Peculiarità del marketing politico.

Federico dice che dovrei smettere di parlare di (marketing) politica perchè non ho credibilità e perchè sbaglio le previsioni, come dimostra quelle che ho fatto lo scorso 23 febbraio nel mio post “L’importanza dell’analisi di scenario per la scelta della strategia migliore: il caso del governo Renzi” dello scorso 23 febbraio.

Io gli contesto almeno il secondo punto perchè nel mio post sostenevo che, in base all’aplicazione di uno strumento per l’analisi di scenario che utilizzavo normalmente in azienda, Renzi aveva scelto la strategia, inutilmente, più difficile per raggiungere il suo obiettivo di cambiare il Paese. Non avevo quindi nè detto che avrebbe perso alle europee, nè che non ci sarebbe riuscito. Oggi, con Renzi che è passato dall’annuncio di realizzare una riforma al mese all’annuncio del programma dei 1.000 giorni, forse è presto per dire che avevo ragione, ma mi sembra un azzardo dire che avevo torto.

Quindi continuo a parlare di marketing applicato alla politica. Che è come dire una parolaccia. La cosa non mi sorprende, considerando che l’espressione “è solo marketing” ha una connotazione sostanzialmente negativa per la maggioranza delle persone, anche riferita ad organizzazioni che perseguono principalmente un interesse particolare, come le aziende. Addirittura “è solo marketing” significa qualcosa di finto, artificiale, ingannatorio per un gran numero di persone anche all’INTERNO delle aziende.

Figuriamoci quando si tratta di politica, ossia (teoricamente) del bene comune.

Ovvio invece che per questo blog/per me tutto è marketing, intesa come la disciplina inintegra tutte le attività di un’organizzazione con coerenza rispetto agli obiettivi.

Che si tratti di aziende, terzo settore o politica molti degli aspetti fondamentali del marketing non cambiano.

Si tratta sempre di definire e realizzare un concetto di “bene” (per l’azienda e per terzo settore il prodotto/servizio, per la politica la proposta politica), comunicarlo ad un determinato gruppo di persone (che si tratti di una nicchia o di tutta la popolazione, i principi non cambiano) e distribuirlo.

Il fatto che la proposta nasca da un’idea propria dell’organizzazione, come normalmente nel caso della politica e del terzo settore, oppure da un’analisi delle esigenze e desideri insoddisfatti delle persone (il mercato) è, nuovamente, un tecnicismo che non modifica i principi. Inoltre è una differenza sempre meno marcata, dal momento che il successo delle marche aziendali si basa sempre di più sulla loro autenticità.

A dimostrazione che i principi del marketing valgono sostanzialmente immutati per i diversi tipi di organizzazione riporto qui un’analisi di concept test per la definizione di una nuova formazione politica realizzata nel 1992 da Giulia Ceriani e riportata nel suo libro (che consiglio vivamente) Marketing Moving: l’approccio semiotico, Franco Angeli.

Analisi semiotica partiti 1992 - 1

Analisi semiotica partiti 1992002

Analisi semiotica partiti 1992-3

In questa analisi si può vedere l’obiettivo di creare una nuova formazione politica per rispondere alle domande lasciate senza risposta dalle attuali (del 1992) proposte politiche oppure per individuare cosa questi vogliono sentirsi dire così da raccontargliela meglio. La seconda opzione in politica si chiama demagogia e nell’attività aziendale si chiama scorrettezza (se la patologia raggiunge livelli più elevati, diventa delinquenza in entrambi i casi). Ognuno valuti secondo la propria coscienza, perchè la questione morale è una questione individuale che riguarda tutti, non è istituzionale e non può essere imposta per legge.

Dove il marketing politico si differenzia da quello aziendale è nel ruolo del consenso e nella scansione temporale dell’attività.

Per i beni e servizi il consenso, espresso con l’acquisto è il FINE che realizza gli obiettivi dell’organizzazione, mentre per la politica il consenso, espresso con il voto, è il MEZZO attraverso cui l’organizzazione viene messa nelle condizioni di realizzare i propri obiettivi.

Tanto per l’organizzazione aziendale come per quella politica un prodotto, dal punto di vista logico, è composto dalla promessa che fa alle persone e da come e quanto questa promessa viene mantenuta nella fruizione.

Nel caso dell’azienda però la progettazione e realizzazione del prodotto avvengono entrambe PRIMA della verifica del consenso, espresso dalle persone con l’acquisto,

Nel caso della politica invece le due fasi avvengono in due momenti distinti. La realizzazione e “consegna” ai cittadini della proposta politica infatti avviene solamente dopo che questi hanno validato la promessa (o progettazione) attraverso il consenso espresso con il voto.

Ecco quindi che la scansione temporale diventa l’altro elemento differenziante tra  il marketing politico e quello dei beni e servizi

L’azienda è sottoposta quotidianamente e continuamente al voto delle persone attraverso le loro scelte d’acquisto, senza possibilità di sapere con precisione in anticipo chi e quanti prevedono di acquistare un determinato tipo di prodotto.

La proposta politica invece è sottoposta la voto delle persone con una periodicità ben precisa, prevista e conosciuta (d’accordo nel caso italiano un po’ meno precisa ed un po’ meno prevedibile).

Questo implica che, mentre per l’azienda la necessità di ottenere il consenso è continua nel tempo, per l’organizzazione politica l’importanza dell’ottenimento del consenso varia nel tempo: è massima prima delle elezioni, diventa minima dopo le elezioni per riprendere a crescere man mano che si avvicina la data delle elezioni seguenti.

La conseguenza operativa per l’organizzazione politica è che concentrarsi nelle attività volte a raccogliere il consenso durante la fase iniziale di esercizio del potere, rischia di distogliere risorse, energie, attenzione e competenze alla effettiva realizzazione delle promesse elettorali e quindi al peggioramento del “prodotto” politico effettivamente consegnato ai cittadini.

Questo rischio è particolarmente elevato nel situazioni di forte spostamento del voto da parte dell’elettorato, perché implica una forte richiesta di cambiamento/innovazione da parte dei cittadini. In altre parole riforme strutturali, che però necessitano di molte energie fisiche, mentali e psicologiche ed implicano la realizzazione di un eterodossia.

Tutte cose difficili e che richiedono tempo prima di dare i loro frutti, tanto più quanto più complesse sono le organizzazioni (non mi dilungo, chi volesse approfondire cosa intendo può leggere i miei vecchi post Viva Felipe Gonzalez ed Eterodossia e Innovazione

Anche partendo dal presupposto (patologico) che l’obiettivo dell’organizzazione politica sia il mantenimento del potere, la strategie migliore sarà quella di realizzare la parte più difficile del programma tempestivamente e rapidamente all’inizio della legislatura, in modo che i risultati raggiunti (le promesse mantenute) nella sua parte finale forniscano una base solida su cui creare nuovamente il consenso.

Questa scansione temporale ha un’implicazione anche sulla comunicazione politica, che dovrebbe seguire il medesimo flusso.

La comunicazione durante la realizzazione della promesse è per definizione scarsamente rilevante.

Inoltre porta facilmente alla dispersione dei messaggi, perché la politica (di governo) non può concentrare la comunicazione sui pochi punti chiave della promessa, principio basilare per l’efficacia della comunicazione delle marche. Contrariamente alle aziende che mettono continuamente le loro promesse (i prodotti) sul mercato a disposizione del cittadino-consumatore, la politica nella fase iniziale di governo non può ancora offrire molto di tangibile.

Comunicare qualcosa che è ancora incompiuto rischia di sottolineare una carenza, condannando ad ulteriore irrilevanzac. Comunicare cose sempre diverse, dispersione dei messaggi, rischia però di creare confusione e quindi un indebolimento nella percezione della proposta, che peggiora nella misura in cui si verificano inevitabili incoerenze nella comunicazione e tra questa e le promesse originali.

C’è un ultima differenza tra il marketing politico ed il marketing aziendale ed è che il primo è molto meno competitivo del secondo.

il numero di proposte politiche è di gran lunga inferiore a quello di proposte di prodotto nella maggior parte dei mercati ed, in un certo senso, gli elettori non possono astenersi dal “consumare” politica.

Il giorno che il numero di acquirenti di musicassette (il link è per i miei più giovani lettori) non è stato più sufficente per sostenere i costi di produzione, chi le produceva ha chiuso. La politica invece appare, per così dire, ineluttabile ed indipendentemente dalla percentuale di astensione, il “mercato” viene ripartito tra le formazioni concorrenti sulla base dei votanti.

Ecco perchè le formazioni politiche riescono a “rimanere in affari” (espressione che uso solamente per parallelismo con l’attività aziendale, nevvero) anche nel caso di grandi differenze tra promesse ed effettiva esperienza di fruizione.

Federico, la prossima volta torno al marketing aziendale. Promesso.

 

L’importanza dell’analisi di scenario per la scelta della strategia migliore: il caso del governo Renzi.

Come avevo annunciato domenica scorsa, ecco le riflessioni sulle analisi di scenario basate sulla formazione del nuovo governo Renzi.

La mie intenzione era di dare centralità ai principi ed alle tecniche di analisi, da cui la scelta di parlarne oggi, a freddo rispetto alla formazione del governo. Questa in realtà non è stata nè così rapida nè così liscia come previsto, voglio sottolineare una volta di più che la scelta dell’argomento politico è solamente un personale divertissement.

Parto dall’analisi “Nella testa di Renzi” fatta da Francesco Costa su “Il Post”, che cerco di sintetizzare per stralci, in modo da definire la sua analisi dello scenario.

Renzi è segretario del PD da dicembre. Il suo grande consenso popolare, semplificando, si basa soprattutto sul suo essere diverso dalla grandissima parte di quelli che ha attorno. Diverso come toni, diverso come efficacia, diverso come curriculum e provenienza, diverso come passo.

Riformulo la domanda: Renzi è al governo o all’opposizione? Per quanto straordinario, il governo Letta è senza ombra di dubbio un governo del PD. Allo stesso modo però è un governo con cui Renzi non ha praticamente niente a che fare,

Renzi, per fare Renzi, doveva far correre il governo Letta e le sue riforme: non c’è riuscito. Mandare quattro dei suoi al governo avrebbe dato la sveglia al governo?

Le elezioni europee, storicamente, sono pesantissime per il governo in carica (….) Renzi ha detto più volte esplicitamente che il PD rischia una scoppola, se non si dà una mossa e quindi se non dà una sveglia al governo, “se non porta a casa qualcosa”. La legge elettorale e l’abolizione del Senato erano quel tentativo: arenato.

Scenario realistico, il più probabile: Renzi, per quanto tenti di fare il Renzi, non ci riesce. Il suo destino, la sua carriera politica, la possibilità di vincere un giorno le elezioni, si ritrovano legate a un Parlamento ingolfato, a un governo immobile e a un’elezione imminente che deve affrontare difendendo il governo immobile. Rischio concretissimo: il PD va male alle Europee. Migliora la sua percentuale di voti rispetto alle politiche, magari invece di prendere il 25 prende il 29 per cento. (…..) è così improbabile che il Movimento 5 Stelle prenda il 30? Pensate a questa ipotesi, piuttosto credibile: gli attacchi duri a un governo impopolare premiano l’opposizione e soffocano la maggioranza, quindi alle europee, magari per un pelo, il Movimento 5 Stelle diventa il primo partito. Il risultato è che Renzi è cotto. Una cosa doveva saper fare, prendere i voti, e non ci è riuscito.

…… soprattutto perché andare a votare con l’attuale legge elettorale, un proporzionale puro, garantisce matematicamente la necessità di dover ricorrere nuovamente a un governo di larghe intese.

Per cui, a un certo punto, Renzi pensa: sai che c’è? Se il mio destino dipende dal governo, tanto vale che il governo lo faccia io. Rischio? Certo che rischio. Ma rischio comunque. Almeno così dipende da me, mi gioco le mie carte, padrone del mio destino.

Immagino che Renzi si renda conto che questo passaggio è stato molto rozzo, per usare un eufemismo. Una manovra di palazzo, come dicono quelli: non ci piove. Ma Renzi sa anche che (…..) che in ultima istanza l’unica cosa che conterà per le sue sorti politiche sarà quello che farà quando sarà capo del governo: se farà cose buone e popolari tra sei mesi nessuno nemmeno si ricorderà come arrivò al governo.

Questo in sintesi lo scenario secondo Francesco Costa e da qui partiamo.

1° assunto teorico: il marketing è una scienza analitica e non deterministica (come tutte le scienze sociali suppongo). Questo significa che fornisce le tecniche per analizzare in modo completo ed efficace gli scenari.

2° assunto teorico: se nell’affrontare uno scenario avete una sola strategia siete morti (la vecchia storia degli oceani rossi ed oceani blu). In realtà ci sono sempre strategie alternative, quindi se nell’affrontare uno scenario avete una sola strategia, siete morti per perchè siete pigri (proverbio spagnolo: la pereza es la madre de la pobreza).

3° assunto teorico: confrontando diverse strategie bisognerà preferire quella minimizza le probabilità di rischio e/o massimizza le probabilità di risultato. Più gli scenari sono complessi e/o le strategie diverse e più è necessario scomporre i vari elementi per fare una valutazione completa.

Per questo è necessario un approfondimento dei punti di forza e debolezza della proposta politica di Renzi (attenzione che “proposta politica” va inteso come se fosse la “unique selling proposition” o “best selling proposition” di una marca/prodotto.

Questa è l’analisi che ho fatto io:
Renzi: punti di forza.
- È nuovo e diverso.
- E’ trasparente, chiaro, coerente.
- Rispetto per le regole vs. accordi di palazzo.
- E’ pragmatico e deciso (da sindaco ha dimostrato di saper fare, e bene). Non ha pregiudizi ideologici.
- Merito vs. casta.
- Ha un ideale di società più semplice e più giusta in termini di diritti, doveri e privilegi.

Renz: punti di debolezza.
- E’ come gli altri, mosso dall’ambizione (e dall’interesse) personale per il potere.
- La racconta bene, ma è solo facciata.
- Non ha né esperienza ne programma.
- Non è né di sinistra, né tanto meno progressista. La sua visione della società è allineata con quelle delle elites (caste) imprenditoriali e finanziarie.

Vanno poi definiti gli obiettivi strategici. Su questo riprendo l’analisi di Costa secondo cui l’obiettivo di Renzi era fare il Presidente del Consiglio per cambiare davvero l’Italia e non personale ambizione di potere. Questo perchè ci credo (credeveo?), ma soprattutto perchè è l’obiettivo dichiarato e quindi l’unico che è lecito prendere in considerazione. Evidente che l’ottenimento del potere è condizione necessaria, ma non sufficiente, per operare il cambiamento. Come sottolinea giustamente Costa … per cambiare l’Italia davvero, per trattare con alleati e sindacati e industriali da posizioni di forza, serve la spinta politica che può darti solo un netto successo elettorale.

Mettendo insieme lo scenario di Costa, la mia analisi dei punti di forza e debolezza e l’obiettivo di Renzi è possibile innanzitutto sviluppare strategie alternative e poi valutarle in modo rigoroso.

La strategia della “staffetta” seguita da Renzi la conosciamo tutti. La chiamerò “Strategia 1″. Per ragioni di brevità mi limiterò ad una sola alternativa (ripeto che lo scopo di questo post è principalmente quello di approfondire le riflessioni sulle tecniche di analisi) che chiamerò “Strategia 2″ (oggi fantasia al potere).

L’altra strategia per raggiungere l’obiettivo di diventare Primo Ministro e rinnovare il Paese poteva essere andare al voto con il sistema proporzionale, accorpando le politiche alle europee.

Di seguito trovate l’analisi delle due strategie, scomposte negli elementi che caratterizzano lo scenario tratteggiato da Costa, in base alla probabilità che si verifichi l’elemento, il suo effetto nel rafforzare la convinzione degli attuali simpatizzanti/elettori e nell’attirare nuovi simpatizzanti/elettori. Anche in questo caso la scelta di utilizzare solamente due parametri di analisi degli elementi risponde ad un principio di semplificazione dell’esposizione. Nulla vieterebbe, anzi nel caso reale sarebbe auspicabile, che la ponderazione della probabilità avvenisse sulla base delle intenzioni di voto (o della loro variazione) dei diversi segmenti dell’elettorato (intesi quelli che oggi voterebbero PD, M5S, NCD, FI, SEL, etc..) al verificarsi o meno dei diversi elementi.

Valutazione strategie Renzi

AVVERTENZA: l’uso dei numeri permette di scomporre e pesare con maggior rigore i diversi elementi del ragionamento, ma non li fanno diventare veri di per sè. Non bisogna quindi incorerre nell’errore di credere che l’analisi sia vera solo perchè formalizzata in termini quantitativi. I numeri aiutano ad analizzare i ragionamenti e capire se e quanto sono corretti. In questo caso le considerazioni sono state che nell’andare a breve alle elezioni con il sistema proporzionale Renzi comunque ci mette la faccia mantenendo iniziativa politica e dinamismo, non intraprende azioni incoerenti con il suo percorso e le sue dichiarazioni politiche e quindi non perde credibilità ed immagine di novità. Anzi la rafforza facendo una cosa di cui si è spesso parlato, ma non si è mai fatta malgrado permetta un risparmio di soldi pubblici (l’accorpamento di politiche ed europee). Riduce il rischio di un insuccesso alle europee del partito di governo, grazie all’effetto trascinamento delle politiche, che sarebbero diventate una sorta di plebiscito sul cambiamento/rinnovamento del paese (di cui è già l’emblema). Costringe gli avversari politici a prendere posizioni ed impegni chiari nei confronti dell’elettorato, mettendone in evidenza l’eventuale volontà di mantenere lo status quo (come aveva già fatto presentando tre proposte di riforma elettorale che evidenziavano l’effetiva volontà di non affrontare la questione, salvo poi virare sugli accordi ad personam con Berlusconi).
Anche nel caso, probabile, di dover fare un governo di coalizione, avrebbe avuto più libertà nella scelta della compagine di governo e del programma. Che la coalizione fosse più assurda dell’attuale sarebbe stato alquanto improbabile.
Oggi si gioca tutto sul miracolo di realizzare un programma di governo diverso senza cambiare nè la maggioranza, nè le persone.
La “Strategia 2″ risulta preferibile perchè permetteva di trovarsi, alla peggio, nella situazione attuale, senza perdita di credibilità, quindi di capitale politico/elettorale.

Vero che secondo Costa le elezioni erano un’opzione non prevista da Napolitano, ma alla base quali alternative poteva avere? Soprattutto non si può innovare senza eterodossia e per crescere bisogna “uccidere” il padre (in questo caso il nonno).

Concludo con due personali considerazioni politiche:
- In tempi non sospetti ho dichiarato che per il rinnovamento del Paese contavo su Renzi per convinzione, adesso spero su Renzi per necessità.
- Più ci penso è più mi convinco di quanto interessante sia l’opzione della sorteggiocrazia (scusate per il link all’articolo in inglese, ma quello all’Internazionale non c’è).

Cara Debora (Serracchiani, n.d.a.) …

…. mi permetto di darti del tu, come fai tu con me nella lettera che mi hai mandato ieri.

Confesso che l’ho ricevuta con dispiacere perchè avrei preferito ricevere una mail, come altre che mi hai già mandato: meno costi per te, meno aggravio per le poste costrette ad applicare la tariffa agevolata, meno spreco di carta (anche se io riciclo, questa è solo l’ultima opzione nel trittico riduci-riusa-ricicla). Anche da queste cose passa il cambiamento che porta all’eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti e dei contributi ai gruppi parlamentari e consiliari, pratiche che già in linea di principio determinano un ingiustificato vantaggio per le forSe politiche già presenti nelle istituzioni a scapito di quelle che cercano di entrarci (per tacere ovviamente dell’uso disgustoso che ne è stato fatto dagli eletti, nel complice silenzio politico di tutti i partiti).
Però oramai il danno era fatto e così, visto che in passato ti ho anche votato (alle Europee, quando hai preso più preferenze di Bossi), ho aperto la busta ed ho cominciato a leggerla.
Si vede che non era la mia/tua giornata perchè già il tondo (con la minuscola mi raccomando, questa la capiscono solo gli elettori del Friuli Venezia Giulia) con la scritta “Debora Serracchiani – Torniamo ad essere speciali” è di una tristezza comunicativa sconsolante. Oramai (quasi) tutti abbiamo un’immagine che ci rappresenta nella nostra pagina twitter e tu non riesci a trovare niente che ti rappresenti? A dirla proprio tutta l’assenza del simbolo e di qualsiasi altro riferimenti al PD, mi sembra un trucco intellettualmente disonesto per staccarsi dal percepito del partito di cui fai parte. Sono in molti ad essere convinti che l’essenza del marketing e della comunicazione sia quella di ingannare le persone, però chi lo fa di professione sa che non è mai stato così ed oggi lo è sempre meno. Non a a caso il motto di una delle più grandi agenzie di pubblicità americane è “La verità, detta bene”. Aggiungo, cosciente che si tratta di una mia mania che mi trascino dai tempi della campagna di Rutelli candidato alla presidenza del consiglio, che mi piacerebbe prima o poi vedere il centro-sinistra segnare la propria diversità e capacità di cambiamento rispetto al centro-destra abbandonando questo approccio individualista e personalistico secondo cui viene proposto un leader da seguire. C’è una base teorica in termini di marketing politico a supporto di questa mia affermazione, ma senza perdere tempo in oziosi ragionamenti, credo che i risultati delle elezioni degli ultimi anni siano sufficienti a consigliare un cambio di strategia.
Pensando alla realtà dei fatti, la tua definizione delle primarie del centrosinistra come “uno dei momenti più positivi della recente politica italiana” mi ha strappato un sorriso (amaro, ma pur sempre sorriso).
Nella lettera mi chiedi di impegnarmi a fare del proselitismo a tuo favore, in termine tecnico si chiama “call to action” e quella che chiedi tu implica un forte coinvolgimento emotivo. Ora delle due l’una: o ero già convinto, e quindi la tua richiesta è superflua, oppure avrei bisogno di qualche ideale che vada al di là delle dichiarazioni di intenti elencate nel testo. In termine tecnico si chiama “engagement” e la sua base è prima emotiva che razionale.
L’unico tentativo che fai di instaurare questa comunione di spirito, prima che di intenti, è mettendola sul personale (le frasi in grassetto non bastano) però il palco casca quando si arriva all’artificialità della firma stampata. Sarà che sono un precisetti, sarà che il diavolo è nei dettagli, ma questa mancanza di autenticità mi ha fatto apparire tutta la lettera come un tentativo di irretirmi.
Ora tu mi dirai che sono naif e che non puoi firmare 40.000 lettere. A parte l’ovvio e facile “perchè no?” sarebbe stato sufficiente ripartire le lettere tra i collaboratori che si occupano della campagna (magari scegliende solo le donne per motivi calligrafici). Noi non conosciamo la tua firma ed avremmo apprezzato l’intenzione di un legame/impegno personale e la professionalità nel fare il proprio lavoro. A te però sarà sembrato invece ancora più ingannatorio …..
Cordialmente.
Lorenzo.

Ho visto un Re! Come l’autismo della casta politica ha avvitato la crisi e portato allo scempio della Repubblica

Tra i vantaggi di scrivere un blog c’è anche quello che la mia posizione riguardo all’attuale situazione politica è nota e, spero, chiara.

Dopo aver dichiarato il mio voto per “Fare per fermare il declino”, ed aver brutalmente perso, lo scorso 26 febbraio scrivevo che era evidente che la cosa tatticamente migliore per il PD di Bersani era dichiararsi apertamente per un incarico ad un premier del Movimento 5 Stelle.

Non ci credevo, ma speravo che Bersani, se non altro per interesse proprio e del suo partito, avrebbe dato una mano al Presidente Napolitano per imporre un cambiamento al Paese.

Invece, malgrado dalla crisi economica del 2008 tutti a parole invochino un cambio dei paradigmi socio-economici su cui si basano le società occidentali, si è dato alle cose il solito corso tradizionale con il pre-incarico esplorativo a Bersani, in quanto leader della coalizione di maggioranza relativa. Il tentativo è fallito (ma và?) ed il Presidente Napolitano, responsabile della nomina del Presidente del Consiglio, ha creato due commissioni di persone da lui nominate (???) per definire un programma (??????) su cui trovare la convergenza della maggioranza parlamentare.

Eppure un’analisi politicamente oggettiva/imparziale/aperta dei risultati delle elezioni da parte del Presidente Napolitano non poteva non rilevare che:
- tra le coalizioni di centro-sinistra e centro-destra c’è stata una sostanziale parità (la differenza a favore del centro-sinistra è di 0,37 punti percentuali alla Camera e 0,91 punti percentuali al Senato, dati defintivi dal sito del Ministero dell’Interno).
- la maggioranza dei seggi alla coalizione del centro-sinistra deriva solamente dall’artificio del premio di maggioranza della legge elettorale, legge considerata un obbrobrio da tutti i partiti politici, contraria all’indirizzo dato dalla volontà popolare con il referendum del 18 aprile 1993 ed al cui confronto la “legge truffa” del 1953 appare un apice di democrazia.
- il vero elemento di novità risultante dal voto è stata l’affermazione del Movimento 5 Stelle, che da niente è diventato il primo partito alla Camera (questione di spiccioli rispetto al PD e 4 punti percentuali rispetto al PDL) ed il secondo al Senato (-4 punti rispetto al PD e +1 rispetto al PDL).

Volendo approfondire i risultati delle urne con l’analisi dei flussi elettorali (qui propongo la sintesi degli studi dei diversi istituti di ricerca pubblicata sul sito del Partito Marxista-Leninista Italiano, stranamente il primo risultato datomi da Yahoo), si nota come il M5S sia la forza politica di sintesi dei due schieramenti avendo preso voti in modo quasi uniforme da ex elettori del centro-sinistra e del centro destra.

Credo che in termini di correttezza democratica gli elementi per dare l’incarico al M5S ci fossero tutti (lo so l’incarico può essere dato solamente ad una persona, però è grazie ai tecnicismi di forma che si impedisce il cambiamento).

Invece tutto il sistema politico e dei media tradizionali ha sempre bollato questa ipotesi come inammissibile, lamentando contemporaneamente l’ignoranza politica del M5S nella sua incapacità di negoziare per arrivare ad un compromesso.

Ora io non ho esperienza di politica politicante però occupandomi di marketing e vendita da vent’anni conosco la teoria e la pratica della negoziazione. La mia impressione è che politici e (tele)giornali abbiano sviluppato nel tempo un concetto distorto di negoziazione inteso come scambio di privilegi e non come punto di incontro tra le istanze ed esigenze delle parti. Ovvio che quando le istanze e le esigenze sono quelle personali e non dell’organizzazione che si rappresenta i due concetti corrispondono.

Se gli obiettivi del Quirinale erano quelli dichiarati di dare rapidamente un governo al Paese, possibilmente di cambiamento, dal punto di vista delle tecniche di negoziazione (questo quaderno del Centro Studi Nazionale CISL offre una buona sintesi ed un’ottima bibliografia) il pre-incarico a Bersani o a Berlusconi era a priori una scelta sbagliata, mentre quella di dare l’incarico al M5S l’unica possibile.

Grillo infatti poteva probabilmente accantonare alcuni punti del programma (referendum sull’euro, ad esempio) e forse anche accettare alcuni ministri esterni, ma avrebbe perso tutta la credibilità appoggiando un governo a guida Bersani o Berlusconi. Quello era il suo punto di resistenza.

Specularmente Bersani, o il PD, poteva probabilmente accettare di non avere la guida del governo in cambio del ruolo di moderatore delle richieste più estreme del M5S. Un punto di resistenza sicuramente più basso, ma dopo aver fatto numerose negoziazioni con la clientela vi assicuro che raramente c’è simmetria ed equilibrio. Per questo ci vuole un compromesso.

Quello che è mancato è stata la capacità del Quirinale di creare le condizioni per una negoziazione (uno spazio negoziale) che le parti non potevano evidentemente creare da sole. Invece la scelta conformista del pre-incarico a Bersani ha avuto l’effetto prevedibile di inasprire le posizioni, spostando in alto i punti di resistenza, a cui si cerca di rimediare con la deleteria prassi (della politica) italiana delle commissioni.

La Pubblica Amministrazione che non paga i propri debiti è tecnicamente ed economicamente fallita e la Repubblica con il Parlamento esautorato da un Direttorio di nomina presidenziale è politicamente ed istituzionalmente morta.

L’unica speranza è che il Paese mantenga abbastanza fede in se stesso per risorgere. Buona Pasquetta.

Carosello Zonin, McDonalds, PD.

C’è chi a pranzo/cena fotografa i piatti e chi guarda le pubblicità sui giornali.
Tutti abbiamo le nostre perversioni.
L’altro giorno pranzavo (come spesso mi succede) da solo e sfogliando il giornale 2 pubblicità hanno colpito la mia attenzione:

ZONIN: DO YOU SPEACK PROSECCO?

ADV prosecco Zonin

Da alcuni anni Zonin realizza campagne stampa con questo annuncio verticale sui quotidiani. Quello che mi ha colpito questa volta è il testo in inglese.
Escludendo che si tratti di una campagna internazionale utilizzata tal quale per risparmiare i soldi di un nuovo impianto (la teconolgia digitale ha ridotto tempi e costi rispetto ai vecchi tempi delle “lastre”) o per difficoltà di traduzione (“Condividilo con chi ami“), ritengo si tratti di una scelta precisa.
Constato quindi che prosegue e si diffonde questa scelta strategica di rafforzamento del percepito qualitativo dei prodotti (alimentari) attraverso la sottolineatura della loro diffusione a livello internazionale. Funziona? I miei dubbi li ho già esposti a fine 2012 e nel caso del vino sono ancora più perplesso. Ma si tratta di dubbi reali e sinceri, sarei curioso di sapere se qualcuno ha approfondito l’argomento. Zonin intanto continuerà a veder cresecere le vendite sfruttando il deserto concorrenziale, visto che è una delle poche cantine ad avere da anni una strategia pubblicitaria costante.

GREENWASHING MCDONALDS

Qui non mi interessa entrare nelle polemiche della sincerità o meno del messaggio etico/ecologista/qualitativo di mcdonalds (dopo che uno chef come Ferran Adrià ha detto che lui non sarebbe in grado di fare di meglio a quel prezzo, cosa potrei mai aggiungere io?).

Quello che mi ha colpito è la totale assenza del rosso di McDonalds in tutta la pagina. Lo so che il verde di sfondo (è verde fidatevi) è assolutamente coerente con il messaggio, ma questo non impediva di mattere il logo tradizionale in unriquadro con sfondo rosso. La cosa secondo più notevole è che la doppia M ad arco mantiene intatta tutta la riconoscibilità, quindi il logo si e ridotto alla M gialla. Adesso sembrerà ovvio, ma solo un paio di anni fa non ci avrei scommessodov’è il rosso. La considerazione magari sembrerà banale, ma immagino che ne saranno contenti alla McDonalds perchè altrimenti gestire un marchio globale su sfondo rosso nei paesi anglosassoni, verde in Europa (Germania esclusa) e bianco in sudamerica+Germania sarebbe un bel rompicapo. Complimenti!

POVERA ITALIA
L’ultima pubblictà che ha attirato la mia attenzione recentemente non è un annuncio stampa, ma l’affissione del PD per la campagna elettorale.
Non ho fatto la foto del manifesto “L’Italia giusta – Vota PD”, se non l’avete visto lo trovate qui con una breve analisi comunicativa.
Mi ha colpito perchè è, finalmente, una campagna di comunicazione ben pensata e ben fatta. Parte da un posizionamento chiaro, sintetico e quindi forte, che si legge sui due livelli “L’Italia giusta – vota PD” contenendo in sè anche la “call to action”. La grafica mi è sembrata perfetta per coerenza con il messaggio.
Una campagna in grado di cogliere la domanda di serietà ed equità che proviene da ampi segmenti (trasversali) dell’elettorato e che nessun altro partito sembra avere la credibilità per soddisfare (il Monti che carica tutto quello che si muove distribuendo fendenti a destra e a manca della campagna elettorale ha dilapidato tutto il patrimonio di serietà ed ironia accumulato durante i mesi al governo ed il movimento 5 Stelle ha per il momento un deficit di serietà).
Purtroppo però mi ero sbagliato. Non si tratta di un posizionamento che sintetizza il programma di un partito, ma di uno slogan pubblicitario fine a se stesso che viene smentito giorno per giorno dalla comunicazione fatta sugli altri media (nei quali comprendo anche la “comunicazione diretta” dei comizi e le “PR” rappresentate da apparizioni radio, TV ed interviste).
Renzi dove sei?

Renzi, che disdetta!

Questo post volevo scriverlo ieri, poi mi sono detto che rischio di diventare monotematico, poi però ho visto su facebook l’amaca di Michele Serra di oggi sulla dichiarazione del sottosegretario Polillo e allora ho voluto dire la mia. Almeno il post della scorsa settimana mi permette di non sembrare quello che parla con il senno di poi.

Rispettare ed accettare i risultati delle primarie del centro sinistra è doveroso, ma lasciatemi la libertà di non condividerli perchè:

- Bersani candidato Primo Ministro legittima, per quanto possibile, il ritorno di Berlusconi. Detta semplice: non è cambiato l’avversario e quindi è giusto che torni a confrontarmi.

- Soprattutto Bersani legittima la campagna, già iniziata, basata sul baratro a cui ci porterà un governo di estrema sinistra (il passato di Bersani+l’alleanza con Vendola bastano e avanzano). Aggiungeteci quello che permette di fare in termini di comunicazione un concetto malinconico come “l’usato sicuro” potete già immaginare cosa ci aspetta nei prossimi mesi.

- Al di là della propaganda berlusconiana Bersani, volente o nolente, è l’espressione di un establishment politico che non ha saputo (voluto) operare per rimediare all’esproprio della cosa pubblica operato dai partiti con tutte le patologie che ne conseguono. Quante persone conoscete che non hanno votato alle primarie del centrosinistra perchè troppo distanti dalla politica in generale e dall’”area” in particolare, ma che ritenevano Renzi l’opzione attualmente più credibile? Qualcuno vuole scommettere sulla percentuale di astenuti, bianche e nulle alle prosisme elezioni?

- Bersani prospetta una coalizione che va dall’UDC (per prendere i voti del centro in franchising, come diceva Renzi) a Vendola. Una volta di più la rappresentanza dei partiti in parlamento sarà decisa a priori a tavolino sul presunto seguito che hanno se non sulla loro capacità di pesare nella trattativa politica. Una volta di più l’azione del governo sarà determinata dal minimo comune multiplo tra posizioni (ideologiche) molto distanti invece che dal massimo comune denominatore di un piano programmatico.

Ok, l’ultima è una mia opinione squisitamente politica, però i primi tre punti riassumono il posizionamento in termini di marketing politico che ha attualmente il PD nei confronti degli elettori che alle scorse elezioni hanno votato altrimenti (o non hanno votato proprio).

Chissà se qualcuno nel partito si sta domandando come agire per modificarlo oppure se puntano a vincere con i soli voti dei fedeli simpatizzanti. L’ultima volta non sono bastati, ma adesso si può contare sull’autocombustione degli avversari.

Io spero solo che tra gli strateghi non ci sia Michele Serra.

Perchè, secondo me, Renzi ha ragione e torto allo stesso tempo.

Premessa doverosa: la settimana scorsa ho votato alle primarie del centrosinistra ed ho votato per Matteo Renzi. Completezza dell’informazione: turandomi un po’ il naso ho votato PD solamente alle ultime elezioni (pre – vedendo la sventura del governo Berlusconi), non ho mai votato Pdl e nemmeno, per chi ha l’età di ricordarseli, DC, PCI, PSI.

Al di là di quelli che siano stati i miei motivi, in nuce la proposta di Renzi si basa(va) su idee(ali) e strategie invece che su ideologie e tattiche.

Nello scenario competitivo della politica italiana si tratta di una proposta fortemente differenziante e che va a soddisfare la domanda di una ampia fascia di cittadini-elettori, probabilmente votanti alle passate elezioni sia della coalizione di centrodestra che di quella di centrosinistra e probabilmente delusi (la buona amministrazione, la meritocrazia vs. il clientelismo/nepotismo, ecc.. non sono nè di destra nè di sinistra).

Da qui, sintetizzando al massimo l’analisi, il bel risultato del primo turno (chi vuole approfondire la mia analisi del marketing politico può andare a leggere alcuni vecchi post qui, qui, qui e qui).

A quel punto però bisognava definire la strategia per cercare di recuperare lo svantaggio e la mia impressione è che la scelta sia stata tutta tattica.

Non so di che dati dispongano al comitato di Renzi per l’analisi dei flussi di voto, però è abbastanza presumibile la difficoltà di recuperare i voti mancanti sia da chi ha votato Vendola che da chi ha votato Bersani. Ecco quindi che la soluzione più logica, era far (ri)entrare nel voto elettori che non avevano votato al primo turno.

In questo senso Renzi ha ragione, ma ha contemporaneamente torto perchè con i macchiavellismi formali per riaprire le iscrizioni e la spegiudicatezza (violenza?) delle azioni per spingere a questa soluzione, snatura la distintività della propria proposta.

Soprattutto conferma le perplessità che poteva avere chi alle primarie aveva votato per altri candidati di essere un candidato costruito dal marketing, un “manipolatore di consenso” di cui diffidare.

Per vincere le elezioni partendo dalla minoranza bisogna convincere a votare per te anche parte degli elettori che prima avevano votato gli altri. Questo principio non è un obbrobrio etico, ma la base della democrazia. Renzi ha il grande merito di averlo capito chiaramente e non ha avuto paura a rivolgersi anche a chi votava Pdl, per convincerlo che la sua era la miglior proposta per il Paese.

Perchè non è andato fino in fondo, cercando di fare lo stesso nei confronti di chi alle primarie aveva votato Vendola o Bersani?

I suoi strateghi mi diranno che le analisi dimostravano la difficoltà (impossibilità) di spostare quei voti, eppure io sono convinto che se per Renzi c’era una possibilità di recuperare era in quel bacino, approfondendo ancora di più la discussione sui contenuti. Sindrome da Segolen Royal?
Potevo scrivere questo post lunedì, senza il rischio di essere smentito dai fatti, ma sarebbe stata disonestà intellettuale.

Comunque spero di sbagliarmi, non tanto perchè, come dice a ragione Renzi, con lui il Pd arriverebbe al 40%, ma perchè mi sembra l’unica possibilità per il necessario rinnovamento del sistema Paese.

E quindi domani torno a votare.

“resistere restire resistere” è la visione Fiat all’ineluttabile declino dell’automobile?

Per compensare il rischio di astrattezza dei post strategici, oggi ho deciso di dedicarmi all’attualità.
Tra i temi che mi hanno più incuriosito ero indeciso se occuparmi della comunicazione con cui si sta gestendo lo scandalo del Consiglio Regionale del Lazio oppure dell’incontro FIAT vs. Governo. Alla fine ho deciso di parlare delle due cose.

Il concetto secondo cui “(per fortuna) la Polverini resiste (stoicamente)” (ho messo tra parentesi i sottointesi che implica l’uso del termine “resiste”, corroborato dagli autorevoli inviti che ha ricevuto a farlo per evitare che crolli tutto) è quanto meno curioso, visto che l’esplosione dei finanziamenti ai gruppi del consiglio regionale (14 di cui 8 composti da un solo consigliere) si è realizzata proprio da uqando lei è presidente. E che dire delle procedure per cui questi finanziamenti venivano erogati senza alcun controllo? Dovrebbe essere scontata almeno una responsabilità oggettiva del presidente e quindi un’incompetenza di fatto. Se poi ci aggiungiamo che il bubbone è scoppiato per il comportamento dei consiglieri del suo partito non mi sembra così fuori luogo rilevare anche una complicità politica, indipendetemente dagli aspetti giudiziari, ossia se siano o meno verificati degli illeciti, cosa che riguarda la magistratura e non me come cittadino-elettore (argomento di cui ho già parlato in altre occasioni su questo blog qui e qui).
Ed invece tutti i giornali, di qualsiasi orientamento titolano che la Polverini resiste. A chi e a cosa non si sa? Però vanno fatti i complimenti a chi gestisce la comunicazione del PDL che si è appropriato nell’inconscio collettivo della famosa espessione del Procuratore Borrelli (espressione che personalmente ritengo un obbrobrio da parte di un magistrato).

Riprendo un tono meno personale e più professionale sulla questione FIAT. Se ho ben capito, il nocciolo della questione secondo l’azienda è che il fortissimo ed imprevedibile crollo del mercato dell’auto in Italia ha modificato lo scenario su cui era stato sviluppatro il piano di investimento del gruppo in Italia.
Ora mi chiedo, chi sviluppa le analisi di scenario in Fiat? Il pulcino Pio? (potrebbe essere un bel nome per il prossimo modello: mi compro una Pio!).
Un po’ di dati a caso, facilmente intuibili ed ancor più facilmente confermabili con una breve ricerca sul web:
- L’italia ha il più alto tasso di motorizzazione europeo con 60 auto ogni 100 abitanti (abitanti, si badi bene, non residenti oltre i 18 anni),
- negli ultimi anni il mercato è stato sostenuto/drogato dalle campagne di incentivo alla rottamazione con contributi pubblici, che ha permesso di rinnovare il parco automobilistico italiano.
- dal 2008 in avanti si assite ad un calo delle vendite degli elettrodomestici durevoli, con la solita eccezione delle apparecchiature informatiche (vedi rapporto CECED 2012), segno che gli italiani a fronte di una diminuzione del reddito disponibile stanno rinviando gli acquisti di beni durevoli. Aggiungerei anche la minor propensione ad acquistare nuovi beni durevoli nelle, crescenti, fasce di consumatori anziani.
- la benzina ed costo dell’assicurazione sono tra le voci di spesa delle famiglie che hanno avuto i maggiori incrementi nel corso degli ultimi 3-4 anni (ben oltre il tasso medio di inflazione).

E’ questi parlano di crollo imprevedibile? A questo punto mi sono ricordato della querelle tra Bill Gate e la General Motors, generata diversi anni fa e sono andato a cercarla in rete (qualcuno riesce a darmi la data? In rete non sono riuscito a travarla ma sarà stato almeno 7-8 anni fa).
Questa è una delle tante versioni che girano:
Durante una manifestazione, Bill Gates ha voluto rendere chiari a tutti i presenti i progressi fatti dall’industria informatica facendo un parallelo con l’industria automobilistica, e ha dichiarato: «Se la General Motors fosse tecnologicamente avanzata come l’industria informatica, oggi staremmo guidando macchine che costerebbero 25 dollari e farebbero 500 km con un litro di benzina!».
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La General Motors ha prontamente replicato con il seguente commento:
“Stiamo meditando sull’ipotesi di prendere Microsoft come partner. Gli unici motivi che per il momento ci trattengono dal farlo sono:
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1. Ogni volta che viene rifatta la segnaletica stradale bisognerebbe anche acquistare una macchina nuova;
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2. Occasionalmente, il motore si fermerebbe in autostrada senza alcuna ragione apparente, e bisognerebbe semplicemente accettare il fatto, riavviare il motore e ripartire dal casello da dove era iniziato il viaggio;
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3. Inaspettatamente, l’esecuzione di una manovra potrebbe fermare la macchina e bloccarla definitivamente, e per ovviare all’inconveniente sarebbe necessario reinstallare il motore;
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4. Sarebbe possibile avere solo una persona a bordo alla volta, a meno di non acquistare «Macchina 98» o «Macchina NT», con i relativi sedili addizionali;
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5. Con la Apple le cose sarebbero diverse: essa sarebbe in grado di progettare una macchina alimentata a energia solare, affidabile, cinque volte più veloce e due volte più facile da guidare, ma in grado di girare solo sul 5 per cento delle autostrade;
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6. Quest’ultimo problema potrebbe essere risolto molto facilmente, acquistando degli upgrade carissimi compatibili con le autostrade Microsoft, in grado di offrire prestazioni dimezzate rispetto a un’analoga macchina Microsoft;
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7. Le spie dell’olio, della benzina, dei freni e della batteria dovrebbero essere rimpiazzate da un unico segnale che dice «Questa macchina ha eseguito un’operazione illegale e sarà arrestata»;
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8. I nuovi sedili costringerebbero tutti ad avere la stessa misura di «sedere»;
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9. Prima di entrare in FUNZIONE, l’airbag chiederebbe «Sei sicuro di voler eseguire questa operazione?»;
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10. In caso di collisione, non sarebbe possibile avere la minima idea di che cosa sia accaduto al pilota e alla macchina, e di come ripararla”.

Pensavo di chiudere qui il post, facendo ammenda alla visione di Bill Gates, adesso che sappiamo come è finita e ricordando come tutti (io compreso) abbiamo sorriso con complicità alla replica della GM.

Invece cercando in rete la storia mi sono imbattuto in qualcosa di più interessante: un forum dove nel 2011 si citava questa “leggenda”. Leggere gli interventi di questi digital natives, tra lo stupito e l’annoiato per l’assurdità di un confronto tra l’evidentemente superiore industria informatica ed i dinosauri dell’automobile.

Delle volte la rete permette di risparmiare lunghe e costose ricerche di mercato, basta avere l’intelligenza e, soprattutto, la voglia di saperla leggere.

Intanto io domani mi farò i miei 250 km quotidiani in macchina.
non sto neanche a dire http://forum.ubuntu-it.org/viewtopic.php?p=3862823#down

Pescatori di uomini.

Indipendentemente dagli eventuali illeciti, la presenza del Trota in politica era un clamoroso obbrobrio per come si era determinata e per la palese incompetenza della persona, il cui unico “merito” era il cognome. Indipendentemente dalla fede politica di ognuno.
Eppure, una volta di piu’, si conferma la bestialita’ che il riferimento della compatibilita’ dei comportamenti in politica e’ il codice penale.
Grazie Di Pietro.
Intanto i partiti si danno un codice etico per cui si impegnano a non candidare chi e’ stato condannato.
E io che pensavo che non li candidassero per non perdere i voti.
Alla faccia del marketing delle idee (politiche).

Avviso da subito che questo post non ha niente a che vedere con il marketing.

A parte che ho ancora il vomito per quello che riescono a dire. Non so se son peggio le balle oppure le facce che riescono a fare. (Ligabue – Niente Paura)

Il punto qui non è di essere originali, quanto di riconoscere chi ci dà le parole, come diceva Yevtushenko.

E non poteva non tornarmi in mente Ligabue e vedere e sentire oggi Maroni dichiararsi orgogliosamente all’opposizione, senza la quale altrimenti non ci sarebbe vera democrazia e ci troveremmo con un parlamento di solo maggioranza come quello di Gheddafi.

Gehddafi??? Gheddafi???? Quello a cui Berlusconi ha letteralmente baciato le mani varie volte??? Quello con cui è stato firmato un trattato di amicizia, partenariato (si sà l’inglese per tutti era nel programma di governo) e cooperazione che prevede la realizzazione di opere infrastutturali in Libia a carico del governo italiano per CINQUEMILIARDI (5.000.000.000) di euro in vent’anni (finanziati con addizionale ires a carico delle aziende che operano nel campo degli idrocarburi (chissà come mai i carburanti in Italia sono tra i più cari d’Europa?) e che il 30 agosto, giorno della firma del trattato, sia proclamato “Giornata dell’amicizia italo-libica). Se volete continuare a ridere (o piangere vedete voi), leggendo ad esempio del patto di non aggressione qui trovate il link.

Ecco non sono riuscito a rimanere indifferente all’apparente sincerità di Maroni quando lo diceva. Oppure la sincerità era autentica, e la cosa è ancora più agghiacciante. Aggiungo il dettaglio, non so se rilevante o meno, che la dichiarazione è stata rilasciata alla conferenza stampa di presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa.

Il più profetico comunque rimane sempre il De Gregori di oltre vent’anni, che, ahimè, continua a rimanere attuale.
Bambini venite parvulus

Perche’ Renzi ha ragione (e Berlusconi resta il fulcro della politica italiana)

Non e’ che io sia nessuno per dare patenti di ragione a chicchesia e meno che mai a Renzi. E chi sembrava un titolo intrigante e comunque calza con l’argomento di questo post che nasce da due dichiarazioni di Berlusconi che ho sentito ieri alla radio.
La prima e’ quella che l’unica conseguenza alle sue dimissioni possono essere solamente le elezioni anticipate, perche’, viceversa, andrebbero al governo quelli che hanno perso le elezioni. Il che sarebbe antidemocratico.
Dichiarazione tatticamente raffinatissima che in modo indiretto ed implicito (e quindi molto forte) sottolinea che:
- gli altri sono dei perdenti,
- sono dei perdenti perche’ non possegono vere capacita’ e quindi puntano a raggiungere i propri risultati non con il merito a con i “traffici” e le “raccomandazioni”.
- per questo fanno prevalere i propri interessi ai principi della democrazia.

Questa dichiarazione però ha un grosso difetto di credibilità perchè al governo ci sono gia’ persone che le elezioni le avevano perse e fuori dal governo ci sono persone che le avevano vinte a conseguenza delle tattiche politiche realizzate da Berlusconi. Il difetto è grosso, ma allo stesso tempo poco evidente. E purtroppo nessuno si è preso la briga di palesarlo.

L’altra dichiarazione riguarda i traditori che hanno abbandonato il pdl per passare all’opposizione. Anche qui c’è un significato implicito, anche se meno sottile: chi e’ passato a sostenere il governo era un responsabile mentre chi ha fatto il percorso inverso è un traditore. Non ci vorrebbe molto per far risaltare la contraddizione, ma nuovamente, nessuno dei dell’opposizione si è preso la briga di farlo.

Sofismi di marketing politico? Forse.

Però alle elezioni chi votereste tra dei traditori senza ideali nè onore, sono capaci solo di trafficare per raggiungere i propri scopi (che non sono capaci di perseguire onestamente) e dei responsabili tutti di un pezzo?

E se poi si votasse dopo un governo tecnico che dimostrerebbe in maniera ancora più palese l’esproprio della democrazia dai professionisti della politica?

Sembra incredibile l’insipienza dell’establishment del cosìdetto centro sinistra, argomento in realtà già affrontato più volte in questo blog qui per esempio , in modo forse piàù chiaro di oggi.

Allora a ragione Renzi quando dice che alle prossime elezioni il nuovo rappresentato da Alfano si confronterà con il vecchio rappresentato da Bersani ed ha ragione un’altra volta quando dice che chi c’è oggi deve andare a casa, perchè, escludendo la complicità, non si può essere così stupidi: e che sono persone di un altro tempo, un tempo che oramai è passato.

Verissimo che la carta d’identità non è da sola una garanzia al 100% da una parte ed un limite dall’altra, ma le probabilità sono tutte dalla parte di chi è nato almeno dopo il 1970 (quindi, con rammarico, mi escludo anche io).

Purtroppo spesso non c’è niente di peggio di aver ragione.

Le 10 bugie di Berlusconi secondo “la Repubblica” 12 aprile: chi semina vento raccoglie tempesta.

Lo so che i miei affezionati lettori aspettano il post sul cavallo, però oggi sono andato a Milano in treno e così mi hanno offerto un giornale; con la prospettiva di oltre 4 ore di viaggio ho preso la Repubblica.
Premetto che leggo sempre meno i giornali, li sfoglio per abitudine, ma leggerli proprio non mi riesce perchè … non c’è scritto niente. Dopo aver letto i titoli, le disdascalie sotto le foto ed i titoletti inseriti all’interno degli articoli, non resta molto di più negli asfittici articoli dei giornali moderni, schiacciati da riduzione del formato e pubblicità.
Confesso che non ho mai amato “la Repubblica” malgrado sia in un certo senso il giornale della mia generazione (quest’anno faccio 48 anni) ed ho smesso di comprarla da quando, credo fosse il 1987, dedicò un’articolo a pagina intera (e quella volta le pagine avevano più testo che grafica) al matrimonio di Pippo Baudo, deridendo in ogni frase l’atmosfera nazional-popolare della cerimonia e della festa seguente. O ritieni che la notizia sia interessante, e allora fai un reportage serio, oppure ritieni che per la tua linea editoriale non lo sia, linea editoriale che condividevo, e allora fai un trafiletto proprio per non vivere fuori dal mondo. Ma andare per metterlo alla berlina per il kitch in ogni angolo è disonestà intellettuale: Cosa ti potevi aspettare dal matrimonio di Pippo Baudo?
io leggevo il giorno (ci scriveva Gianni Clerici, poi passato a Repubblica) e la Stampa (Curzio Maltese e Berbara Spinelli anche loro passati a Repubblica, per citarne solo due).
Oggi però tra Corriere e Repubblica ho preso la seconda. Arrivato a pag. 4 ho trovato le 10 bugie di Berlusconi riguardo al processo Ruby (sul web non le trovo per linkarle, dovrete darvi da fare voi). Un trafiletto dove si in prosa “poliziese” si trovano cose tipo B.dice “E’ la 28esima persecuzione giudiziaria”. Il numero è inesatto. Berlusconi ha subito 16 processi (tre le assoluzioni) oppure B. dice “hanno violato la mia casa”. E’ falso. Le indagini si sono fermate al cancello di Arcore. Le altre sono più o meno su questa linea, ossia capziose (che siano 28 oppure 16 il concetto non cambia, sono comunque tante) e basate più sulla forma che sulla sostanza. Soprattutto le risposte del giornale implicano già una sentenza, mentre ilo dibattimento è appena cominciato. Niente di male che la redazione di Repubblica sia già convinta della colpevolezza di Berlusconi, però poi non si può pretendere così di rappresentare una voce equilibrata, in grado di porre delle questioni nella società. In realtà dubito che ci sia nessuno in Italia che creda che Berlusconi abbia pagato Ruby per NON farla prostituire, oppure che potesse davvero credere che fosse la nipote di Mubarak (affermazione che tra l’altro implica dare degli incompetenti totali ai nostri servizi di intelligence). Il punto è quanti sono gli elettori per i quali questi comportamenti sono politicamente irrilevanti (gli aspetti giudiziari, riguardano innazitutto i tribunali).
Se poi questo atteggiamento è una risposta all’agghiacciante e ributtante linea editoriale del Giornale, beh non funziona e serve invece solo ad alimentare e rafforzare l’ipotesi della persecuzione.
Come dice il proverbio riportato nel titolo: chi semina vento, raccoglie tempesta, e nella tempesta i capitani pavidi dell’ opposizione continuano a perdersi.
Sempre più grande il rimpianto per Prodi che con la credibilità della competenza e l’azione (di sostanza) invece della reazione (di forma) ha vinto due elezioni.
La prossima volta parlo di Dominique, promesso.

Stefano Di Traglia: se ci sei batti un colpo

Dire che la ripresa dopo le lunghe ferie natalizie è in salita sarebbe un eufemismo. Il tentativo di recuperare un anno che è iniziato il 10 gennaio mi ha portato spesso in queste ultime due settimane a lavorare dopo cena e nei fine settimana, momenti normalmente dedicata alla scrittura del blog.
Anche oggi in realtà stava vincendo la pigrizia, però poi due cose mi hanno fatto accendere il PC: innanzitutto le 17 visite che il blog ha avuto lunedì scorso, malgrado il lungo silenzio e poi l’indignazione per un paio di cose sentite in radio e TV negli ultimi due/tre giorni.
Avrete già intuito che anche io parlerò, banalmente, di politica, ma cercherò di mantenermi nell’ambito del marketing. Non prometto di non ripetere cose già dette, ma mai come in questo caso repetita iuvant.
Stefano di Traglia è il responsabile comunicazione del PD e mi chiedo dove sia e cosa faccia visto come si sta sviluppando in generale la comunicazione sul Rubygate ed in particolare come viene gestito dal PD. Sarà colpa anche qui della marginalizzazione del marketing oppure è più semplicemente incompetenza?
Facendo del buon marketing partiamo da quelli che dovrebbero essere gli obiettivi intrinsechi di ogni opposizione di governo: proporre e realizzare politiche che favoriscano lo sviluppo della società (secondo la propria visione evidentemente) e guadagnare il consenso di (parte) degli elettori che hanno votato a favore dello schieramento contrario, in modo da vincere le elezioni successive. Rimango nel perimetro della democrazia e quindi tralascio rivoluzioni, colpi di stato e cose simili.
Grazie alla sua rilevanza mediatica il caso Ruby è una splendida occasione di visibilità per tutte le forze politiche e quindi anche per l’opposizione per raggiungere gli obiettivi di cui sopra, il problema è che, una volta di più, tanta la strategia come la pratica del PD sembrano andare in direzione contraria.
Dico questo perchè tutta la discussione sull’adeguatezza di Berlusconi a rimanere a capo del Governo si sta incentrando ogni giorno di più sul lato sessuale dello scandalo, tralasciando completamente la parte di indagine relativa alla concussione (termine di non immediata comprensione generale che si riferisce alla telefonata fatta alla Questura di Milano per rilasciare la ragazza, al tempo minorenne, affidandola alla Minetti).
Ora è evidente che la questione dei festini a casa del premier implica un voyeurismo che “vende” molto di più e quindi capisco che sia quella a cui i giornali dedicano più spazio. E’ però altrettanto evidente che è quella più privata (sono proprio curioso di vedere quali prove saranno in grado di produrre i magistrati per dimostrare che ci sono stati i rapporti sessuali e lo sfruttamento della prostituzione, al di là del concetto di “utente finale” già coniato in occasione del caso D’Addario), che più si presta alle controaccuse di persecuzione e di illegittima intrusione nella privacy. E’ quindi il lato della questione su cui si può essere più facilmente tacciati di moralismo piuttosto che di moralità, senza dimenticare il rischio di rimanere comunque invischiati nella volgarità e nel pecoreccio sulla base del quale si chiedono le dimissioni del premier. Aggiungo che far passare le ragazze coinvolte nell’inchiesta come delle povere ingenue illuse o, peggio, sfruttate dal satiro Berlusconi, dal punto di vista della comunicazione non mi pare proprio la cosa più semplice. Aggiungo ancora che non mi pare di dire niente di geniale quando credo che buona parte dell’elettorato dal PdL dia per assodato che Berlusconi utilizzi prostitute almeno a partire dal caso D’Addario e che ritenga la cosa sostanzialmente un affare privato.
In sintesi, scopi pure con il Grande Puffo, l’importante è che l’Italia abbia affrontato la crisi meglio di altri paesi europei / abbia affrontato l’emergenza terremoto / abbia risolto il problema dei rifiuti di Napoli / e tutti gli eccetera che volete. Il PD superato a sinistra sul piano del principio delle libertà individuali.
La questione della telefonata in questura si presenta invece estremamente più efficace per l’opposizione. In termini di principio è quasi indiscutibile il fatto che una telefonata del Presidente del Consiglio ad una questura sia un problema istituzione e non personale e nella sostanza dei fatti offre un quadro di grande forza in cui tutti possono immedesimarsi dell’uomo di potere che cerca di imporsi su un poveretto che sta solo facendo il proprio dovere. In un colpo solo ecco che tornano tutte le volte in cui ho subito un torto perchè le regole sono saltate a favore di qualcuno che aveva le conoscenze giuste e tutte quelle in cui qualche privilegiato mi ha messo in mezzo tra fare il mio dovere e fare i suoi comodi.
Ed in effetti il sindacato di polizia si è trovato solo a difendere l’operato e la dignità della questura. Persa l’occasione da parte del PD di schierarsi a fianco delle forze dell’ordine. Persa anche l’occasione di rafforzare la richiesta di una nuova legge elettorale che restituisca agli elettori la libertà di scegliere i propri rappresentati, perchè la richiesta di dimissioni della Minetti è arrivata dei militanti del PdL.
Aggiungo, e finisco questo che si sta trasformando in uno sproloquio, l’errore di continuare a rivolgersi a Berlusconi per chiedergli di dimettersi invece di rivolgersi ai suoi elettori per chiedergli, fornendo le opportune ragioni, di non votarlo più.
Quali sono le due cose che mi hanno fatto indignare?
Giovedì ho sentito per radio la dichiarazione di Stefania Craxi, Sottosegretario di Stato agli Esteri, sull’ex presidente della Tunisia Ben Alì (scappato in Arabia Saudita con i soldi dopo aver fatto sparare sui manifestanti e buon amico di Bettino Craxi). Diceva grosso modo che va ricordato come abbia portato la Tunisia alla modernità anche se poi il suo regime si è sprofondato nella corruzione e nella gestione familistica dello stato. Agghicciante! Continuavo a chiedermi se parlava di Ben Alì o della storia della sua famiglia.
La risposta l’ho avuta oggi pomeriggio guardando il TG1: alla fine hanno annunciato lo speciale TG1 di questa sera dal titolo “Craxi, elogio del capro espiatorio”.
Come dicevo all’inizio: il 2011 è iniziato proprio in salita.

Magic Italy

Domenica scorsa sono partito per una settimana di lavoro negli USA con in animo di scrivere un post sullo spot “Magic Italy” recitato da Berlusconi perchè fra tutti i commenti più o meno folkloristici sul narcisismo del premier non ne ho trovato nemmeno uno in cui venisse ricordata la semplice verità che di ogni campagna pubblicitaria televisiva trasmessa in Italia, circa il 50%-60% va nelle casse di Publitalia (concessionaria di pubblicità della Fininvest). Questo con una pianificazione standard, senza dare una preferenza alle reti Fininvest, come potrebbe forse consigliare il profilo dei target rispetto alle reti RAI. Alla faccia della gratuità decantata dal Ministro (???) Brambilla.
Il fatto è che il conflitto di interessi è una cosa oggettiva, indipendente dalla correttezza o meno di chi ne è coinvolto
Poi sull’aereo ho trovato l’articolo sui programmi di Sgarbi come sovrintendente al Polo Museale Veneziano, lo stesso Sgarbi condannato nel 1994 per truffa e falso ai danni dello stato in seguito alla assenze fatte quando era dipendente della Sovrintendenza ai Beni artistici del Veneto, grazie a falsi certificati medici.
Qui ho cominciato ad allucinare.
Quando poi sabato sono tornato ed ho visto il nuovo scandalo P3, d’altra parte se Flavio Carboni continua ad essere una persona di riferimento per attività che riguardono istituzioni pubbliche non vedo cosa ci sia da stupirsi, ed ha questo punto ha prevalso lo scoramento.
Il fatto è che la questione morale è legata alla valutazione soggettiva che ognuno fa tra l’abilità e la corretezza che deve avere chi, ad ogni livello gestisce la cosa pubblica. Resta da sperare solo nella conversione dei cuori visto che oramai sembra essere passatti dai politici che si facevano corrompere della prima Repubblica ai corruttori messi direttamente a fare i politici. Probabilmente è questo il contributo di efficienza dell’approccio imprenditoriale nella gestione della cosa pubblica.
Sono sempre stato un ammiratore di De Gregori ed ho sempre creduto nelle capacità profetiche (futurologiche per usare un termine economico-aziendale); beh con il suo “legalizzare la mafia sarà la regola del duemila” del 1989 ha sbagliato solo di 10 anni.
Allora torniamo al marketing con una notizia data dall’assenza di notizia: sono stato una settima negli USA a fare visite sul mercato in Georgia, Washington D.C., Virginia e Maryland e non ho visto nessuna niente di nuovo in termini di marketing che mi sembrasse degno di nota.
Ero distratto? Sto diventando troppo vecchio e cinico? Eppure sono andato anche a visitare il Coca Cola World di Atlanta (anche volendo non è che ci sia molto altro da vedere in città), dove mi aspettavo di vedere all’opera i concetti di marketing più avanzati.
Invece niente, a parte trovare nei supermercati “Whole Foods” l’acqua di cocco in brik (prodotto di cui ho fatto scorta le due volte che sono andato in Brasile, non potendomi portare in aereo i cocchi verdi).
Tutta l’enfasi di tutti gli operatori del mercato è sull’ESECUZIONE. In altre parole sembra siano state date le risposte a tutti i PERCHE’, quindi ci si concentra in parte sul COSA, ma soprattutto sul COME.
Dubito che gli USA abbiano smesso di essere la frontiera del marketing e quindi le possibilità sembrano due: o tutte le domande e tutti perchè si definiscono nel web e l’off line si dedica esclusivamente a consegnare le risposte oppure il si sta avvicinando l’implosione del marketing (da piccolo volevo fare il poeta).

Who pays the bill? 3/bis

Non volevo scrivere un quarto post sull’argomento, anche perchè leggendo i giornali di domenica mi sono sentito quasi un disfattista (puffo brontolone per la precisione), poi però sono usciti i risultati delle regionali e quindi …. l’ho chiamato 3/bis.
“Non intendo cantare vittoria – ha detto Bersani – ma neanche parlare di sconfitta”. A casa mia quando ero piccolo si diceva “prendi incarta e porta a casa”.
Di Pietro teorizza il bipolarismo quadrupede dove ognuno dei due poli si regge su due gambe: per il centrodestra la seconda è la Lega, per il centrosinistra è l’IDV. Complimenti ad Andreotti, il grande vecchio come sempre aveva già visto tutto con la sua teoria degli opposti estremismi.
Il commentatore politico del “Corriere della Sera” ospite a RAI3 parla del paradosso per dui cresce Di Pietro, ma cala il centro-sinistra nel suo complesso. Complimenti, qualcuno forse pensava che Di Pietro potesse pescare voti da aree dell’elettorato diverse da quello di centro-sinistra. Oppure che un suo maggior peso nella proposta politica dell’opposizione non rischiasse di alienare le fasce più sinistrorse del centro. Ma qualcuno sa che esiste una disciplina che si chiama segmentazione del mercato?
Ricordo che Dalema rimane uno degli strateghi di peso del PD, ed anche in queste elezioni ha dato modo di mostrare il suo fine acume politico con le primarie in Puglia (stavolta però non è riuscito a far danni).
‘A da passà ‘a nuttata, e sicuramente (????) passerà anche questa. Però prepariamoci a pagare un conto salato perchè chi governa continua ad essere mosso dai propri interessi, dalla voglia di vendette ideologiche, continua a non sapere presentare le liste o a dire “Prima i Veneti” (e io che sono nato a Venezia, ho fatto l’Università a Bologna e Reggio Emilia, studiato e lavorato tra Cremona, Modena e Mantova, vivo da 14 anni a Trieste e lavoro in Veneto, che fine faccio? Aggiungeteci la moglie spagnola ed avete il profilo di un disturbo del sistema).
Duri i banchi