Cosa ho visto ad Expovinis 2014 San Paolo.

Rio de Janeiro, dopo una settimana di lavoro puntavo ad un giorno di spiaggia ma piove. Cosa di meglio da fare se non condividere quello che ho visto a San Paolo alla fiera Expovinis 2014?

Dai francesi ci sarebbe sempre da imparare (volendo) ……
Non è che sia una novità. A tutte le fiere i francesi si presentano belli compatti, occupano uno spazio unico con un’immagine paese forte chiara ed unitaria sotto il coordinamento di Ubifrance
Francia 1
Francia 3
Francia 4

Da notare le colonne bianche e rosse e blu; il vantaggio di fare marketing delle nazioni: uno non deve sforzarsi di identificare o definire i propri colori istituzionali. Sembra semplice ma tra un po’ vedremo che non è sempre facile.

Quali i vantaggi di una presenza unitaria?
- i visitatori trovano tutti i vini e le cantine francesi in un’unica zona, quindi è più facile che trovino quelli che gli interessano e magari qualcuno che non prevedevano.
- ergo i visitatori tendono prima ad “esaurire” l’area francese e poi a passare agli altri stands, compatibilmente con il tempo che gli rimane.
- si può ricavare un’area per le degustazioni/master class (la foto non l’ho fatta, ma c’era fidatevi).
- si possono dare informazioni sulla viticoltura a livello del paese: Francia 2
- si può distribuire una catalogo che descrive dettagliatamente le cantine francesi presenti e la loro distribuzione in Brasile
Francia 6
Non mi dilungo oltre perchè pochissimo è cambiato dal novembre 2012 quando il blog Vino al vino di Franco Ziliani ha gentilmente ospitato un mio intervento centrato su questo argomento.
Aggiungo solo che non ho visto bandiere europee e diciture che si trattava di un’attività finanziata con i fondi comunitari ai sensi del regolamento XY, però dubito fortemente che non abbiano attinto ai finanziamenti dell’OCM vino. Centralizzazione=semplificazione.

…… e qualcuno in effetti impara.
Gli spagnoli copiano, più o meno bene, dai francesi.
Quasi compatti (uno stand separato per i vini della Castilla-La Mancha, però vicino allo stand collettivo), programma di degustazioni guidate, catalogo degli espositori con informazioni sul settore vitivinicolo spagnolo.
Spagna 1
Spagna 3
Spagna 2
Spagna 4
Non è tanto del sorpasso in termini di quantità prodotta che dovremmo preoccupareci.

Italia: creatività o confusione?
Una volta ho sentito dire che i francesi sono degli italiani incazzati. Se è vero noi potremmo puntare ad essere dei francesi allegri.

Per il momento mi sembra che regni la confusione dell’individualità:
- stand del chianti (andate in giro per il mondo a spiegare che il chianti classico è una cosa ed il chianti “semplice” è un’altra: auguri) senza alcun riferimento nazionale.
Italia 2

- Area Italia dietro allo stand del Chianti con logo “bandiera” a forma di cuore e scritta Italia in rosso (non chiedetemi gestita da chi perchè non l’ho capito).
Italia 3

- Zona Italia a fianco dello stand del Chianti gestita dalla Camera di commercio Italo-brasialina di Rio de Janeiro con logo “Spazio Italia” in nero + tricolore “a nastro” e payoff “vino, tradizione e passione”.
Italia 5

- Area “Piemonte: land of perfection” all’altro lato dello stand del Chianti con logo con elegante scritta Italia tono su tono (la vera eleganza non si fa notare) sottolineata da tricolore “a coriandolo”
Italia 1

- Area “Emilia-Romagna Wine: what an experience”, davanti allo stand del Chianti con logo come quello dell’area Piemonte ma (almeno) la scritta Italia in bianco su fondo nero si legge bene
Italia 4

- Stand dell’ ATI (Associazione Temporanea di Imprese) Italian Concept Export Brasil con qualche bandiera italiana in vista
Italia 6

Non ho la foto del bel stand centrale della Cooperativa “La Spiga” di Montalcino, dove il riferimento all’Italia era la dichiarazione dell’utilizzo dei fondi comunitari con relativa bandiera italiana riprodotta sulle pareti dello stand (fidatevi).

Ecco dimostrato che il marketing delle nazioni puà sembrare semplice, ma non è facile.

Ora anche qui non mi dilungo. Come si diceva durante l’ultimo Vinitaly chiaccherando con Fabio Piccoli e Giacomo Acciai (dobbiamo riprendere il discorso) il marchio unitario del vino italiano esiste già ed è già ben conosciuto: è appunto “Vinitaly”. Facilmente comprensibile nelle principali lingue del mondo, unisce efficacemente vino e Italia.
il Vinitaly ha già in buona parte la struttura e parte delle competenze necessarie per essere l’equivalente di Ubifrance, senza diventare una copia dell’ICE (con tutto il rispetto per i funzionari che cercavano di darsi da fare). Invece di investire risorse umane e finanziarie per organizzare i Vinitaly tour all’estero, che restano sempre appuntamenti minori e parziali nei diversi paesi, prenda l’incarico di definire quali sono le fiere chiave a cui deve partecipare il vino italiano ed di organizzare la relativa “Casa Italia”. Conseguentemente obbligo per tutte le aziende, ATI e i consorzi di partecipare alle fiere all’interno di questo spazio.
Mi spingerei perfino a dire che i fondi OCM per partecipazione a fiere possono essere destinati solamente alla partecipazione attracerso il Vinitaly.
Per il resto vale quanto scritto nel mio post pubblicato su Vino al Vino di cui sopra.

Il Portogallo è messo peggio di noi in quanto ad immagine
Se può consolare c’è chi fa peggio. Il Portogallo con una dimensione ed eterogeneità del sistema vitivinicolo di gran lunga inferiore alla nostra riesce ad essere (almeno) altrettanto confuso.

Vari stand, sparsi per la fiera (che, per precisione, copriva un unico padiglione), con due loghi e due pay off diversi:
Portugal 1
Portugal 2
Portugal 3
Portugal 4
Portugal 5

Concludo parlando, stranamente, di due vini:

Reserva Casillero del Diablo Devil’s Collection di Concha y Toro:
Casillero devil collection
Con questo vino ha vinto il Top Ten di Expovinis 2014 come miglior rosso del Nuovo Mondo. Quando ho chiesto alla gentile signorina che lo faceva degustare quale fosse l’uvaggio, mi ha risposto che si tratta di un uvaggio di tre varietali ma l’enologo ha voluto mantenere il segreto sia su quali sono che sulle loro proporzioni.
Partendo dal fatto che Casillero del Diablo è una delle poche vere marche mondiali di vino (ricordo che è uno degli sponsor del Manchester United) l’iniziativa di marketing è curiosa, anche se non sono sicuro di come questo mistero potrà funzionare rispetto alla tendenza globale verso la trasparenza.
Personalmente dopo averlo degustato non ho avuto un grande interesse a scoprire il segreto.

Salton Geracoes Josè “Bepi” Salton :
Come avete già intuito dal cognome e dal nome siamo di fronte all’emigrazione veneta dei primi del 900 (precisamente da Cison di Valmarino). Questo spumante metodo classico 50% Chardonnay e 50% Pinot Noir fa un minimo di 4 anni sui lieviti e mi è proprio piaciuto.
Difficile, se non impossibile, che arrivi in Italia e non un concorrente per il Prosecco italiano (ci pensano già i prosecchi brasiliani), ma un concorrente serio per i metodi classici che volessero andare in Brasile.

Questo è tutto per oggi. Ha smesso di piovere e vada a farmi almeno due passi.

L’esperienza del QUADRATO SEMIOTICO DEI WINE LOVERS fino ad oggi, ovvero il content marketing.

Vinitaly, 5 aprile 2014. Comincio questo blog come gli articoli veri con luogo e data (il Vinitaly è un luogo e comincia, almeno, il giorno prima dell’apertura della fiera), perchè anticipo di un giorno la pubblicazione del post, visto che domani sera sarò presumibilmente impegnato con fiera e dopo-fiera.

In settimana abbiamo diffuso il Quadrato Semiotico dei Wine Lovers, magari l’avete già visto in giro per la rete, comunque eccolo qui:
quadrato_semiotico_wine_lovers

L’iniziativa l’avevo annunciata con un post lo scorso 16 marzo. L’idea era di permettere/stimolare i lettori del blog a seguire lo sviluppo della strategia, come fosse una case history.

Non so cosa avete visto voi (se avete visto qualcosa), questo è il sunto da parte mia ad oggi:
- Le uscite sulle testate on-line si contano a decine.
- Le uscite sui giornali sono molte meno, ma è strutturale che si concentrino dal vinitaly in avanti (ci speriamo e ci stiamo lavorando).
- due interviste radiofoniche su emittenti nazionali (fare un’intervista radiofonica afono a causa del raffreddore e con la linea che va e viene è un esperienza che spero di non ripetere mai più).
- Le visualizzazioni lorde della pagina facebook si contano a decine di migliaia e così pure su twitter.
- Guardando alla qualità delle interazioni cito il caso che mi dato più soddisfazione: il post di Alice Feiring, anche perchè mi ha dato l’occasione di iniziare una conversazione su twitter in cui ho tirato dentro Jay McInerney, secondo me il maggior scrittore americano vivente (e se avessi tempo di pensarci bene forse potrei togliere “americano”). Devo ancora decidere se questo diventa il mio nuovo vertice professionale, che fino ad oggi era aver avuto la mia foto su “Gente” immerso a metà gamba in un tino pigiando l’uva, subito dopo la foto di Albano e prima di quella di Carol Bouquet.

L’ultimo segnale positivo c’è stato oggi mentre allestivamo lo stand, perchè ad un certo punto ho contato 6 persone ferme davanti alla luminosa 2×2 metri su cui è riprodotto il quadrato che lo fotografavano con lo smartphone. E due di loro si dicevano a vicenda “Questa è la novità più interessante del Vinitaly 2014″. E’ quello che dicevo io quando ho messo in piedi il progetto, ma loro non possono essere accusati di dirlo per megalomania.

Vediamo domani quando si aprirà la fiera.

Ora, oltre a ringraziare Squadrati, http://www.serenacomunicazione.com/, PR&PRess, lo staff aziendale e tutti quelli (sono tanti: perdonatemi, ma l’elenco diventava noioso) per il contributo eesenziale a quanto ottenuto fino ad oggi faccio una riflessione sul content marketing (mi scuso per il link a wikipedia in inglese, ma già questa descrizione non mi soddisfa del tutto, quelle che ho trovato in italiano non mi soddisfacevano per niente).

Il content marketing sembra essere la pietra filosofale della comunicazione moderna e quindi tutti a riempire il web di contenuti, dimenticando che il concetto riguarda i contenuti (basta la parola) e non il mezzo. Detto in altre parole, la (buona) pubblicità si è sempre basata sulla ricchezza di contenuti. L’attuale facilità di comunicazione ed intercomunicazione di contenuti cambia l’operatività ed il peso delle tecniche, non i concetti strategici. Come scrivevo quasi un anno fa, riprendendo un articolo del Prof. di Harvard John Deighton “siamo tutti nell’editoria nel senso che il modello di business in tutti i settori si basa(baserà) sulle capacità di creare contenuti, cercarli, selezionarli e disseminarli verso un audience, mappare il percorso dell’audience rispetto ai contenuti disseminati e, alla fine, monetizzare.” Alla definizione del Prof. Deighton però secondo me manca un aggettivo cruciale: … creare contenuti RILEVANTI …” per creare una storia di interesse.

Viceversa il cattivo content marketing, come la cattiva pubblicità (ed ogni forma di cattiva comunicazione in generale) diventa un boomerang.

E, per restare nel vino, come diceva Elisabetta Tosi nel commentare un post di facebook di Maria Grazia Melegari “Il premio, i 3 bicchieri o le 9 bottiglie, la starlette allo stand, lo chef che ti cucina la colazione… NON SONO UNA STORIA!!! E nemmeno il nuovo vino, la nuova etichetta, il nuovo stand, ecc. ecc..” O quantomeno sono una storia di interesse circoscritto.

Se volete vedere il quadrato semiotico dei wine lovers dal vivo lo trovate al nostro stand al Vinitaly: padiglione 3, stand E6.
Se volete sentire gli approfondimenti dalla viva voce dei protagonisti venite al convegno di lunedì 7 alle 11:00 all’auditorium del Palaxpo del Vinitaly.

Ancora sul Vinitaly 2012

Ho in canna un paio di post su altri argomenti ma i commenti di Lizzy alle mie impressioni di Vinitaly mi hanno suscitato una serie di riflessioni che sarebbero state strette in un semplice commento al commento.
Continuo ad essere preoccupato del rischio che questo blog prenda un’eccessiva deriva enologica, ma spero che le considerazioni di metodo di marketing, oltre che di merito sulla fiera, siano sufficenti a fugare il pericolo.
Per mettere in pari anche chi non si occupa di vino una breve premessa.ta
Il Vintaly è la principale fiera del vino in Italia ed una delle più importanti a livello europeo e mondiale. Oramai da anni soffre di enormi problemi di viabilità e parcheggio (diciamo un paio d’ore per arrivare in fiera e quasi altrettante per andare via), di affollamento (code chilometriche ai bagni, per citare un problema che tocca tutti), di tipologia di pubblico (i grandi operatori del vino a fianco dei piccoli a fianco del semplice appassionato, tutti cercando di non inciampare sui giovani alticci che non riebtrano in nessuna delel precedenti categorie). Da circa 3 anni si è aggiunto anche il problema del collasso delle reti telefoniche per cui dalle 10:00 alle 17:00 telefonare con un cellulare o connettersi al web con un collegamento wireless è sostanzialmente impossibile.
Per l’edizione 2012, con l’obiettivo di professionalizzare maggiormente la manifestazione (nel senso di renderla più business e meno consumer) l’ente fiera ha preso la decisione di modificare le date e quindi vinitaly 2012 si è svolto dalla domenica al mercoledì invece che dal giovedì al lunedì, come gli anni scorsi. Decisione che definirei coraggiosa, se non altro sapendo quello che significa in termini di indotto per la città un giorno in meno, e su cui, forse giustamente, non tutti erano d’accordo (adesso tutti sono saltati sul carro dei vincitori, ma non tutti sono sinceri).
Il risultato è andato oltre ogni aspettativa, nel senso che il numero di visitatori è rimasto sostanzialmente quello delle edizioni precedenti, con una certa riduzione degli ubriaconi (riduzione non eliminazione si badi bene), malgrado la riduzione di un giorno per di più semi-festivo come il sabato. La conseguenza è che tutti i problemi legati al sovraffollamento sono rimasti, come hanno sottolineato un po’ tutti i commenti che potete trovare sul web e sulla stampa off line (colgo l’occasione per riconoscere in ritardo il dovuto omaggio a Filippo Ronco per i suoi commenti in versi).
Orbene se uno dei grandi vantaggi del web è quello di poter essere un mezzo di condivisione, discussione e confronto, rimane comunque necessario definire correttamente i termini del problema. Viceversa le eventuali soluzioni che si applicheranno non riusciranno a risolverlo. Detto in altri termini, con le parole del mio docente di marketing all’Università di Guelph “Un problema mal risolto è un problema mal definito”.
Per definire i problemi correttamente uno dei modi migliori rimane quello di mettere in fila i numeri, nel nostro caso qeullo delle principali fiere europee dedicate al vino:
- Prowein 2012: 3.635 espositori, 39.034 visitatori. Si svolge a Dusseldorf che con 586.000 abitanti è la settimana città della Germania.
- Vinexpo 2011 (fiera biennale): 2.400 espositori, 48.122 visitatori. Si svolge a Bordeaux, 240.522 abitanti nel comune, ma 1.204.846 abitanti nell’area metropolitana che ne fanno la quarta citta di Francia.
- Vinitaly 2012: 4.321 espositori, 140.000 visitatori. Si svolge a Verona, 264.354 abitanti, dodicesima città italiana.

Mi sembra evidente che i problemi che presenta il Vinitaly non sono problemi di organizzazione della fiera quanto piuttosto problemi di struttura della città (ed in questo includo anche l’adeguatezza o meno del quartiere fieristico).
La domanda corretta da porsi è: Verona è ancora in grado di ospitare una manifestazione della portata del Vinitaly?
Visto il successo di quest’anno, la risposta affermativa potrebbe essere automatica e d’altra parte i tentativi da parte di altri enti fieristici di creare fiere alternative fino ad oggi sono falliti.
Allora cambio la domanda: Verona vuole mettersi in grado di ospitare una manifestazione del livello (a cui è riuscita a portare) il Vinitaly? Secondo me qualsiasi altro modo, limitato alla sola fiera, di focalizzare il problema porterà a soluzioni altrettanto limitate, destinate a venire travolte dal successo dell’evento.
E così arriviamo all’altra possibile soluzione: se i problemi sorgono dal sovraffollamento, perchè non puntare sulla decrescita? Credo ci fosse anche questa intenzione nella scelta di cambiare le date e sono convinto che nemmeno il più ottimista degli organizzatori si aspettasse il picco di pubblico che si è avuto lunedì.
Però il Vinitaly, come tutti i marchi, ha una sua propria personalità che è solo parzialmente controllabile da chi lo gestisce. Lizzy commentando il mio post dice “Concordo. Vinitaly è la festa del vino italiano, e come tale andrebbe vissuta e frequentata. Ad una festa trovi gli amici che vogliono solo divertirsi (e bere) ,e quelli a cui non dispiacerebbe ottimizzare la propria presenza e combinare qualcosa di buono.
Ora che finalmente abbiamo chiarito la mission di questo circo, vediamo di spiegarla anche a chi affronta trasvolate oceaniche nella convinzione di andare a un evento professionale, diciamo la versione italiana di Vinexpo, o della London Fair.”
Ma io dicendo che si tratta di una “Kermesse debordante” intendevo una cosa un po’ diversa rispetto al concetto di mission (ci arrivo in un attimo), intendevo che la personalità del Vinitaly, il suo modo di essere, è talmente forte da rimanere sostanzialmente immutato anche di fronte ad un radicale cambiamento organizzativo, come la cancellazione del venrdì e del sabato. Volendo si può provare a snaturare il Vinitaly per renderlo una fiera professionale come le altre, basta essere coscienti che ci vorrà (molto) tempo e che non ci sono garanzie di successo. Più o meno lo stesso tempo e le stesse garanzie di successo che ci sono per l’adeguamento della città.
Concludo con una considerazione sul concetto di mission.
La mission serve per orientare/guidare le aspettative delle persone nei confronti dell’azienda/organizzazione. Grazie alla mission le persone esterne sanno cosa devono/possono attendersi dall’azienda/organizzazione e le persone interne all’azienda/organizzaizone sanno in quali direzioni è giusto muoversi ed in quali no. Per questo la mission deve essere una sintetica formalizzazione reale ed ispirata della personalità dell’azienda/organizzazione.
E’ necessario che sia reale perchè altrimenti le persone non ci si riconosceranno e quindi la mission non riceverà la credibilità necessaria per svolgere la funzione dinamica di guida contenuta nella componente ispirata.
Per tornare al caso del Vinitaly e del commento di Lizzy, non basterà cambiare l’enunciato della mission per cambiare la realtà della fiera.
L’ultimo affascinante tema che mi ha fatto venire in mente il commento di Lizzy è quello del target: chi è il target principale del Vinitaly? E quanti sono quelli secondari? Gli espositori che pagano gli spazi o i visitatori che pagano il biglietto? Quali segmenti di visitatori (vista al loro eterogeneità) e quali segmenti di visitatori (altrettanto eteregenei)? Oppure i media che trattano/rendono il Vinitaly un evento mediatico di portata nazionale.
Ormai però questo post è già troppo lungo e la, pur piovosa, domenica mi reclama ad altre faccende.
Grazie Lizzy.

Malati di Marketing

Questo post lo stavo scrivendo la sera prima del Vinitaly, quando un viros mi ha bloccato il computer per i 4 giorni successivi.

Poco male perchè, malgrado i commenti al Vinitaly 2012 di giovedì scorso, il blog continua ad essere abbastanza slegato dall’attualità.

Tutto nasce da questa pagina pubblicitaria del nostro Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG “Vini dei Cardinali”, uscita lunedì 26 marzo sullo speciale del Corriere della Sera dedicato al Vinitaly.

La settimana prima della pubblicazione ho mostrato la bozza ad un giovane ex stagista passato a collega per una sostituzione maternità, chiedendogli cosa ne pensava.
Matteo: “Peccato di gola, sì suona bene, ma perchè?”
Lorenzo: “Perchè si collega a Vini dei Cardinali”
Matteo: “Aahh”
Lorenzo: “Sì forse è un claim un po’ troppo alimentare, però secondo me ci sta”

Andiamo avanti a parlare di altre cose e dopo 5 minuti Matteo mi fa “No scusa è che davvero non ho capito il senso della pagina pubblicitaria, perchè Peccato di gola?”
Lorenzo: “In contrapposizione/associazione al concetto di Vino dei Cardinali, talmente buono da far commettere peccato di gola”
Matteo: “Ah, ok. Allora vado. Ciao…”
il resto della frase non l’ha detto ma l’espressione era del tipo “io vado così possono entrare i signori in camice che ti danno le goccine e ti portano via. Io preferisco non essereci, perchè non vorrei restarci in mezzo e poi sono scene brutte da vedere.”

La sera tornando a casa raccontavo l’episodio ad un amico, managing director di una nota agenzia milanese e mentre gli raccontavo la pagina diceva “Peccato di gola? Giochino un po’ ovvio, però ci può stare. Ha anche un po’ di sapore di trasgressione per il target dai 40 anni in su, cresciuto comunque in una cultura cattoolica del peccato (e del perdono).

Se non altro quando gli ho raccontato la fine della storia, almeno ci siamo preoccupati entrambi della nostre distorsioni mentali. Temo però che ormai la sindrome sia cronica.

Impressioni di Vinitaly

Primo Vinitaly da Direttore Generale, quindi con meno tempo per andare in giro, ma anche con le mani molto più in pasta nella parte commerciale e organizzativa vista la dimensione della mia azienda. Ecco le mie impressioni.

BULIMIA Il cambio delle date è stata una scommessa vinta da chi in Veronafiere ci ha creduto. Forse anche perchè è nel DNA del Vinitaly quello di essere una kermesse debordante. Ogni momento una contemporaneità di convegni, dibattiti, degustazioni, eventi, manifestazioni, sezioni speciali, ecc… per soddisfare/intrattenere/incuriosire decine di migliaia di persone in giro I paragoni con Prowein o Vinexpo non hanno senso semplicemente perchè quelle sono delle fiere di settore mentre questa è una festa del vino. Una vaga idea si potrebbe avere moltiplicando per tutti i giorni della fiera e per tutti i padiglioni quello che succede al Prowein nel solo padiglione tedesco solo la domenica. Come mi ha detto l’anno scorso il giornalista inglese Robert Joseph: “amo venire al Vinitaly perchè è la festa del vino italiano”. Forse ha ragione Fiorenzo Sartore su Intravino a dire che sbagliano gli appassionati che si “ingrugnano” perchè una fiera per gli addetti ai lavori non può essere adatta a loro, ma secondo me sbagliano anche i professionisti ad ingrugnirsi per il Vinitaly è ancora una fiera fatta per gli appassionati, anche nelle intenzioni e nell’approccio di migliaia di piccoli e medi espositori.

DISASTRO Qualche mese la scossa di terremoto a Verona in orario di scuole ed uffici aperti ha fatto collassare le reti cellulari della città. Il “terremoto” del Vinitaly (soprattutto lunedì) ha avuto lo stesso effetto con grandissimi disagi per i professionisti della comunicazione, forti disagi per chi era in fiera per fare affari e (credo) limitati disagi per chi era in fiera per assaggiare i vini. L’hanno detto tutti e sono d’accordo è un problema che va risolto, secondo me dalla città, prima per se stessa che per il Vinitaly. Il problema delle telecomunicazioni è stato talmente sentito (a me un virus ha messo ko il computer sabato sera, per cui non mi è cambiato molto) che ha fatto passare in secondo quello, cronico dell’accesso e dei parcheggi, come se essere in coda da Desenzano possa rientrare nell’accettabile normalità.

CORTESIA dovendomi occupare direttamente dell’organizzazione dello stand e del convegno, quest’anno ho avuto l’occasione di vedere un po’ più da vicino la complessità dell’organizzazione di una cosa come il Vinitaly. L’ho già scritto in un tweet: i miei complimenti a tutto lo staff non solo per come funzionano le cose ma soprattutto per la disponibilità sempre e comunque (forse è per questo che funzionano?). Provate ad andare ad un banco informazioni del Prowein, ci metteranno più tempo per darvi informazioni meno precise e vi tratteranno tendenzialmente come un idiota.

COINCIDENZE quest’anno Ferrari, la più prestigiosa azienda spumantistica italiana festeggiava il 110° anniversario e per l’occasione ha rinnovato lo stand, disegnato dallo studio Robilant Associati. Il primo è il logo realizzato per l’occasione
Il secondo invece è stato realizzato lo scorso anno da un’altra agenzia per il 50° anniversario del Pinot Grigio Santa Margherita (se andate sul sito trovate anche la versioni a colori in oro e rosso):.
Ora, io dico spesso che le idee che girano in un determinato periodo sono grosso modo condivise in una specie di intelligenza collettiva, però mi è sembrata una coincidenza poco elegante. Detto in altro modo la mia valutazione del caso è la stessa che ho fatto di George W. Bush/Blair/Aznar/Berlusconi quando in occasione della guerra all’Iraq ha dichiarato: “Abbiamo fatto guerra all’Iraq perchè aveva armi di distruzione di massa”. Quando poi queste armi non si trovano (come dicevano gli ispettori ONU) i casi sono due: o eri in malafede o sei un incapace nel tuo lavoro. In ogni caso devi andartene.
Ecco io non voglio accusare nessuno di malafede gratuitamente, però un’agenzia importante come Robilant non può non aver visto l’anno scorso il logo di Santa Margherita e sceglie, anche in buona fede, di utilizzarne uno molto simile a distanza di un anno per un’azienda dello stesso settore nello stesso contesto non mi sembra il massimo dal punto di vista della comunicazione. O magari la scelta è stata del cliente; cambia la responsabilità (questione che nè mi riguarda nè mi interessa), non la mia valutazione dell’operazione. Comunque questo è un blog, non carta stampata e quindi come tale sempre aperto a chiarimenti/precisazioni/contestazioni su quello che dico.

VIGNE VECCHIE sono rimasto abbastanza sconcertato nel leggere l’intervento di Angelo Gaja sul numero del Corriere Vinicolo uscito in occasione del Vinitaly, dove sosteneva che il calo della vendemmia 2011 è dovuto (anche) al mancato rinnovo dei vigneti di cinquant’anni, Confesso che non vivo il vigneto così da vicino come lui, ma credo che la perdita di 60.000 ha di vigneto negli ultimi 5 anni stimata da Maurizio Gily nella sua relazione al nostro convegno abbia giocato un ruolo non secondario. Ad ogni modo tra Angelo Gaja che vuole il rinnovo dei vignati ed il mio amico Loris Vazzoler che dice che il problema non sono i vigneti di cinquant’anni, ma le fallanze nei vigneti di cinquant’anni io scelgo Marco Simonit quando dice che l’origine dell’originalità (o se volete l’originalità dell’origine) stra nella fusione della vite nell’ambiente. E questo avviene nel corso del tempo grazie ai sistemi di allevamento/domesticazione che tipici che permettono alla vite di durare. In altre parole le vigne vanno allevate in modo che possano diventare vecchie e le vigne vecchie valorizzate.

COPPA AMERICA Mauro Pellaschier è un velista italiano di fama e livello internazionale. Timoniere su Azzurra nella prima sfida italiana alla Coppa America ha poi partecipato a successive edizioni ed a numerosissime regate su tutti i mari del mondo. Mi ricordo di aver letto una sua intervista tanti anni fa (credo che fosse su “Bolina” ai tempi del Moro di Venezia) ed alla domanda di cosa ne pensasse di tutta l’attenzione mediatica che si era creata sul mondo della vela diventato rapidamente di moda rispose lapidario “Consiglio di parlare meno e navigare di più”. Questa frase mi è tornata in mente dopo aver vissuto 4 giorni dentro al circo (inteso anche come arena) del Vinitaly perchè alla fine tanto l’appassionato come il professionista non si ricorderà il vino dell’azienda che ha le hostess con le tute più attillate (secondo le hostess di Astoria le vestono con il sottovuoto) o lo stand più sontuoso o lo schermo più grande (il mio occupava mezza parete dello stand). Si ricorderà, e soprattutto comprerà e farà comprare, semplicemente il vino che gli è piaciuto di più.

ARRIVEDERCI AL PROSSIMO VINITALY: 7-10 APRILE 2013

“IL VINO SI FA CON L’UVA”: ecco la scaletta dei temi del convegno al Vinitaly.

Come già annunciato da un post precedente, il prossimo martedì 27 marzo si terrà al Vinitaly il convegno promosso da Vi.V.O. – Cantine Viticoltori Veneti d’Origine e Vinitaly sul ruolo del viticoltore nella filiera vitivinicola italiana.
Il convegno ha il titolo “Il vino si fa con l’uva: valorizzare il viticoltore per valorizzare il vino italiano”.

Il convegno si terrà presso la Sala Salieri del Palaexpo alle 10:30.

Ricordo che i partecipanti sono:
- Maurizio Gily – Direttore Responsabile Millevigne.
- Adriano Orsi – Presidente Comitato Vitivinicolo Fedagri.
- Lucio Mastroberardino – Presidente Unione Italiana Vini.
- Stefano Graziani – Presidente Med&A.
- Marco Simonit – cofondatore della Scuola Italiana di Potatura della Vite

Come moderatore (ed in buona parte organizzatore) posso anticipare i temi in programma:
- la riduzione della superficie vitata e del potenziale produttivo in Italia;
- il valore del prodotto e la sua distribuzione lungo la filiera;
- la valorizzazione della qualità nella cooperazione;
- contratti interprofessionali: pregi e difetti. L’esperienza dell’Asti;
- la gestione del potenziale viticolo attraverso i Consorzi di tutela e gli albi DOP;
- filiera lunga e filiera corta: il ruolo dell’intermediazione nei rapporti tra viticulturi e cantine

Questi sono i temi previsti, però il convegno è organizzato in modo da favorire l’interzione con la platea quindi vi aspetto numerosi e pieni di idee.

Auguro un grande Vinitaly a tutti!

“IL VINO SI FA CON L’UVA: valorizzare il viticoltore per valorizzare il vino italiano.” Convegno al prossimo Vinitaly.

Come blogger ogni tanto mi arrivano dalle agenzie di digital PR segnalazioni di diverse iniziative. La forma è simpatica e colloquiale, come se ci conoscessimo, cosa che non è quasi mai, ma la sostanza non differisce molto da quella di un comunicato stampa.
Questa volta il comunicato stampa me lo sono mandato da me, visto che per il prossimo Vinitaly sto seguendo l’organizzazione operativa di un convegno promosso dalla Cooperativa Vi.V.O., proprietaria dell’azienda per cui lavoro, e Vinitaly.
Credo che l’argomento possa interessare almeno una parte dei lettori di questo blog. Di seguito il testo integrale del comunicato stampa. Se vi sembra una modalità troppo arida, fate finta che sia bare bone marketing.

“IL VINO SI FA CON L’UVA: valorizzare il viticoltore per valorizzare il vino italiano.” Cantine Viticoltori Veneto Orientale e Vinitaly per discutere del ruolo della viticoltura nel sistema viti-vinicolo italiano.
La produzione dell’uva è evidentemente alla base del sistema viti-vinicolo, eppure negli ultimi anni il coinvolgimento del comparto viticolo nelle discussioni per definire le strategie di sviluppo del vino italiano è stato marginale.
Il rischio di non tenere conto delle esigenze di chi lavora in vigneto è quello trovarsi di con un settore del vino italiano che da una parte conquista quote crescenti del mercato mondiale e dall’altra vede una riduzione della disponibilità di uva. L’ultima vendemmia, quantitativamente la più bassa degli ultimi 60 anni, è sicuramente un campanello d’allarme in questo senso.
Per discutere del ruolo dei viticultori, il contributo che devono dare e le risposte che possono ricevere dagli altri comparti del sistema viti-vinicolo, Cantine Viticoltori Veneto Orientale e Vinitaly hanno organizzato un convegno in occasione del prossimo appuntamento veronese.
Martedì 27 marzo alle ore 10:30 presso la Sala Salieri del Palaexpo della Fiera si terrà il convegno dal titolo:
“IL VINO SI FA CON L’UVA: valorizzare la figura del viticoltore per migliorare la competitività del vino italiano.”
Il convegno, moderato da Lorenzo Biscontin, Direttore Generale della cantina Bosco Viticultori, vedrà la partecipazione di importanti personalità, espressione dell’intero sistema viti-vinicolo italiano:
- Maurizio Gily – Direttore Responsabile Millevigne.
- Adriano Orsi – Presidente Comitato Vitivinicolo Fedagri.
- Lucio Mastroberardino – Presidente Unione Italiana Vini.
- Stefano Graziani – Presidente Med&A.
- Marco Simonit – cofondatore della Scuola Italiana di Potatura della Vite

Cantine Viticoltori Veneto Orientale (Vi.V.O. s.a.c.) è la nuova realtà nata dalla fusione tra la Cantina di Campodipietra e la Cantine Produttori Riuniti del Veneto Orientale.
Con ben otto stabilimenti produttivi e un fatturato aggregato superiore a 30 milioni di euro, Cantine Viticoltori Veneto Orientale ha una base sociale di 2.120 soci, attivi su oltre 3.200 ettari di vigneto per un totale di oltre mezzo milione di quintali di uve prodotte annualmente.
Rappresenta quindi una delle principali cooperative vitivinicole italiane e punta a rafforzare la posizione delle cantine partecipanti nel panorama enologico nazionale ed europeo.
Cantine Viticoltori Veneto Orientale controlla anche Gruvit srl e Bosco Viticultori srl, presente in Italia ed oltre 20 mercati esteri con le etichette Vini dei Cardinali, Bosco dei Cirmioli e Villa Chiara.
Il fatturato complessivo del gruppo che fa capo a Vi.V.O. ha superato nel 2011 i 50 milioni di euro, con una crescita di oltre il 10% rispetto all’anno precedente.

Il calo dei consumi nazionali di vino e la microeconomia 3

L’intenzione era che questo post fosse l’ultimo della serie, però ho approfittato delle vacanze per leggermi con calma il numero di dicembre della rivista Meininger’s Wine Business International (rivista che consiglio caldamente a chiunque si occupi di vino) e ci ho trovatop una serie di spunti tale che forse un solo post non basterà per esaurire l’agomento. Ad ogni modo cominciamo.
Nella puntata n. 2 di questa serie dicevo che il principale problema da affrontare da parte del settore per rilanciare il consumo di vino in Italia è quello della percezione. Per chiarire meglio ed inquadrare la cosa attingo da diversi articoli che trovate nella rivista sopracitata. Mi scuso in anticipo con chi ha poca dimestichezza con l’inglese, ma lascerò le citazioni in originale per evitare di dare l’impressione di essere io troppo enfatico nella traduzione.
Joel Peterson, considerato uno dei più importanti enologi californiani di sempre, su come creare un vino super-premium: I’ve always thought the less advertising I do the better off I am.
Pancho Campo, cileno, tennista, allenatore di tennis alla Bollettieri Academy e della nazionale cilena, organizzatore di eventi e concerti a livello mondiale, fondatore della Wine Academy of Spain e creatore dei seminari internazionali Winefuture e World Conference on Climate Change & Wine in un’intervista a tutto campo (gioco di parole involontario) sul mondo del vino:
DOMANDA: The worlds of sports and event management are very different? What surprised you about the wine industry?
CAMPO: two things. One is that it is a very closed environment, especially in Spain. … I was also surprised to see the way that wine was marketed, sold and promoted. It was so ancient.
DOMANDA: What’s the biggest issue facing wine?
CAMPO: … We are losing consumers, which is for me the most worrying challenge. The wine industry is not exciting potential consumers…
DOMANDA: What’s the problem?
CAMPO: The way we communicate is only understood by wine people (n.d.a.: visto lo spessore del personaggio qui confesso che ho avuto un innalzamento di amor proprio). 90% of people who write or blog about wine look only at the top wines, the one above € 25,00. These are wines for experts and serious aficionados. What makes the industry tick is the bottom of the pyramid, the wines below € 7,00 (n.d.a: nella GDO italiano oltre il 50% delle vendite a volume di vino in bottiglia è realizzato con vino di prezzo inferiore a 5 €/bottiglia), but we pay no respect to those wines or those consumers.
DOMANDA: Is more education the key?
CAMPO: I am so totally against “we need to educate the consumer” (n.d.a.: adesso si che mi pento di non aver trovato il tempo di andare al Winefuture in Rioja). Somebody says, “I know nothing about wine,” and we say, “Oh! You should take a course!” no you don’t. If I go to a restaurant, I do not want to take a course to understand cheese. I just want the hedonistic experience. I will be ruined if someone tels meI can’t have the cheese unless I do a course. The people who need to be educated are the trade, on how to communicate, promote and sell wine.

Chiudo le citazioni riportando l’esempio che Robert Joseph fa nella sua rubrica (impossibile riassumerla, ma raccomando fortissimamente di leggerla) della descrizione che una cantina del Nuovo Mondo (nel settore del vino si intendono tutti i paesi al di fuori dell’Europa) fa del proprio Pinot Nero: 82 parole per descrivere come il vino è stato fatto e solo 31 per descriverne le caratteristiche o come scrive Robert … about the stuff a consumer might pay for…
Quanto si applicano queste considerazioni alla situazione italiana? Azzarderei un 100%.
Escludendo per un momento il vino in brick (ma poi ci ritorno) il sistema della comunicazione del vino in Italia italiana è dedica il la grandissima parte delle risorse finanziarie ed umane ad interagire con la critica enologica in termini di PR e per pubblicità sulle testate specializzate.
Dal punto di vista del target questo implica sostanzialmente predicare ai convertiti, ossia ai famosi wine lovers stimati in circa il 10%.
Dal punto di vista dei contenuti redazionali si utilizza un approccio da iniziati, in un certo senso coerente con il target, così tradizionale ed ortodosso nei contenuti e nello stile da risultare a volte (frequentemente?) settario. Il tutto con un’autorefrenzialità, che ha già vistosamente ridotto il seguito dei mezzi off line e si sta rapidamente estendendo a quelli on line.
La pubblicità del vino su questi mezzi rischia frequentemente di rivelarsi inutile, se non addirittura controproducente come dice come dice Peterson, perchè ha una credibilità e rilevanza per i lettori intrinsecamente molto più bassa rispetto alla parte redazionale (gli articoli). Se non si riescono ad individuare dei contenuti originali e credibili, espressi in modo coerente ed interessante (ma Robert Joseph ha evidenziato quanto sia difficile), l’effetto banalizzazione e conseguente massificazione è praticamente automatico, soprattutto ricordando qual’è il target dei lettori di questi mezzi.
Ritengo quindi estremamente improbabile che da qui nascano nuovi spunti di interesse per avvicinare al vino nuovi consumatori.

In realtà il problema principale della comunicazione del vino in Italia è il ridottissimo livello della comunicazione diretta delle eziende e delle marche al consumatore, sia in termini di pubblicità che di publicity/pubbliche relazioni.
Facendo una stima spannometrica per difetto il valore del mercato del vino in Italia ai prezzi di consumo si aggira sui 3 MILIARDI di euro. Un’incidenza delle spese di comunicazione del 2% porterebbe ad un investimento di 60.000.000 di euro. Ora i dati che ho sugli investimenti pubblicitari sono piuttosto vecchi, ma non credo che questi superino i 10 milioni di euro, comprendendo le campagne TV delle marche di vino in brick.
La conseguenza è che la principale comunicazione sul vino che riceve il 90% dei consumatori sono le (forti) campagne pubblicitarie di Tavernello, Ronco, ecc… Non c’è da stupirsi del calo di interesse nei confronti della categoria da parte dei nuovi potenziali consumatori.
Il ridotto livello degli investimenti viene spesso ricondotto alla frammentazione del settore ed alla conseguente piccola dimensione delle cantine.
E’ un’affermazione che non condivido per due motivi:
1) c’è comunque un gruppo di aziende che sviluppa sul mercato italiano un fatturato tale da giustificare/richiedere un sostegno pubblicitario della marca e l’investimento necessario, oltre ad avere (potenzialmente) la struttura e le competenze per sviluppare una comunicazione rilevante per ampie fasce di consumatori.
2) il calo dei consumi è legato ad un problema di percezione della categoria e quindi può essere efficacemente affrontato con strategie di comunicazione collettiva di respiro nazionale, vino italiano, o di distretto, Consorzi. In quest’ultimo caso addirittura favorita dalla frammentazione dei consumi che porta i consumatori a riconoscere più i marchi consortili delle marche aziendali.
Il problema quindi è più CULTURALE che strutturale.

Già che ci sono vorrei smentire un’altro mito del mondo del vino italiano relativamente alla mancanza di informazioni: il sito del Vinitaly fornisce ricerche che bastano per sviluppare strategie per i prossimi 5 anni a cui si accede con una semplicw registrazione e Marco Baccaglio continua il suo ottimo lavoro di quantificazione dei fenomeni di mercato sul suo blog “I numeri del vino”.
Anche qui il problema è culturale e non strutturale.

Concludo (finalmente) con l’ultima citazione da un articolo di Meininger’s Wine Business International sui Super Tuscans. Dice Sean O’ Callaghan, winemaker (uso il termine inglese visto il cognome) “The problem now though is that the “Super Tuscans” are basically French varieties, maybe blended with some Sangiovese, and the result is they are boring as these wines can be found all around the world”.

Senza aprire la questione del concetto di terroir (altrimenti non finisco più) mi basta prendere a prestito da Petrini il concetto del consumatore come co-produttore per sottolineare l’importanza della domanda interna nel mantenimento dell’identità del prodotto e quindi nella sua differenziazione rispetto ai prodotti concorrenti. Una domanda interna debole indebolisce l’identità del vino italiano, esponendolo ad una maggior concorrenza da parte dei vini prodotti in altri paesi sui mercati esteri.

A tutti il mio augurio di un felice 2012.

Il calo dei consumi nazionali di vino e la microeconomia. 1

Il 2011 è stato l’anno in cui il settore del vino italiano si è posto la questione del calo del mercato interno (non userò il terribile anglicismo di mercato domestico, anche perchè in italiano ha un significato precise e diverso: indica i consumi realizzati in casa rispetto a quelli fuori casa o alla mescita. Di questo passo chiameremo le biblioteche librerie).
La cosa probabilmente ha raggiunto una dimensione tale da non poter più essere ignorata, se poco più di un mese ad una cena durante l’European Wine Blogging Conference un blogger americano mi chiedeva cosa si stava facebdo in Italia per affrontare il problema.
Visto che non è che si faccia molto, ma di questo parlerò tra poco, vediamo di inquadrare la dimensione del fenomeno. Normalmente si cita il confronto con il passato, diciamo i 100 litri pro-capite consumati 30-35 anni fa rispetto ai 43 litri di oggi. Si tratta di un dato sicuramente eclatante, ma che ritengo poco efficace per trasmettere l’urgenza di attivare azioni di contrasto alla tendenza in corso.
Preferisco quindi provare a fare delle previsioni e farle a lungo termine visto che il tempo del vigneto e de vino spesso non coincidono con il tempo dell’uomo (citazione da Alberto Ugolini).
Incrociando molto spannometricamente i dati dell’ultima ricerca sul consumo di alcolici realizzata da Doxa per l’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol del Censis con una proiezione della distribuzione della popolazione per classi di età da qui a 25 anni (preso come il tempo medio di vita produttiva di un vigneto) ho calcolato che nel 2024 il consumo di vino in Italia sarà di circa 2,3 milioni di hl INFERIORE a quello attuale. Per dare un parametro di riferimento si tratta di una quantità superiore di oltre 13 volte al vino italiano esportato in Cina (la grande speranza dei mercati mondiali) nel prima semestre del 2011.
Personalmente la ritengo una stima per difetto, ma potrei sbagliarmi anche di molto visto che l’ho calcolata nei ritagli di tempo e con una limitata disponibilità di dati. Commissionando ad un Istituto una ricerca del costo di 3.000-4.000 euro si può facilmente avere una previsione molto più solida. Se uno dei tanti organismi pubblici e/o collettivi che operano nel marcato del vino ritiene che si tratti di una cifra abbordabile (direi di sì) e di soldi ben spesi (direi doppiamente di sì), io sono disponibile a dare il brief all’istituto ed impostare l’analisi.
Tornando al numero, credo sia tale da giustificare una preoccupazione per il settore viti-vinicolo e mi è sembrata meritevole l’iniziativa del Vinitaly che quest’anno nell’immininenza della Fiera ha stimolato un dibattito sull’argomento, coinvolgendo operatori appartenenti a tutte le diverse categorie che operano nel sistema vino in Italia (in realtà i viticoltori erano poco o nulla rappresentati. La cosa secondo me è significativa e peculiare, ma questo è un altro discorso)
Sul sito del Vinitaly trovate tutte le brevi interviste (anche la mia). Al di là dei diversi spunti, nei fatti le aziende continuona ad operare soprattutto in un logica sintetizzata nella sua dichiarazione dal dottor Piero Antinori: “Quello della crisi dei consumi interni di vino è un falso problema, preoccupiamoci piuttosto di vendere bene nel resto del mondo. Il vino di qualità e’ il prodotto più globale in assoluto, non vedo perchè ci si debba focalizzare su una nicchia di 60 milioni di abitanti quando fuori c’è un mercato di 6 miliardi di persone da conquistare. Per una volta il nostro Paese dovrebbe pensare a crescere, non a conservare”. Così il presidente dell’Istituto del vino italiano di qualità Grandi Marchi, Piero Antinori, è intervenuto nel recente dibattito sulla crisi dei consumi interni di vino. “Allarmarsi per un calo fisiologico dei consumi interni è come guardare la pagliuzza per non vedere la trave. Negli ultimi 10 anni gli Stati Uniti hanno visto raddoppiare i consumi interni, per non parlare dei Paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina), dove 3 miliardi di persone e centinaia di milioni di nuovi ricchi si ‘occidentalizzano’ attraverso i nostri status symbol, vino di qualità in primis. In Cina – che è già un mercato potenziale da un miliardo di bottiglie l’anno – ogni 100 litri di vino provenienti dall’estero solo 5 portano l’etichetta italiana. E ancora, a Hong Kong, hub principale per la distribuzione del vino in Asia, il vino italiano si colloca in settima posizione, con una quota di penetrazione del 2,3%, contro il 33% della Gran Bretagna – che distribuisce per lo più vino francese – o il 31% della Francia. Sono questi – ha aggiunto il presidente Antinori – i veri problemi del nostro vino, non tanto quelli legati ai consumi interni. I consumatori italiani sono senz’altro tra i piu’ maturi e consapevoli al mondo: qui, negli anni, il vino si è trasformato da alimento a piacere, da abitudine a scelta culturale. Certo – ha concluso Antinori -non giovano le campagne sempre più aggressive contro il consumo di alcoolici. Campagne dove il vino è sul banco degli imputati e dove si rischia di fare di un’erba un fascio”.
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E qui entra in gioco la microeconomia, perchè questo approccio segue il principio di massimizzazione della produttività (e reddività) marginale della teoria dell’impresa. Detto in altre parole oggi la redditività di 1 euro investito in determinati mercati esteri è (con ogni probabilità) superiore a quella dello stesso euro investito sul mercato nazionale.
La teoria microeconomica dell’impresa si basa però su alcuni assiomi che non sempre trovano riscontro nella realtà, soprattutto nel periodo medio lungo, a cui bisogna guardare se si vuole vivere e non solo sopravvivere. Se così non fosse non si spiegherebbe, ad esempio, il successo di un denominazione come la Franciacorta, le cui vendite si rivolgono in larghissima prevalenza al mercato italiano.
Quindi le domande poste da Vinitaly vanno circostanziate con maggior dettaglio e precisione:
- quali saranno gli affetti di un calo di 2,5 milioni di hl del consumo interno di vino nei prossimi 25 anni?
- quali sono i fattori alla base di questa tendenza (le previsioni basate sui trend demografici hanno il grande vantaggio di basarsi in buona parte su cose già successe)?
- questi fattori possono essere affrontati in modo da correggere il trend? Se sì, come?
- le strategie di contrasto oltre ad essere efficaci possono essere efficenti, ossia economicamente giustificate a livello di settore e/o di azienda?

Io qualche ipotesi di risposta ce l’ho, però questo post è già andato oltre ogni logica e sensata lunghezza. Mi prendo quindi del tempo per la seconda puntata, sperando magari di raccoglierne altre dai commenti che sono sempre benenuti.