligo di insonorizzare niente, la prossima volta il convento delle Carmelitane Scalze ti darà la pace necessaria, amen. Grazie”

Commento: “positivo: ottima posizione; negativo: il personale è sgradevole e maleducato. Non hanno voluto darmi un altro asciugamano per il viso malgrado la doccia sia separata dal bagno.”

Risposta: “Mi aspettavo questo commento. Se per 25 eurini vuoi portarti il tuo amichetto, meglio che lo lasci a casa tua e lo tieni nascosto. Se per non poter fare quello che vuoi siamo maleducati e sgradevoli. In più enti ed esageri, ma noi continuiamo ad essere affabili”

Qui mi fermo, ma nell’articolo de “El Pais” ne trovate molti altri

Da notare che la signora Aguirre risponde anche a molti commenti su tripadvisor, ma non a tutti perché qui può mettere i commenti anche chi non è stato alla pensione e la cosa le sembra veramente orribile (concordo).

Sicuramente con questi commenti La Ferroviaria ha perso alcuni clienti (immagino con piacere) ma probabilmente ne ha guadagnati altri (ha molti fan su twitter pur non avendo un account). Soprattutto ha trattato tutti i clienti con coerenza e soprattutto ha comunicato/chiarito/difeso quella che è la sua proposta/promessa.

Come sempre nell’era digitale sono l’autenticità e l’onestà che fanno la differenza.